Thomas Mann e la Cecoslovacchia (1932-1939): da ambasciatore di Goethe a cittadino cecoslovacco

Maria Diletta Giordano

 

Abstract:

Thomas Mann and Czechoslovakia (1932-1939): From Goethe Ambassador to Czechoslovak Citizen

The article summarizes the relationships between Thomas Mann and Czechoslovakia from 1932 to 1939 with special regard to the dynamics surrounding the concession of the Czechoslovak citizenship to the author in 1936. The description of two important visits, 1932 for a lecture on Goethe in occasion of the Goethe Year and 1935 for a lecture on Richard Wagner, highlights the reception of Mann’s figure in Czechoslovakia as a representative of a cosmopolitan Germany, counterpart of the Hitler-Germany. This attitude of the author is reinforced by his gratefulness to the country after the concession of the citizenship in 1936. The political views expressed by the author in the first years of his American exile and his support to other exiled intellectuals from the Czech lands show his conception of Czechoslovakia as a land of freedom and culture.


C’è un aneddoto ungherese riguardante Thomas Mann, riportato da Imre Békessy nella rivista “Úsjág” (17/01/1937), che racconta di una lettura pubblica del 1937 a Budapest in cui lo scrittore si mostrò così felice che gli venne chiesta la ragione deluonumore, per lui del tutto insolito nel parlare in pubblico. Secondo la vulgata, in risposta alla domanda il premio Nobel del 1929 estrasse il passaporto e lo indicò come motivo del suo buon umore.

‘Si immagini che… ho un passaporto […]’ Spiegò alla stampa. ‘È andato tutto liscio. Ho avuto il visto, gli impiegati alla dogana mi hanno salutato gentilmente, nessuno mi ha guardato storto. Dio benedica il signor Fleischmann a Proseč!’ (Békessy 1937: 11-12)

Il documento di viaggio nelle mani di Thomas Mann era un passaporto cecoslovacco, rilasciato grazie a una regolare cittadinanza che Mann aveva ottenuto qualche mese prima con un giuramento in lingua ceca nel consolato cecoslovacco in Svizzera. Proseč era, ed è, la cittadina che accordò a Thomas Mann la residenza nel 1936, condizione necessaria per richiedere la cittadinanza. Rudolf Fleischmann era il membro del consiglio comunale che convinse Proseč a offrire asilo all’autore e sbrigò l’iter burocratico per l’ottenimento della residenza e poi della cittadinanza per delega, dopo aver fatto lo stesso per Heinrich Mann tra il 1935 e il 1936. Il suo sostegno alla famiglia Mann lo costrinse alla fuga in Inghilterra nel 1939.

All’epoca dell’aneddoto, nel 1937, il passaporto tedesco di Mann era scaduto già da quattro anni, lo stesso lasso di tempo che definiva la sua assenza dalla Germania. Ufficialmente, Thomas Mann cessò di essere cittadino tedesco nel 1936, ma è noto che l’autore si considerava apolide di fatto da diversi anni. Inoltre, quando Reinhard Heydrich ne dichiarò l’estradizione, Mann era già cittadino cecoslovacco da qualche settimana.

La famiglia Mann ebbe frequenti contatti personali e culturali con le terre ceche. Thomas Mann aveva innanzitutto due cognate ceche: Heinrich aveva sposato l’attrice Marie Kanová (Mimi Mann), nel 1914, all’età di quarantatré anni. Da lei aveva avuto una figlia, Leonie Mann. Anche il fratello di Katia Mann (moglie di Thomas), Klaus Pringsheim, aveva sposato una ceca, la ballerina Klara Koszler.

