Intervista a cura di Maria Diletta Giordano
Abstract:
Teaching Thomas Mann at University in 2025. An Interview with Stefania Sbarra
This interview reflects on the reception of the author in university classes and investigates whether this reception has changed in teaching different generations. It highlights how Thomas Mann’s texts are relevant for younger generations nowadays and how students find new connections between his work and ethical matters of the present.
Stefania Sbarra insegna letteratura tedesca all’università Ca’ Foscari di Venezia. I suoi interessi di ricerca comprendono le opere di J. W. Goethe e gli autori della transizione tra classicismo e romanticismo tedesco (con particolare attenzione a Heinrich von Kleist), ma anche gli anni della Moderne e della Fin de Siècle. Ha studiato l’influenza di Friedrich Nietzsche in diversi autori, tra cui in Il Suddito di Heinrich Mann.[1] Si è occupata de I Buddenbrook di Thomas Mann in relazione al tema dei personaggi minori.[2] La seguente intervista riguarda la ricezione dell’autore oggi nell’università e all’attualità della sua scrittura nelle diverse generazioni di studenti. La ringraziamo per aver accettato la nostra proposta e aver risposto alle nostre domande.
Maria Diletta Giordano: Innanzitutto, voglio ringraziarla per aver accettato quest’intervista. Le domande che voglio porle riguardano in particolare la didattica universitaria. Com’è avvenuto il Suo primo incontro con l’opera di Thomas Mann? E come l’ha ricevuta da studentessa? Quali erano le parole chiave sulla poetica di Mann quando studiava, e quali sono oggi? Per esempio, quando studiavo io queste parole erano: rapporto tra arte e vita, Kränklichkeit e Lubecca.
Stefania Sbarra: Ho un ricordo abbastanza preciso della mia prima lettura di Thomas Mann: vacanze estive ai tempi del liceo, anni Ottanta, forse a 16 o a 17 anni, ero al mare e al mercatino dell’usato trovai un’edizione di Mario il mago e Le teste scambiate, nella collana degli Oscar tascabili Mondadori. Mi divertì la coincidenza di trovarmi in vacanza a leggere un racconto, Mario il mago, ambientato su una spiaggia italiana. Poi a scuola si leggevano soprattutto estratti da La morte a Venezia e Tonio Kröger, meno le opere successive alla Prima guerra mondiale. Un corso monografico sullo scrittore non vi fu durante i miei studi universitari, ma le sue opere figuravano nel canone di letture da preparare da soli.
Credo che nel frattempo il Mann politico abbia guadagnato terreno rispetto ad allora, senza nulla togliere, com’è ovvio, alla centralità del rapporto tra arte e vita che rimane fondamentale anche dove gli eventi della storia, dalla Repubblica di Weimar al Terzo Reich, impongono a Mann delle prese di posizione.
MDG: Con quali nuovi strumenti critici si confronta il professore oggi rispetto al passato? Quali approcci sono più produttivi oggi per avvicinare lo studente ai testi di Mann a livello metodologico?
SS: Personalmente credo che un classico come Thomas Mann possa parlare a un lettore contemporaneo senza alcuna mediazione accademica: come tutti i classici, arriva direttamente al cuore e alla mente di un lettore appassionato e culturalmente attrezzato. Nella didattica universitaria invece credo che sia cruciale guidare studentesse e studenti alla scoperta delle relazioni che il testo intrattiene con il suo tempo e che un lettore privo di conoscenze di contesto non può rinvenire. La ricostruzione dell’orizzonte di esperienza di un’epoca è, ermeneuticamente parlando, un punto di partenza che ritengo irrinunciabile, così come fondamentale rimane quell’allenamento all’atto della lettura che ci insegnava Wolfgang Iser cinquant’anni fa. Ci sono metodi che con determinati autori non invecchiano. Bisogna insegnare a interrogare il testo in modo che esso risponda, trovare una o più chiavi d’accesso a un sistema perfettamente e consapevolmente costruito da uno scrittore cui non si può davvero applicare l’idea della morte dell’autore senza privare studenti e lettori del piacere estetico che esso può dare. E queste chiavi si forgiano nell’interazione di approcci diversi ma non ostili tra loro, come quello filologico, ermeneutico e semiologico, che possono senz’altro integrarsi. Su questo zoccolo duro metodologico, che apre il testo alla comprensione senza esaurirla, possono poi poggiare altri sistemi di lettura, dagli studi di genere a quelli transmediali.
