“La masochista” di Katja Perat: il desiderio di far sentire la propria voce

Federica Florio

Pubblicato in lingua originale nel 2018 dalla casa editrice slovena Beletrina, La Masochista (“Mazohistka”) è il primo romanzo dell’autrice Katja Perat. Nonostante si sia cimentata a lungo nell’ambito della poesia, il suo nome è apparso per la prima volta nelle librerie italiane solo lo scorso luglio grazie a Voland Edizioni, che l’ha fatta esordire nella collana Amazzoni con la splendida traduzione di Patrizia Raveggi. 

Nata a Lubiana, classe 1988, Katja Perat si è fatta strada nella letteratura slovena con due eccellenti raccolte di poesie: Najboljši so padli (“I migliori sono caduti”, 2011) e Davek na dodano vrednost (“Imposta sul valore aggiunto”, 2014) – quest’ultima le è valsa la nomina per il Premio Veronika e il Premio Jenko.

Link al libro: https://www.voland.it/libro/9788862434775

La voce narrante del romanzo appartiene a Nadežda Sacher-Masoch, figlia di Leopold von Sacher-Masoch, noto scrittore e giornalista austriaco di origini ucraine. La storia di Nadežda, o Nada, è quella di una trovatella, un’orfana dai capelli rossi che Leopold narra di aver trovato in una cesta ai margini della foresta che si erge attorno a Lemberg, nome tedesco dell’attuale Leopoli e capitale, all’epoca, del Regno di Galizia e Lodomeria. Leopold, in realtà, ha diverse versioni riguardanti il ritrovamento fiabesco di quella che lui soprannomina la “bambina-lupo”, e se ne serve a piacimento in base alle persone che deve intrattenere. Caratteristica che non viene mai a mancare è l’origine slava della bambina, che lo scrittore tende a utilizzare per fini politici, in particolare per appoggiare l’ideale, a lui tanto caro, del panslavismo.

Il rapporto che lega Nada al padre adottivo è senza dubbio complesso. Nei confronti di Leopold, Nada prova sentimenti contrastanti. Da un lato, non può non considerarlo come l’uomo che l’ha presa con sé e che le ha fatto da genitore; dall’altro, tuttavia, l’educazione che le ha impartito per i primi diciannove anni è stata caratterizzata dal continuo vagabondare da una città all’altra, dall’incertezza e dall’avventura. Lo scrittore tende periodicamente a respingerla come figlia, salvo poi esaltarla per le sue origini, esibendola di fronte alla società come la futura liberatrice dei popoli slavi dal dominio dell’Impero Austro-Ungarico. In questa danza all’insegna dell’ipocrisia, non mancano i segni premonitori della pazzia.

È opportuno ricordare, inoltre, che Leopold von Sacher-Masoch deve la sua fama ai suoi romanzi erotici – tra cui Venere in pelliccia (1870), il più emblematico – nei quali descrive la parafilia che lo contraddistinse fin da ragazzo e che è stata denominata “masochismo” in suo onore dallo psichiatra Richard von Krafft-Ebing. Leopold, come sottolineato nel romanzo di Katja Perat, fu ricoverato in manicomio in seguito a evidenti sintomi di squilibrio mentale e aggressività. Esistono tuttora versioni diverse sulla sua morte: si pensa sia deceduto al manicomio di Lindheim nel 1885, anche se alcune fonti sostengono sia morto dieci anni dopo presso un’altra struttura. La sua vita venne resa pubblica solo nel 1905, dopo la sua morte, quando la sua prima moglie, Aurora von Rümelin pubblicò le proprie memorie utilizzando lo pseudonimo di Wanda von Sacher-Masoch – riprendendo, tra l’altro, il nome della protagonista di Venere in pelliccia.

In La masochista, storia reale e narrativa fittizia si mescolano perfettamente. Nada non manca mai di riflettere sulle motivazioni che anno dopo anno spingono Leopold ad agire, anche se le rimane il dubbio su quali siano le reali forze trainanti delle azioni del padre adottivo e continua a chiedersi a cosa sia dovuta davvero la sua pazzia: a un disagio socio-culturale dovuto alle origini slave o esclusivamente a una società che lo ingabbia?