Nel 1933, quando Heinrich fu estradato, Mimi e Leonie emigrarono subito in Cecoslovacchia, dove vissero fino alla fine della Seconda guerra mondiale – un momento delicato data l’ascendenza ebraica di Mimi e la condizione delicata di Mischling (“sangue misto”, locuzione usata per definire i figli di matrimoni misti tra tedeschi e persone di altre etnie durante il Terzo Reich) di Leonie. Qualche tempo dopo, Golo Mann le raggiunse e andò a vivere vicino a loro per studiare all’Università tedesca di Praga (Deutsche Universität Prag). In questo periodo, Mimi Mann si rivolse, per conto di Heinrich, al presidente Masaryk per il recupero dei mobili e dei beni di famiglia rimasti nella casa di Monaco, all’epoca pignorati dalle autorità tedesche. In cambio dell’intermediazione, Heinrich offriva di donare i manoscritti presenti in tale abitazione al governo cecoslovacco. La risposta di Masaryk fu positiva e i beni vennero trasferiti, seppur con difficoltà e in tempi lunghi, a casa di Mimi e Leonie – il tutto a spese del governo cecoslovacco. I manoscritti promessi da Heinrich, tra cui le bozze di Der Untertan (“Il suddito”, 1918) e Professor Unrat (“Il professor Unrat”, 1905), si trovano tutt’ora a Praga. In questa transazione ebbe un ruolo soprattutto il ministro Edvard Beneš, futuro successore di Masaryk, che in seguito sostenne la richiesta di cittadinanza di Heinrich e si mosse in prima persona per l’estensione di tale diritto a Thomas.

Erika, Klaus e Golo Mann risiedettero tutti e tre a Praga per periodi più o meno lunghi a partire dal 1933 e parteciparono alla vita culturale della città in diversi modi. Si ricorda a questo proposito il cabaret Die Pfeffermühle (“Il macinapepe”) di Erika e la partecipazione di Klaus alla fondazione del Klub tschechischer und deutscher Bühnenschaffender (“Club degli artisti di teatro cechi e tedeschi”). Klaus e Golo ottennero, come il padre, la cittadinanza cecoslovacca nel 1936.

Thomas Mann visitò Praga per la prima volta nel 1905, e tenne in quell’occasione una lettura pubblica del suo racconto Wälsungenblut (“Sangue Welsungo”), scritto nel 1905 ma pubblicato per la prima volta solo nel 1921, presso l’associazione Concordia, la più importante associazione culturale di lingua tedesca in Boemia. A Praga tenne altre sette letture pubbliche negli anni successivi, seppur con una lunga pausa dopo la prima. In quella del 1922, riportata dal giornale “Prager Tagblatt” il 6 gennaio, lesse un capitolo da Der Zauberberg (“La montagna magica”, 1924) e uno da Die Bekentnisse des Hochstaplers Felix Krull (“Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull”), iniziato nel 1911 ma pubblicato nel 1954. Dalla sua prima visita nel 1905, molto era cambiato dal punto di vista politico: Praga non era più la capitale del Regno di Boemia nell’Austria-Ungheria, bensì della Cecoslovacchia, uno stato indipendente in cui l’egemonia culturale tedesca, già messa drasticamente in discussione nel XIX secolo, era solo un ricordo. Gli intellettuali boemo-tedeschi conservavano le proprie istituzioni culturali, le più prestigiose a Praga e Brno, ed era a questo pubblico di intellettuali che si rivolgevano in primis le letture di Mann. Tuttavia, la ricezione di Mann nel pubblico ceco era notevole e ciò è documentato dall’ingente numero di traduzioni e recensioni delle opere dell’autore. La lettura del 1923 fu invece dedicata all’occultismo (“Prager Tagblatt”, 7 aprile 1923). Organizzatrice dell’evento era stata l’associazione culturale Urania.

