Intervista a cura di Silvia Girotto
Abstract:
Gender and Illness by Thomas Mann. An Analysis with Professor Yahya Elsaghe
Yahya Elsaghe is a Germanist and Professor of Modern German Literature at the University of Bern. The aim of this interview is to explore the ideas of gender roles and illness in the works of Thomas Mann. Femininity, masculinity and gender identity in Mann have only become a topic of discussion in recent decades, but they are fundamental concepts to understand Mann as an individual author and as a representative of his generation. The relationship between gender and illness is particularly highlighted in his last work, the novella The Black Swan, in which gender roles are questioned, also in relation to the biblical sphere.
Yahya Elsaghe è germanista e docente di Letteratura tedesca moderna dal 2001 presso l’Università di Berna. Tra i punti fondamentali della sua ricerca si annoverano Goethe e Thomas Mann e il professore ha pubblicato numerose opere sulla produzione di quest’ultimo, mentre attualmente ambito della sua ricerca è l’opera di Johann Jakob Bachofen e Gottfried Keller. Nel 2010 è stato pubblicato il suo saggio Krankheit und Matriarchat: Thomas Manns „Betrogene“ im Kontext (“Malattia e matriarcato: L’inganno di Thomas Mann contestualizzato”): il testo analizza l’ultima opera compiuta di Mann, un racconto che si concentra sull’esperienza di una donna al centro di una storia d’amore e di malattia. In questa intervista si è voluto approfondire con il Professor Elsaghe proprio temi quali la femminilità e la malattia nell’opera di Thomas Mann. La Redazione di Andergraund ringrazia il Professor Elsaghe per la sua disponibilità.
Silvia Girotto: Vorrei iniziare con una domanda che riguarda lei e le sue ricerche: quando è iniziato il suo interesse per Thomas Mann e come ha avuto modo di approfondire questo autore? In particolare, vorrei chiederle quando ha deciso di dedicarsi al tema del femminile e se erano già disponibili ricerche in questo ambito.
Yahya Elsaghe: Quando ho iniziato a dedicarmi a questi temi non era ancora disponibile bibliografia critica in merito. Gli studi di genere hanno ignorato a lungo Thomas Mann e quando le ricerche riguardanti le tematiche di genere sono iniziate, in concomitanza alla diffusione dei diari di Mann, esse sono state immediatamente assorbite dai Gay and Lesbian Studies e dai Queer Studies. Insomma, la scienza letteraria femminista e sensibile alle tematiche di genere ha riscoperto Thomas Mann solo nel nuovo millennio.
Per quanto riguarda la prima domanda, il mio interesse per Thomas Mann è iniziato nel millennio scorso, benché il tema fosse inizialmente un altro. In particolare, il mio interesse riguardava il concetto di confine e la rappresentazione dei confini. Mi sono chiesto perché, in fin dei conti, crediamo ai confini. Si tratta di effetti discorsivi, che, ciò nonostante, funzionano e per essi si è disposti a uccidere e farsi uccidere. Ero convinto che si potesse interrogare la letteratura per comprendere come creiamo dei confini affinché questi possano funzionare. Per questo ho scelto Thomas Mann, che è stato il primo o comunque il più famoso e il più acclamato autore della prima generazione successiva al 1871. Si tratta di una generazione che rappresenta un ottimo case study, perché il confine che è stato creato nel 1871 tra il Piccolo impero tedesco e l’Austria non era realmente giustificabile in nessun discorso nazionalistico, né dal punto di vista religioso né da quello linguistico. I bavaresi sono infatti molto più vicini agli austriaci che non ai tedeschi del Nord e, ciononostante, si è pensato che si potesse dare vita a una nazione organica da un giorno all’altro. Tuttavia, si trattava di una situazione ben diversa da quella austriaca. La Germania è un esempio particolarmente calzante per quanto riguarda il concetto di confine, perché il confine della Piccola Germania è stato stabilito tardi e in maniera arbitraria. Nonostante questo, ha avuto effetto immediato. Per questo è necessario ringraziare anche Thomas Mann, poiché dalla sua epoca ai giorni nostri è stato il rappresentante di questa generazione di autori tedeschi. Le possibilità che prospettava devono essere state particolarmente attraenti.
