Il fragile confine tra sogno e illusione. “Tahiti: Utopia” di Michal Hvorecký

Niccolò Gualandris

 

Tahiti: Utopia, uscito in slovacco nel 2019 e tradotto da Matteo Annecchiarico per Wojtek Edizioni nel 2025, è un romanzo ucronico di Michal Hvorecký, autore, attivista, blogger e traduttore contemporaneo. Lirico, divertente, ma anche straordinariamente documentato e attuale nelle sue riflessioni, questo romanzo si pone nella vena della Storia alternativa, immaginando un Novecento diverso per la Slovacchia.

La pubblicazione di Tahiti: Utopia segna il ritorno dell’autore nell’editoria italiana a quasi due decenni di distanza dal romanzo XXX, pubblicato nel 2008 da Livello Quattro, nella traduzione di Alessandra Mura. Hvorecký, ancora poco conosciuto in Italia, ha nel frattempo assunto uno stato di prominente rilevanza nel panorama letterario slovacco. Nella recente intervista curata per Meridiano 13, Martina Mecco approfondisce, insieme all’autore, diversi aspetti della sua carriera, dai suoi esordi al recente debutto del suo primo spettacolo teatrale, esplorando il suo lavoro parallelo come traduttore e l’importanza del suo impegno politico e sociale.

Link al libro: https://www.wojtekedizioni.it/prodotto/tahiti-utopia-di-michal-hvorecky/


Anno 1918. La Grande Guerra si è appena conclusa e l’Impero austro-ungarico è crollato. I movimenti indipendentisti possono finalmente emergere e presentare le proprie richieste ai negoziati di pace di Parigi, sapendo di poter contare sul principio di autonomia sancito dal presidente americano Wilson. Tra i popoli che chiedono indipendenza e autonomia territoriale vi è quello slovacco, minacciato dalla pressione ungherese. Attraverso il lavoro del Consiglio Nazionale Cecoslovacco viene avanzata l’ipotesi di un’unione con i territori dell’odierna Repubblica Ceca; così gli slovacchi riescono a garantirsi un riconoscimento internazionale sulle terre, prevalentemente agricole, fino a quel momento riconosciute come “Ungheria settentrionale”. Nasce la Prima Repubblica Cecoslovacca, destinata a durare fino alle soglie della Seconda Guerra Mondiale, unico Stato dell’Europa centrale a mantenere un assetto democratico fino al 1938.

Questa versione della Storia, a cui si è generalmente abituati, non è altro che una fantasia nel romanzo di Hvorecký; una fantasia partorita dalla mente di una giovane storica slovacca intenta a scrivere un romanzo ucronico nell’anno 2020.

Qual è dunque la “vera” realtà storica slovacca nel mondo di Tahiti: Utopia? I negoziati di pace non si sono svolti come previsto e l’incaricato slovacco, il generale Štefánik, non riesce a raggiungere un accordo per l’indipendenza dall’Ungheria. A quel punto, nello sconforto e turbamento generale, un’idea balena nella mente del generale: l’esodo verso una terra promessa dove rifondare una nuova Slovacchia. Grazie alle sue connessioni con i francesi, Štefánik ottiene il permesso di insediarsi a Tahiti, già esotica colonia resa protagonista da Gauguin di affascinanti allegorie sull’origine e il destino dell’umanità.

Sebbene il romanzo di Hvorecký sia a tutti gli effetti un’ucronia, il titolo presenta la narrazione come un’utopia: una vicenda che si dipana tra le ambizioni e le speranze di un popolo che vede minacciata la propria identità, costretto ma impaziente di reinventarsi, e la vicenda individuale di Milan Rastislav Štefánik, aviatore, astronomo e politico slovacco. Štefánik è l’artefice del progetto cecoslovacco – insieme, tra gli altri, a T. G. Masaryk ed Edvard Beneš  – e, nell’ucronia del romanzo, della nuova Slovacchia tahitiana.

È attraverso la parola della storica, concentrata su Štefánik, che il lettore assiste alle varie fasi di realizzazione di questo piano ambizioso. Se nel primo capitolo, datato 1923, viene descritta la morte del generale, avvenuta a Tahiti dopo una manovra aerea spettacolare al termine di celebrazioni nazionali (in realtà nel 1919, con un incidente al rientro da una missione diplomatica) questo brusco inizio sigilla nella monumentalità la figura dell’aviatore, di cui la storica, nonché sua bisnipote, vuole restituire un’immagine autentica, oltre le apparenze e le teorie sempre più strampalate sviluppatesi sulla sua persona.