Tra la conferenza sull’occultismo e la visita successiva di Thomas Mann a Praga passarono nove anni estremamente significativi: era il 1932 quando lo scrittore tornò nella capitale cecoslovacca per la quarta volta. Era questo il cosiddetto Goethe-Jahr, il centenario dalla morte di Goethe festeggiato in tutto il mondo tedescofono, e Thomas Mann fu nuovamente invitato a Praga dall’associazione Urania per tenere un discorso in onore del poeta. In Germania, tuttavia, questo era un anno particolare anche per un’altra ragione: il giorno in cui Mann si recò a Praga per il suo intervento, nel suo paese si tennero le elezioni, ed era grande la preoccupazione per un’eventuale vittoria dei nazionalsocialisti. In un resoconto del viaggio al Rotary Club a Monaco il 5 aprile 1932, l’autore espresse il suo rammarico per non essersi presentato alle urne in quella giornata, forzato dalla partenza. La sera stessa delle elezioni, mentre stava partecipando a una serata culturale organizzata in suo onore dal PEN-Club praghese, Mann accolse con enorme sollievo la notizia della sconfitta della NSDAP. Non è un caso che il suo discorso in questa occasione (“Goethe als Repräsentant des bürgerlichen Zeitalters” – “Goethe rappresentante dell’epoca borghese”, 1932) fosse dedicato a Goethe come borghese cosmopolita che mette insieme i concetti di Humanitas e Europa. La ricezione del discorso da parte degli intellettuali praghesi di lingua tedesca è degna di nota: è Max Brod a riportare il contenuto dell’intervento sul “Prager Tagblatt”, sottolineandone la componente etica, l’attualizzazione del problema critico da parte di Mann, che osserva che in Goethe la salvezza dell’essere umano non può prescindere da “l’inserimento nella società e (Thomas Mann pronunciò la parola che ancora fa orrore a tanti) in un comunismo senza dogmi” (Brod 1932: 5). È in questa visita che Mann conosce per la prima volta Brod e comincia un’amicizia mai ostacolata dalla distanza geografica, testimoniata dalla fitta corrispondenza tra i due e che Mann mantiene per il resto della sua vita. Noto è il sostegno di Mann a Brod negli anni del protettorato, in cui tentò di aiutarlo a ottenere un incarico lavorativo negli Stati Uniti per consentirgli di emigrare. Mann incontrò in queste giornate anche altre personalità di rilievo della letteratura cecoslovacca, tra cui Karel Čapek, che aveva già conosciuto in precedenza e con cui collaborò in diverse occasioni, come testimonia il carteggio contenuto in questo speciale.

Le visite successive, dal 1934 al 1937, avvennero in un clima diverso e videro un Mann costretto a esprimersi in modo più netto su temi delicati, seppur con la cautela che lo caratterizzava.

 