Questo era dunque il contesto che mi interessava indagare. Il primo riscontro che ho avuto è che questo confine è stato immaginato come un “cordone sanitario” e che molte delle storie dedicate alle infezioni raccontate da Thomas Mann si sviluppano sempre, in qualche modo, lungo un confine. I suoi protagonisti attraversano sempre questo confine. Entrano in gioco poi questioni diverse, tra cui il sesso e il genere. Riguardo a questi, Thomas Mann offre qualcosa di particolarmente rilevante in tal senso: il tedesco in sé viene immaginato come maschile e l’“Altro” come femminile. Questo giocò successivamente un ruolo fondamentale nella propaganda bellica tedesca, anche come una legittimazione a rompere il diritto internazionale.
In tal modo sono arrivato all’importanza del femminile nel registro dell’immaginario di Thomas Mann, ma si tratta solo di un risultato secondario. Mi sono concentrato nello specifico sulla paura del contagio ne L’inganno. Questo è tuttavia un caso particolare: in questa storia non si parla di contagio e ci si occupa infatti di una nuova tipologia di malattia e di una nuova protagonista. Questa è l’unico personaggio femminile al centro di una delle storie di Mann, nonostante anche il romanzo Charlotte a Weimar venga definito in questo modo.
SG: La questione di genere nell’opera di Mann è un tema poco approfondito rispetto alla morte, il tempo, la malattia, l’eros e molti altri. Tuttavia, nella sua opera pubblicata? in vita è chiaro che le opposizioni e i collegamenti tra maschile e femminile vengano trattati spesso. All’inizio del suo percorso letterario Mann presenta questo tema, ad esempio, nei racconti Luisella o Caduta, in cui tematizza il contrasto tra i due generi. Più tardi anche Clawdia Chauchat ne La montagna magica mostra nuovamente lo scambio tra maschile e femminile. Alla fine al pubblico viene presentata una rivoluzione sociale, anche se limitata, del ruolo del femminile. Per quale motivo il tema è sempre rimasto nell’ombra e come è stato portato alla luce?
YE: In realtà esistevano già alcune ricerche in tal senso, ma non erano particolarmente sviluppate. Infatti, credo che per quanto riguarda il genere e soprattutto l’immaginario del femminile Thomas Mann non sia in alcun modo originale. Non credo che offra qualcosa di specifico, ma si tratta solo di una mia speculazione. È bene ricordare che tutto ciò che riguarda sesso e genere in Mann è stato assorbito dalla fissazione monomaniacale per la sua bisessualità o la sua omosessualità. Questo avviene a partire dalla diffusione dei diari, sebbene si tratti di qualcosa che sarebbe già dovuto essere noto.
SG: Le viene in mente un testo in particolare di Thomas Mann che, secondo lei, tematizza la convivenza dei due generi? O crede che questo sia possibile solo attraverso la sua intera opera?
YE: Credo che questo tema sia sempre presente. L’inganno è già la prova di un’estremizzazione: i modi in cui vengono rappresentati i due generi vengono invertiti in modo evidente. Tuttavia, la questione dell’incontro e della relazione tra generi gioca di continuo un ruolo in tutta l’opera di Mann, il che non sorprende.
SG: Le opere di Thomas Mann non mostrano solo una nuova rappresentazione del femminile, bensì anche una nuova figura maschile. È difficile identificare tra i suoi protagonisti esempi stereotipici della mascolinità: gli uomini dei suoi testi non sono forti, presentano malattie o una mescolanza delle rappresentazioni che caratterizzano maschile e femminile. Si può dunque parlare di una nuova rappresentazione della mascolinità?
YE: Non penso sia così, perché la vecchia rappresentazione di maschile viene portata avanti da alcuni personaggi, come Anton Klöterjahn (N.d.T. personaggio di Tristano), e gli uomini che si allontanano da quella che è considerata la norma nella società del tempo, i deboli, gli uomini in declino, vengono sempre valutati in base alla loro lontananza dalla norma. La norma rimane quindi intatta, ciò che accade è che questi uomini vengono misurati secondo una nuova scala. Il contesto è ovviamente il fascino per il declino e per i discorsi sulla degenerazione. Ma non credo che la vecchia rappresentazione della mascolinità venga rifiutata o che vi sia una vera e propria concorrenza. C’è un allontanamento dalla mascolinità tradizionale, in cui anche il declino e la decadenza portano un valore aggiunto. Non è una teoria solo di Mann, si può identificare nel discorso contemporaneo che anche ciò che definisce l’arte e il senso estetico è sostanzialmente legato alla femminilità, intesa nel senso normativo della forza. Arte e predisposizione estetica rappresentano, dunque, una manifestazione del declino. È chiaro chi è stato il predecessore di questa idea: Nietzsche, che ha presentato il suo stesso wagnerismo e quello di Thomas Mann come manifestazioni della decadenza.