MDG: Quali temi sono più difficili da veicolare oggi a chi si approccia all’autore per la prima volta? Quali destano invece un maggiore interesse?
SS: I temi più difficili da veicolare sono quelli legati alla relazione tra filosofia e letteratura che in Thomas Mann è particolarmente feconda. E sono proprio questi temi ostici che poi diventano i più interessanti, perché i nodi filosofici, una volta messi a fuoco, sono molto gratificanti.
MDG: Nei suoi corsi è il romanzo I Buddenbrook a ricevere maggiore attenzione. La preferenza per quest’opera ha una ragione particolare? Ritiene che essa rappresenti il veicolo migliore per comunicare i temi fondanti della poetica di Mann a chi ha poca esperienza con l’autore e con i temi della Moderne?
SS: È un romanzo che amo molto per la maestria stilistica con cui il venticinquenne Thomas Mann trasfigura la storia della propria famiglia nell’affresco vividissimo della crisi di un’epoca. A colpirmi è la freschezza narrativa che, come in Goethe, pervade i capolavori della giovinezza. I temi che veicola sono enormi, ma la veste narrativa è come l’acqua che aiuta a inghiottire le pastiglie più grosse e amare. Trovo inoltre che I Buddenbrook nella sua veste di romanzo familiare offra a studentesse e studenti la possibilità di calarsi nella rappresentazione di un mondo che nei suoi tratti elementari non è poi così lontano dalla loro esperienza nelle relazioni affettive dell’infanzia, dell’adolescenza e della prima età adulta che stanno affrontando. E un romanzo di madri, padri, figlie e figli, di amore e ricatto affettivo, di nascite e lutti, e di generazioni che perdono cose guadagnandone altre. Ed è anche il romanzo di quella che oggi chiamiamo una MPI, una piccola-media impresa, che proprio nel Nordest dove insegno è un modello di successo economico ma anche di crisi su vari livelli che non è affatto estraneo ai giovani di oggi. Quel che invece è lontano dalla nostra sensibilità e da quella dei giovani in particolare, è lo spietato determinismo che condiziona senza scampo le sorti dei membri della famiglia. Per fortuna, possiamo ben dire, e anche questo è uno spunto di discussione molto fecondo in sede seminariale. Vorrei infatti sottolineare che, almeno nella mia esperienza, è nei corsi di magistrale, in cui è più facile coinvolgere i discenti in una discussione, che un autore come Thomas Mann può ricevere le attenzioni che merita per la ricchezza delle sue opere.
MDG: Crede che la percezione che hanno le studentesse e gli studenti del romanzo e dell’autore sia cambiata da quando ha iniziato a insegnare, e se sì, in quale direzione?
SS: In generale è la disponibilità a leggere grossi volumi che è calata negli anni, e questo è l’effetto più negativo del passaggio non tanto al cosiddetto 3+2, quanto alla struttura semestrale dei corsi, compressi in una manciata di settimane. La lettura de I Buddenbrook è comunque sempre gratificante. In particolare, sono le questioni di genere a destare un maggiore interesse negli ultimi anni. La consapevolezza della centralità dell’autore nel canone della letteratura tedesca e non solo tedesca, com’è ovvio, è poi stata accresciuta, negli ultimi anni, dalla pubblicazione delle opere di Thomas Mann nella prestigiosa collana dei Meridiani Mondadori.
MDG: Come si è trovata ad affrontare il tema del personaggio minore nell’opera di Mann?
SS: Sono stata invitata a riflettere su questa categoria, e ho trovato che in questo romanzo manniano i personaggi minori avessero una funzione strutturale tutt’altro che minore, come avviene anche nei romanzi di Theodor Fontane. Che essi, cioè, fossero, in virtù della ritmica delle loro manifestazioni nel corso della vicenda narrata, una delle ragioni strutturali per cui il romanzo è sì un romanzo sulla decadenza, ma non è affatto un romanzo dallo stile decadente, e che la sua plasticità nasca non soltanto, ma in buona parte dalla rete di donne, uomini e bambini che costellano con la cadenza ricorrente dei loro gesti i margini delle vite dei Buddenbrook.
MDG: Quali aspetti dell’opera di Mann è bene affrontare oggi per le nuove generazioni? In che modo è significativo insegnarla al giorno d’oggi?