Nel 1935, Mann venne nuovamente invitato da Urania per una conferenza. L’autore accettò di partecipare, proponendo un intervento su Richard Wagner. In questa occasione, ancor più che in reazione al discorso su Goethe nel 1932, la stampa cecoslovacca dialogò con Mann prima e dopo la conferenza lasciando trapelare la tensione politica del momento. Mann si pose in queste giornate come il difensore di una Germania alternativa a quella hitleriana, una Germania tollerante e cosmopolita che riconosceva nella Cecoslovacchia un modello da seguire: nel suo Grüß an Prag (“Saluto a Praga”) alla radio cecoslovacca, riportato sia dalla stampa di lingua tedesca (“Prager Tagblatt”) che da quella di lingua ceca (“České slovo”), lodò la presenza di intellettuali al governo cecoslovacco, incoraggiò il Paese a perseguire i suoi obiettivi e la sua indipendenza politica, ne sottolineò l’internazionalismo ed espresse la sua ammirazione per gli autori delle terre ceche. Tra questi nominò il boemo-tedesco Adalbert Stifter e gli autori di lingua ceca di cui aveva potuto leggere le traduzioni: Karel Čapek, naturalmente, ma anche Fráňa Šrámek, František Langer e Jaroslav Hašek. Di Stifter, Mann parla anche nelle lettere a un altro scrittore praghese, anche lui esule negli Stati Uniti a partire dagli anni del protettorato: Johannes Urzidil. In una lettera a Urzidil del 1945 si legge: “ho riletto Stifter: ‘Hagestolz’ […], ‘Abdias’ […]. Appartengo a quei pochi lettori che hanno sopportato ‘Witiko’ dall’inizio alla fine. È il più strano e sublime genere di ‘ennui’” (Mann a Urzidil, 13/09/1945). È significativo che il “Prager Tagblatt” non riporti i nomi cechi menzionati da Mann nel proprio reportage, e che “České slovo” da parte sua non riporti Adalbert Stifter, a dimostrazione di quanto, anche in uno stato ammirato per la propria tolleranza, sopravvivessero all’epoca conflitti nominalmente superati – conflitti che avevano un eco particolare negli anni precedenti l’avvento del protettorato. Non sorprende che la figura di Mann sia stata strumentalizzata in questo senso. La prima intervista rilasciata a Praga nel viaggio del 1935 fu, comunque, ben più controversa ed ebbe risonanza ben oltre i confini cecoslovacchi. Si tratta di un’intervista rilasciata a “Selbstwehr. Jüdisches Volksblatt”, giornale sionista redatto da Felix Weltsch, uno degli amici più cari di Brod e Kafka. “Selbstwehr” era un progetto editoriale legato al gruppo Bar Kochba e accoglieva regolarmente contributi di personalità di spicco nel movimento sionista, tra cui Brod, Hugo Bergmann e Hans Kohn. Il giornale aveva pubblicato anche diversi testi di Franz Kafka, tra cui alcune parti di Der Prozess (“Il processo”, 1925). L’intervista a Mann fu riportata da Heinz Stroh, giornalista berlinese esule a Praga dal ‘33. Tema del colloquio era la relazione dello scrittore con la cultura ebraica. Il testo riportato da Stroh mostra un atteggiamento radicale da parte di Mann, che dichiara l’antisemitismo “la posizione più stupida che una persona intelligente possa sostenere”, poiché “l’ebraismo, a cui poi si aggiunse la cultura greca, rappresenta la base della civiltà occidentale. Che cos’è il cristianesimo se non il frutto spirituale dell’ebraismo?” (Stroh 1935: 206). L’intervista venne pubblicata prima su “Selbstwehr” e poi sul “Pariser Tagblatt”, ed ebbe una risonanza non priva di ripercussioni: le minacce di estradizione che avevano preoccupato Mann fin dal 1933 divennero a questo punto più concrete. Chiamato a rispondere delle sue dichiarazioni, però, l’autore in questo caso fece un passo indietro e dichiarò che le sue parole erano state fraintese e manipolate. La questione, comunque, non cadde nel dimenticatoio: quando Mann, l’anno successivo, si espresse apertamente per la prima volta contro la politica del Reich sulla “Neue Zürche Zeitung” e stavolta, non ritrattando, si guadagnò effettivamente l’estradizione, il capo della Gestapo che sancì il ritiro la cittadinanza, Reinhardt Heydrich, non mancò di dire che non solo l’ultimo articolo in questione, ma anche quello precedente erano prova dell’atteggiamento ostile dell’autore.

Tra il 1935 e il 1936, sia Thomas che Heinrich Mann stavano sondando il terreno per regolare la loro posizione da esuli e ottenere una cittadinanza alternativa a quella tedesca. Per Heinrich, questo significava rivolgersi alla Francia, dove aveva vissuto ininterrottamente dal 1933, e alla Cecoslovacchia, paese in cui aveva l’ex-moglie Mimi e la figlia Leonie, ma anche una serie di connessioni politiche legate alla sinistra. Heinrich aveva goduto in passato, inoltre, dell’appoggio di Masaryk, e aveva attualmente quello del suo successore Beneš. La richiesta di cittadinanza da parte dell’autore, comunque, incontrò anche qui diversi ostacoli, e generò un acceso dibattito pubblico in Cecoslovacchia e nel resto dell’Europa. La cittadinanza era infatti vincolata alla dichiarazione di residenza in un comune del Paese, e la città boemo-tedesca di Reichenberg, cui Heinrich Mann si era rivolto in prima istanza, rifiutò di collaborare per via dell’influenza di uno dei consiglieri, Konrad Henlein, leader del movimento nazionalista dei Sudeti e pertanto contrario a sostenere un nemico del regime hitleriano. In seguito a questo rifiuto, però, diverse città offrirono la residenza all’autore, e tra queste c’era Proseč, il cui consigliere Rudolf Fleischmann convinse a votare per l’accoglienza di Heinrich Mann. La votazione venne tenuta segreta per evitare ripercussioni. Qualche mese dopo, Heinrich Mann divenne cittadino cecoslovacco.