SG: Quindi non direbbe che ci sia stata una particolare influenza di Thomas Mann su altri autori per quanto riguarda questa nuova mascolinità e la sua rappresentazione?
YE: Questo andrebbe verificato. Posso presupporre che ci siano stati diversi fraintendimenti, ma sarebbe necessario analizzarli nel dettaglio.
SG: Con la teoria di genere si presenta anche l’idea di malattia collegata al genere. Ne L’inganno si riconosce infatti un esempio di una malattia esclusivamente femminile, il cancro all’utero. Si possono trovare nelle opere di Mann malattie che possono riferirsi unicamente al corpo maschile? La mascolinità gioca un ruolo particolare in relazione alla malattia?
YE: Questa è una domanda complessa, poiché in Mann ci sono sempre protagonisti maschili e questi personaggi sono sempre soggetti a infezioni. Ci sono ovviamente anche donne che vengono infettate, ma rimangono sempre ai margini. Tuttavia, è importante osservare che la sola protagonista donna e ultimo personaggio principale dell’opera di Mann soffre di una nuova tipologia di malattia che colpisce organi che un uomo non possiede. Lei ha nominato il cancro all’utero: questa era l’idea originaria. È rilevante che Thomas Mann abbia fatto ricerche tanto a lungo da notare che l’aneddoto che gli era stato inizialmente riferito non poteva essere vero. Il cancro primario non poteva assolutamente provenire dall’utero, non si sarebbe spiegata la sintomatologia, bensì aveva avuto origine nelle ovaie. Per questo è rimasto a lungo un mistero. Da ciò deriva anche il sospetto che il risveglio sessuale della donna fosse in fin dei conti una manifestazione della malattia. Tuttavia, dal punto di vista storico, la storia della letteratura rispetto alla manifestazione del cancro è tale per cui si scelgono pazienti femminili e organi che un uomo non dovrebbe avere. Gli autori trasmettono le loro paure davanti alle nuove malattie in modo che si ammalino e muoiano persone con le quali non si possono identificare. Questa soluzione è stata a lungo impiegata. La storia della letteratura sul cancro non inizia con Tolstoj, bensì con i tedeschi, in una terra in cui la rivoluzione batteriologica aveva fatto dei progressi particolarmente veloci. È iniziata nella letteratura tedesca con questa figura di proiezione della malattia. In Gottfried Benn, ad esempio, si parla di Gebärkrebs o Schoßkrebs (“cancro uterino”). Anche il cancro al seno nella percezione collettiva è una malattia femminile, benché non sia tutto corretto. E da qui si prosegue con Thomas Mann e successivamente con Philip Roth e il suo Dying Animal. Non ho ancora trovato una singola autrice che scriva di cancro alla prostata nello stesso modo sensuale, anche se la portata epidemica di questo tipo di cancro può essere certamente confrontate con quella corrispondenti ai tipi di cancro femminili che colpiscono i caratteri primari e secondari e i rispettivi organi.
SG: I due personaggi femminili in L’inganno, la protagonista Rosalie e sua figlia Anna, presentano una malattia e una disabilità che sono un cancro e un piede varo. Ciononostante, le due donne si trovano in una condizione privilegiata: Rosalie è vedova e quindi più libera rispetto a tante altre donne e della sua autonomia gode anche Anna. Le due protagoniste possiedono una casa e hanno abbastanza soldi perché la loro vita non dipenda da un uomo. Si distaccano quindi dalle norme sociali dell’epoca. Si può identificare in questo una sorta di resistenza alla decadenza come ne I Buddenbrook?
YE: Innanzitutto non abitano in una casa particolarmente bella e vivono in condizioni modeste. Se la cavano dal punto di vista economico, come si può vedere dalle allusioni al controllo dell’iperinflazione e alla riforma monetaria. Occorre anche precisare che, in realtà, vivono grazie ai soldi del padre. Vivono dunque della rendita di un uomo che occupava una posizione importante nell’immaginario dell’uomo ideale, un maggiore o un tenente colonnello. Il militare, questa forma antica di mascolinità, muore di una morte che non potremmo definire eroica: proprio all’inizio della guerra perde la vita in un incidente d’auto. È ovviamente molto malizioso rappresentare in questo modo il tradizionale ideale maschile che viene sorpassato. Tuttavia, in realtà, le protagoniste vivono grazie al patriarca della famiglia. Credo che l’analisi sociale ne I Buddenbrook e ne L’inganno sia difficile da confrontare. Vi è di certo una critica sociale ne L’inganno, ma si deve scavare a fondo.