Quando Leopold bramava la frusta – chi voleva punire? Certo, era spinto dal senso di colpa, ma di cosa era colpevole? Era l’austriaco in lui che picchiava l’ucraino per liberarlo dalla barbarie infantile e sbozzare dalla sua massa grezza una forma umana? Oppure era l’esatto contrario, e l’ucraino in lui picchiava l’austriaco per castigarlo come meritava, quale crudele carceriere del carcere delle nazioni? […] Nella sua impotenza, gli era sembrato che orchestrare la propria umiliazione fosse l’unico modo per esercitare il controllo? O che solo nella punizione avrebbe trovato tregua dall’incessante sforo di controllo generato dalla sfiducia?” (pp. 163-164)

monumento dedicato a Leopold von Sacher-Masoch a Leopoli, Ucraina

Raccontando in ordine sparso le sue memorie, Nada trasferisce l’odio che prova nei confronti di Leopold sul marito Maximilian Moser, esponente della società alto-borghese di Vienna. Il matrimonio rivela fin da subito le prime difficoltà all’interno della coppia. Maximilian è un uomo ricco, coscienzioso e riservato; in lui prevale l’innato desiderio di mantenere l’ordine e il pieno controllo sulla propria vita, compresa la moglie. Nada fatica ad abituarsi all’ambiente viennese e a sottostare alle regole che l’alta società le impone:

Conoscevo Nadežda Sacher-Masoch. Era in gran parte costituita da incertezze e dubbi, ma erano consolidati, familiari, domestici. Ma chi era Nadežda Moser? Con il mio nuovo nome, in casa di Maximilian, a Vienna, mi sentivo in tutto e per tutto un’intrusa. Benvenuta a casa, signora Moser. Sembrava uno scherzo architettato alle mie spalle.” (p. 36)

Maximilian, proprio come Sacher-Masoch, tende a usare la leggenda della “bambina-lupo” per intrattenere gli esponenti della ricca borghesia viennese, svilendo Nada e riducendola a un mero fenomeno da baraccone per compiacere la curiosità dei luminari del secolo. Difatti, Nadežda è un personaggio immaginario che si muove in mezzo a una folla di persone realmente esistite che hanno influenzato la storia dell’Europa di fine Ottocento: incontra Gustave Klimt ed Emilie Flöge, affronta Sigmund Freud e sopporta a fatica Rainer Maria Rilke. Fa la conoscenza di numerosi intellettuali e artisti del periodo, e gli incontri non fanno che sottolineare il disagio che Nada prova nel bel mezzo di una ricca società borghese alla quale non appartiene. Una società all’avanguardia, proiettata verso il futuro, ma da cui emergono già i dissapori e i nazionalismi che di lì a poco porteranno l’Europa alla rovina.

Mano a mano che la storia prosegue, la protagonista si sente sempre più soffocare dalle convenzioni sociali e dal rapporto infelice con il marito. Quando la pressione supera il limite, Nada perde la parola: diviene muta, incapace di articolare qualsiasi suono. Il suo silenzio non è che la volontà del suo stesso spirito di estraniarsi dalla realtà che la circonda. Per trovare una cura a ciò che Maximilian definisce banalmente “isteria”, Nada chiede aiuto, seppur con scarsa convinzione, a Freud, i cui commenti sono sparsi un po’ in tutto il romanzo. È lo stesso Freud, in seguito ad altri avvenimenti che turbano la protagonista, a consigliarle di lasciare Vienna e trovare un posto tranquillo in cui mettere in ordine i propri pensieri e tenere un diario. Il romanzo intero potrebbe essere considerato come la raccolta delle memorie di Nadežda e, difatti, mantiene uno stile intrinsecamente ironico e leggermente disordinato. Il testo è intervallato da cambi repentini e frequenti della narrazione, che creano un intreccio piuttosto complesso e che inizialmente rischia di disorientare il lettore; i pensieri di Nada, inoltre, tendono a confondersi con le voci degli altri personaggi a causa della mancanza di punteggiatura nei dialoghi. Il risultato ricorda il flusso di coscienza, dove il confine tra ciò che avviene davvero e ciò che invece è solo il prodotto di percezioni o riflessioni della protagonista si fa labile.

Katja Perat crea un incastro perfetto tra storia e narrativa in cui i personaggi parlano, osservano e si muovono all’interno delle loro cerchie sociali con assoluta naturalezza. È un romanzo costellato di citazioni, più o meno evidenti, che rimandano ai più grandi pensatori dell’epoca; rende indirettamente omaggio a Simone de Beauvoir, a Virginia Woolf e ad altre svariate figure di spicco della letteratura moderna. Nadežda è una donna intrappolata tra l’ordine e il caos, tra la grande civiltà austroungarica di fine Ottocento e lo spietato secolo breve. Un personaggio moderno e libero, ma allo stesso tempo perfettamente calato nella Vienna fin de siècle.

La masochista è una storia di rivalsa, di amore e odio, di rapporti complessi in cui spesso l’affetto si confonde con l’umiliazione. È la testimonianza di una donna che vuol far sentire la propria voce, soprattutto quando coloro che la circondano gliela negano.

Apparato iconografico:

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Immagine di copertina:

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One Reply to ““La masochista” di Katja Perat: il desiderio di far sentire la propria voce”

  1. Grazie Federica Florio
    per una lettura appassionata, profonda e puntuale.

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