Thomas Mann non aveva con Praga lo stesso rapporto del fratello, e per diverso tempo considerò solo la cittadinanza austriaca e quella svizzera come alternative a quella tedesca. La cittadinanza svizzera era una scelta immediata, dato che Mann risiedeva nel paese da tempo, ma erano necessari sei anni di permanenza e la burocrazia svizzera non fece eccezioni. Per la cittadinanza austriaca, Mann sfruttò inizialmente i contatti dell’amico praghese Franz Werfel e di sua moglie Alma Mahler-Werfel. Mann era in amicizia con entrambi, e già nel 1933 gli era stato offerto da Mahler-Werfel la possibilità di risiedere nella sua villa a Venezia. I due lo indirizzarono al teologo Johannes Hollnsteiner, che intercedette per Mann con il cancelliere Kurt Schuschnigg, di cui era amico, ma la situazione politica in Austria, dove le idee filonaziste guadagnavano progressivamente terreno, era troppo instabile per garantire all’autore un’immunità diplomatica in quegli anni di incertezza, e il tentativo venne archiviato.

Nel 1936 Mann tornò a Praga, nuovamente invitato da Urania, stavolta presentando un intervento su Sigmund Freud che aveva già pronunciato a Vienna, Über Freud und die Zukunft (“Freud e l’avvenire”, 1936)”, e durante la visita incontrò il presidente Beneš. Poco tempo dopo, Beneš si rivolse a Rudolf Fleischmann in prima persona e chiese al consigliere comunale di offrire anche a Thomas Mann la possibilità di diventare residente a Proseč, in modo da consentirgli di ottenere la cittadinanza cecoslovacca. Fleischmann conosceva i rischi di ripetere quel gesto una seconda volta: già dopo la concessione della cittadinanza ad Heinrich Mann, delle auto tedesche si erano recate a Proseč chiedendo di lui, ma erano state depistate. Ad ogni modo, egli era un grandissimo ammiratore di Thomas Mann e accettò. Contattò lo scrittore chiedendogli di poterlo visitare in Svizzera per parlare della questione e si fece pagare il biglietto d’aereo, perché un viaggio in treno era troppo rischioso. Fleischmann racconta la visita nella villa dei Mann con perizia di particolari e sottolinea che il momento in cui Mann si decise a firmare la delega per intraprendere l’iter burocratico di residenza, e poi di cittadinanza, fu particolarmente doloroso.

Potei scorgerne il nervosismo e l’agitazione quando gli spiegai che doveva richiedere la cittadinanza secondo un protocollo, e che oltre a questo necessitavo di una delega per poter agire in sua vece. Dev’essere stato un momento incredibile per questo scrittore tedesco, che si era dedicato per una vita e con tutta l’anima alla tradizione culturale tedesca, essere costretto a recidere ogni legame con essa. (Discorso di Rudolf Fleischmann all’università di Manchester, citato dal Vorlesungsmanuskript, manoscritto del discorso, pp. 8-9)

Fleischmann rientrò a Praga probabilmente già la sera stessa. Convincere la comunità di Proseč ad accogliere anche Thomas Mann oltre ad Heinrich fu difficile, perché la città temeva di esporsi ulteriormente ad attacchi da parte di sostenitori della Germania nazista. Fleischmann chiese il sostegno del parroco per ottenere la maggioranza al consiglio comunale. Questi espresse il suo consenso citando più volte l’opera di Mann Josef und seine Brüder (“Giuseppe e i suoi fratelli”, 1933-1943) alla messa della domenica successiva. Una volta ottenuta la maggioranza, la burocrazia cecoslovacca si mise in moto con insolita rapidità: nell’agosto del 1936 ottennero la residenza a Proseč non solo Thomas Mann, ma anche sua moglie Katia e i suoi figli Michael, Elisabeth, Golo e Klaus, e a novembre dello stesso anno Thomas Mann divenne ufficialmente cittadino cecoslovacco. Diciotto giorni dopo gli venne comunicata l’estradizione, un provvedimento privo di senso a livello legale in quanto la cittadinanza cecoslovacca escludeva quella tedesca automaticamente. Non avendo tuttavia informato per tempo la Germania del cambiamento, Mann perse di fatto la possibilità di conservare il proprio patrimonio a Monaco, e si vide togliere il dottorato ad honorem dall’Università di Bonn.