Ho cercato di sviluppare la tesi per cui ci potrebbe essere una relazione tra la nuova malattia che viene presentata in L’inganno e il repubblicanesimo, poiché entrambi si basano sull’abbandono delle gerarchie, ma si tratta solo di una speculazione. Tuttavia, spiegherebbe perché Thomas Mann faccia raramente della Repubblica di Weimar l’oggetto della sua narrazione: ne vengono descritti gli anni peggiori in Disordine e dolore precoce e compare una volta ne L’inganno. In quest’ultimo vengono descritti gli anni d’oro, ma fatali per la protagonista.
Per quanto riguarda il piede varo di Anna, non si tratta di una malattia come quella di Rosalie, bensì di una disabilità che la svantaggia nella vita sociale. Lei è una donna nubile, che non riesce a liberarsi da tale situazione se non grazie al Dottor Brünner, il quale, tuttavia, non è abbastanza coraggioso per avviare una relazione con lei. Non credo che si possa parlare di resistenza femminile. In particolare, penso al modo in cui Rosalie impiega la Bibbia in Genesi, 18. La storia di Sara e Abramo viene richiamata più volte da Rosalie decostruendone la narrazione. Questo è il lato divertente della vicenda: la narrazione non tratta di un concepimento da parte di Sara dopo la menopausa, bensì del fatto che lei possa provare piacere nell’attività sessuale. È talmente arcaico da risultare divertente.
SG: La domanda successiva si riferisce proprio alla storia di Sara e Abramo: lo scambio dei ruoli culturalmente legati a maschile e femminile riguarda anche figure bibliche che appaiono in L’inganno, ovvero Sara e Abramo. Non si tratta tuttavia dell’unico impiego di figure bibliche nell’opera di Mann: Come si può interpretare questa tendenza? Forse Mann intendeva criticare i dogmi più forti, ovvero quelli religiosi, per stimolare uno sviluppo sociale?
YE: Si potrebbe ribaltare la domanda: perché non impiegarle, queste figure? Si tratta di una questione profondamente radicata nella sua tradizione: il suo immergersi nell’atto del narrare funziona ancora con il passare del tempo, sia nel raccontare fiabe che storie bibliche. Non credo che sia necessario spiegarlo. Altri autori hanno fatto lo stesso, credo sia prevedibile. Si potrebbe anche dire, in altri termini, che in particolare nel Giuseppe Mann si impegni nel fare questo. Tuttavia, va considerato che Giuseppe non è da interpretare solo come narrazione biblica. Nel romanzo stesso si fa riferimento al fatto che la storia non sia di monopolio giudeo-cristiano, ma come essa sia presente anche nell’Islam. In realtà, è un tentativo di superare l’eurocentrismo, trattandosi di una storia orientale.
E se si confronta la storia di Giuseppe con quella di Sara e Abramo, come cerca di fare Rosalie, emerge una differenza sostanziale. La storia di Giuseppe è il racconto della rigenerazione e del continuo ritorno del patriarcato. La storia di Sara e Abramo è, invece, indirizzata contro l’appropriazione di questa narrazione, sebbene la si possa leggere come giustificazione o proseguimento di una dinastia patriarcale. E in tal senso è rilevante che proprio queste ultime parole di Thomas Mann, il suo ultimo uso di materiale biblico, sia una critica nei confronti del patriarcato. In ogni caso, tutto ciò viene presentato in un contesto politico in cui il patriarcato con le sue gerarchie definite in un certo modo ha fallito anche politicamente, sia all’epoca della stesura del testo, gli anni Cinquanta, che durante l’epoca trattata, ovvero il quinquennio d’oro della Repubblica di Weimar.
SG: Dopo che è stato risvegliato questo interesse nei confronti di temi come la sessualità e la questione di genere in Thomas Mann sono forse stati identificati anche altri autori e autrici che se ne sono occupati? Quale influenza ha il manifestarsi di queste tematiche nella letteratura contemporanea?