Volevo che le persone non lo vedessero più solo come una statua, un simbolo, o un monumento, ma finalmente anche come una persona. Era diventato un simbolo molto in fretta. La sua morte inaspettata aveva stimolato la creazione di molti miti. La vittima aveva iniziato a venire idealizzata poco dopo la caduta dell’aereo. La società soffriva per la mancanza di eroi e di modelli di riferimento, e quindi Štefánik era diventato il primo slovacco della storia con un culto creato dalle autorità statali. Sulle isole i monumenti a lui dedicati crescevano come funghi dopo la pioggia, e in ogni insediamento o cittadina di Tahiti veniva dato il suo nome a strade e scuole. Ancora oggi esce un nuovo blog ogni mese, dove di solito vengono sviluppate teorie del complotto riguardanti l’omicidio, il suicidio, l’attentato o l’abbattimento dell’aereo. A volte gli autori incolpano di questo presunto crimine i francesi; altre volte i tahitiani o gli ungheresi, oppure di nuovo gli ebrei.” (p. 35)

Il resoconto dell’esperienza di Štefánik a Parigi, sopraffatto dalla diplomazia europea, tra i tavoli delle trattative e le scorribande con l’affascinante delegato britannico Thomas Edward Lawrence è tra le pagine più riuscite del romanzo. Hvorecký dipinge con grande vividezza un affresco divertente ma impietoso del clima di quel momento, in cui il destino dell’Europa e dei suoi popoli si dibatteva tra rinfreschi principeschi, capricciosi accordi e intese egoistiche tra i singoli delegati delle varie nazioni. Sempre a rischio di farsi inghiottire dagli effimeri piaceri da bon vivant parigino, Štefánik evita di naufragare, tenendo sempre a mente il futuro del suo Paese. Ad ogni modo, le sue proposte per l’indipendenza della Slovacchia vengono rifiutate dalle nazioni sedute al tavolo delle trattative: si procede all’ungheresizzazione del suo Paese, intimidazioni e minacce per i traditori sono all’ordine del giorno.

Štefánik era indignato che quasi nessuno all’estero si interessasse a quella tragedia. Miklós Horthy seguiva con attenzione le reazioni della comunità europea. Si aspettava qualcosa di peggio. Naturalmente la propaganda ungherese aveva confuso le acque. La stampa estera sapeva ben poco. Inoltre, ogni Stato era alle prese con i propri problemi. Nessuno voleva immischiarsi negli affari interni di un paese straniero, e nessuno voleva assolutamente combattere di nuovo. Nessuno aveva né il tempo né la voglia di occuparsi delle sofferenze di un popolo che non conosceva, e che non riusciva nemmeno a trovare sulla mappa. I problemi vanno risolti in loco, dicevano. Ma se questi problemi fossero peggiorati proprio perché all’estero erano state prese delle cattive decisioni?” (p. 101)

 Il generale non si dà per vinto e, dopo aver militato nella resistenza clandestina, sviluppa il piano per l’emigrazione di massa del suo popolo a Tahiti. Inizia dunque l’esodo della popolazione slovacca che, con il proprio condottiero a fare da apripista, lascia la propria terra, resa inospitale dalle crescenti minacce ungheresi per intraprendere un viaggio attraverso due continenti e un oceano. Una fiumana di uomini, donne, bambini, animali e carri attraversa la fragile e devastata Europa dei primi anni ’20, guidata dal sogno di una nuova Patria esotica e misteriosa. È così che l’epica individuale di Štefánik diventa epopea collettiva del suo popolo, un nuovo mito di fondazione forgiato nella sofferenza, nella solidarietà e nella promessa di un nuovo futuro.

Arrivati sull’isola inizia il tortuoso cammino di addomesticamento della natura e della realtà locale a una popolazione abituata ai freddi monti Tatra e alle pianure dell’Alta Ungheria, vengono rinominati luoghi e create nuove tradizioni sincretiche. Non si sorvola sui contrasti con la preesistente amministrazione francese né sulle tensioni con la popolazione nativa, doppiamente colonizzata dagli europei. Il passaggio tra sogno e realtà è traumatico, l’utopia si trasforma in distopia.

Inizialmente gli slovacchi si erano realmente convinti di essere entrati in un mondo nuovo, in mezzo agli ultimi selvaggi buoni, rimasti intoccati dagli errori della civiltà occidentale. Anche i rappresentanti dell’amministrazione pubblica li avevano accolti in maniera piuttosto amichevole. Tuttavia, il loro entusiasmo era direttamente proporzionale alla loro ignoranza delle circostanze e alla loro ingenuità.” (p. 180)

Con intelligenza e padronanza della materia storica Michal Hvorecký confeziona un romanzo ben riuscito, in equilibrio tra narrazione e rielaborazione storica, che mostra una coscienza civile engagée attraverso parallelismi con l’attuale politica europea, i pericoli dei nazionalismi e le grandi narrazioni strumentalizzate a fini propagandistici.

Tahiti: Utopia non è solo un brillante esercizio di immaginazione storica, ma un invito a interrogarsi sul presente: su come si costruiscono le identità collettive, su cosa accade ai popoli che restano fuori dai riflettori della storia ufficiale, e su quanto sia fragile il confine tra sogno politico e illusione. Michal Hvorecký ricorda che ogni utopia, prima o poi, deve fare i conti con la realtà e che proprio in questo scontro si misura la tenuta della memoria e della speranza.

 

 

Apparato iconografico:
Immagine di copertina: Fotografia realizzata da Richard Kohler e concessa dall’autore.