SS: L’era digitale e in particolare l’uso dello smartphone, al netto dei molti vantaggi che ha portato, rischia di arrecare un danno enorme ai giovani: ha ridotto vertiginosamente la capacità di concentrazione e di lettura, soprattutto dei lunghi romanzi. Molti studiosi nel campo della psicologia e dell’educazione parlano di un rapido venir meno della lettura profonda, e noi docenti ce ne accorgiamo ad ogni arrivo dei nuovi iscritti. Contemporaneamente in Italia i dati forniti nel 2024 dall’Osservatorio AIE (Associazione Italiana Editori) parlano di una flessione nella percentuale dei lettori nella popolazione complessiva rispetto all’anno precedente, ma dicono anche che a non far precipitare la situazione sono le donne e i giovani. Trovo che sia una notizia confortante, e la mia esperienza mi dice che, quando ai giovani si offre la grande letteratura, essi rispondono con entusiasmo. Ora, la prosa articolata di Thomas Mann è una chance per trovare o ritrovare il tempo lungo e denso della concentrazione da un lato, e per riscoprire la gratificazione di un’esperienza non immediata, che richiede dedizione a attesa. Il primo aspetto di cui tenere conto è quindi la scrittura stessa, lo stile, il colore, la sintassi, l’andamento musicale, e tutti quegli elementi della scrittura letteraria di spessore che sono una vera e propria palestra per la mente. A dircelo sono anche gli studiosi della cosiddetta teoria della mente. Penso a un articolo di D.C. Kidd e E. Castano apparso su “Science” nell’ottobre del 2013, dal titolo Reading Literary Fiction Improves Theory of Mind.
MDG: A livello di proposte per approfondimenti, tesine e tesi di laurea ha trovato cambiamenti negli argomenti che gli studenti scelgono di trattare in relazione a Mann?
SS: In realtà sono pochi anni che tratto Thomas Mann nei corsi, e non dispongo di un campione abbastanza significativo per rispondere con certezza a questa domanda. Certo è che in sede seminariale le questioni relative al genere destano oggi più interesse di un tempo.
MDG: Crede che l’apertura ai Queer Studies e ai Gender Studies possa influenzare la didattica di Mann in una direzione diversa sul tema dell’androgino? In un’altra intervista di questo speciale, quella al prof. Elsaghe, ci si interroga sulle motivazioni per cui questo tema sia rimasto sullo sfondo per diversi decenni. Crede che la situazione nelle aule universitarie stia cambiando?
SS: Credo di sì. Molto dipende dall’indirizzo che i docenti imprimono al corso e dalle sollecitazioni che giungono dagli studenti stessi. Io non ho una formazione teorica solida su Queer e Gender Studies perché il mio interesse per la letteratura è in primo luogo estetico, ermeneutico e storico-filosofico. Mi rendo conto però che questa dimensione ai giovani interessa moltissimo, e non ho preclusioni, anzi, mi interessa imparare dai giovani, soprattutto quando rientrano dall’Erasmus e hanno avuto un’esperienza didattica in tal senso. Quando si manifesta una richiesta che ha dimensioni generazionali, è importante che ci sia una risposta adeguata. Tutto questo però non può prescindere da quello zoccolo duro di cui sopra, perché una lettura esclusivamente attualizzante di un testo complesso ne rischia la banalizzazione. Per quanto mi riguarda, cerco di dare agli studenti quel che mi riesce meglio, è la mia forma di deontologia professionale. Poi su nulla mi sento di dire l’ultima parola.
Apparato iconografico:
Immagine 1 e immagine di copertina: Immagine fornita dall’intervistata.
[1] S. Sbarra, Heinrich Manns Die kleine Stadt oder die Lust am Stimmengewirr der Fremde, in «Heinrich Mann-Jahrbuch», 27/2009 (2010), p. 103-118; S. Sbarra, Il suddito di Heinrich Mann o Nietzsche contra Nietzsche, in: P. Amato, G. Miglino (a cura), Lo stile di Dioniso. La filosofia di Nietzsche nella letteratura tedesca del Novecento, Milano, Mimesis 2013, pp. 137-15; S. Sbarra, Heinrich Manns Essays: polarisierende Prosa, in: M. Brambilla, M. Pirro (a cura), Wege des essayistischen Schreibens im deutschsprachigen Raum (1900-1920), Amsterdam, New York, Rodopi 2010, pp. 93-108; S. Sbarra, Der Untertan. Zur Genealogie des öffentlichen Körpers, in: «Heinrich Mann-Jahrbuch», 24/2006, pp. 115-130.
[2] Stefania Sbarra, I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia di Thomas Mann, in S. Sbarra (a cura di), I personaggi minori. Funzioni e metamorfosi di una tipologia del romanzo moderno, Pacini 2017, vol. 24, pp. 139-155.