YE: Certamente, la differenza di genere continua ad essere al centro dell’attenzione. Ha sempre rappresentato un tema importante, ma nella generazione di Thomas Mann venne problematizzato. Ciò che mi interesserebbe maggiormente approfondire è chi sono i precursori e perché questa questione irrompa così violentemente proprio in questa generazione. A dire il vero, tutto inizia una o due generazioni prima con Johann Jakob Bachofen. Questo è il testo fondativo, o il corpus fondativo, del moderno discorso di genere, a lungo ignorato da Thomas Mann. L’influenza di Bachofen inizia già negli anni giovanili di Mann, quando redige i primi testi, ma ancora non lo comprende. I membri del movimento letterario della Bohème di Schwabing cercano effettivamente di modellare il proprio stile di vita alternativo prendendo Bachofen, ad esempio, o il suo Mutterrecht (“Il diritto materno”, 1861) come manuale. Thomas Mann riconosce queste nuove forme di convivenza e anche il superamento di certi tabù come la monogamia, ma se ne prende gioco senza comprenderne la contestualizzazione. Il testo in cui si rivela maggiormente questo atteggiamento è Il profeta, in cui il un ritratto di Reventlow [N.d.T. la scrittrice e pittrice Franziska zu Reventlow] mostra quanto egli fosse inconsapevole. Lui sa che esiste questo culto della maternità, ma non conosce la sovrastruttura.
SG: Ha avuto modo di approfondire personalmente autori e autrici perché avevano a che fare con questi stessi temi presentati da Thomas Mann? Magari confrontandoli?
YE: Ne ho avuto in parte occasione con Gottfried Keller, partendo da un sospetto che avevo. Il mio attuale progetto riguarda Bachofen e, tra le altre questioni, ho cercato di comprendere quali siano le prime apparizioni di questi temi nella letteratura tedesca all’epoca di Bachofen. Il primo riscontro che ho identificato – o che Thomas Mann ha identificato – è Wilhelm Raabe. Al momento sto lavorando invece su Gottfried Keller, il quale presenta già una problematizzazione della differenza di genere. Il mio sospetto è che lui sia stato, a sua volta, influenzato da Bachofen. Questo vale soprattutto per le opere più tarde di Keller.
SG: Ha potuto identificare altri temi che potrebbero essere approfonditi nel contesto accademico tedesco e internazionale?
YE: Posso solo dire quello che personalmente mi interesserebbe approfondire, ovvero le incongruenze. Non si tratta di un interesse tematico, ma metodico. In effetti, vorrei approfondire la questione a partire dal concetto freudiano di lapsus o qualcosa che vi si avvicina. Vorrei individuare le incongruenze dei testi non per provare che l’autore ha commesso degli errori, bensì per capire perché possono presentarsi dei lapsus o degli errori e perché, a volte, questi debbano presentarsi, quale significato abbiano. In relazione a Thomas Mann ho fatto qualche piccola ricerca. Si riscontra, ad esempio, una datazione molto precisa: anche se le indicazioni temporali vengono inserite in modo fugace, in maniera quasi casuale e senza forzature, la datazione generalmente è corretta. Analizzando gli appunti, ad esempio quelli per I Buddenbrook, si capisce anche il perché. Ovviamente gli anni e i mesi vengono inseriti solo ogni tanto nel testo, ma è presente una struttura ben chiara. Mann ha concepito il tutto in maniera molto precisa, ma ci sono comunque alcune piccole incongruenze. Christian Buddenbrook, ad esempio, ad un certo punto viene detto assente da casa per otto anni, un’altra volta per dieci anni. Non si tratta di provare l’incapacità dell’autore, bensì di capire cosa significhino questi lapsus. E si potrebbe mostrare anche come, presentando attenzione, ne L’inganno le date si contraddicano. La mia questione sarebbe dunque la seguente: come nascono queste incongruenze? In questo caso particolare di datazione si tratta di sottolineare che si trattasse di un bel periodo della Repubblica di Weimar. Non un momento qualunque, bensì il 1925 o il 1926. Questo rende il testo ancora più interessante, perché una storia così tragica è ambientata in un’epoca particolarmente positiva. Credo che le ricerche su Thomas Mann farebbero bene a diversificarsi dal punto di vista metodologico. Ritengo sia evidente il fatto che certi approcci vengano impiegati con persistenza e altri di rado o non a sufficienza. Credo che ciò avvenga soprattutto nei confronti di altre ricerche specializzate su autori altrettanto importanti.
Apparato iconografico:
Immagine 1 e immagine di copertina: Immagine fornita dall’intervistato.