Qualche mese dopo, nel 1937, Thomas Mann si mise in viaggio per l’ultimo giro di letture pubbliche tra Praga, Brno e Budapest, e rilasciò la prima intervista a Praga come cittadino cecoslovacco e di fatto primo premio Nobel del Paese.

Sono fiero di appartenere a questo paese, di cui condivido lo spirito e il pensiero politico. È naturale che mi senta a mio agio come cittadino di uno stato i cui rappresentanti sono le persone più colte e più elevate, come il primo presidente T.G. Masaryk e il suo successore Beneš, uomini di prestigio in Europa, uomini di cultura nel senso più moderno e più ampio del termine.

In quest’ultima visita all’associazione culturale Urania, riportata ancora una volta da Brod nel “Prager Tagblatt”, Mann lesse il primo capitolo da Lotte in Weimar (“Carlotta a Weimar”, 1939) e un capitolo dalla terza di parte di Joseph und seine Brüder. Alcuni giorni dopo, a Budapest, ripeté la sua gratitudine verso le Cecoslovacchia e Rudolf Fleischmann nell’aneddoto di cui sopra.

È facile immaginare l’impatto del cambio di cittadinanza su un uomo come Mann, per il quale i concetti di tradizione culturale e identità nazionale erano tutt’altro che simbolici. A dispetto del suo esilio permanente negli Stati Uniti e in Svizzera e del suo rifiuto categorico di tornare in Germania anche dopo la fine della guerra, Mann non rinnegò mai la sua identità tedesca e continuò a percepirsi come uno dei suoi rappresentanti più autentici. Piuttosto, dopo l’estradizione l’autore si identificò ancora di più nell’idea della Germania alternativa, la vera Germania deterritorializzata che non solo rifiutava le idee del Reich, ma si impegnava a sostenere gli emarginati dal regime e i paesi minacciati dalle mire espansionistiche di Hitler. Il rapporto tra Mann e la Cecoslovacchia si manifestò, dopo l’acquisizione della cittadinanza, in entrambe le direzioni.

Quando Mann emigrò negli Stati Uniti, la Cecoslovacchia gli rinfacciò di avere sfruttato il paese solo per ottenere dei documenti di viaggio. In realtà, Mann rimarcò più volte, tra il 1936 e il 1939, la sua lealtà verso il Paese e si scagliò apertamente contro la linea morbida dell’Inghilterra nei confronti di Hitler che ne permise l’occupazione tra il 1938 e il 1939. Nel numero speciale del “Prager Volks-Illustrierte” dedicato al ventesimo anniversario della Repubblica, proprio nel 1938, scrisse:

Non sono mai stato così grato e fiero di potermi definire un cittadino della Repubblica Cecoslovacca come in questo preciso momento. […] Sarebbe un’Europa infelice e pronta ad abdicare e a ridursi in schiavitù quella che pianta in asso uno stato e che lo sacrifica, uno stato che è sì pronto a grandi concessioni per il bene della pace ma che si pone anche con decisione contro il suo annientamento e si fa carico di una lotta per la libertà il cui significato va ben oltre il suo stesso destino. (Cfr. Mann 1938).

Ancor più deciso fu il suo discorso a Times Square in occasione della manifestazione di solidarietà del 25 settembre:

“[…] sento che sarebbe uno smacco, una vergogna, se l’Europa e il mondo intero si rassegnassero davanti ai piani terribili contro un piccolo, bel paese, un paese che vuole la civiltà e la libertà e viene minacciato di venire spartito e ridotto in schiavitù. (Mann 1990: 886)

Sulla questione della Germania durante l’esilio Mann si espose, in relazione alla Cecoslovacchia, in più direzioni. Innanzitutto, prestò il suo nome per la fondazione di un’associazione che, a Praga, si occupò di finanziare scrittori in esilio in Cecoslovacchia dal 1937 al 1939, il Thomas-Mann-Fond rinominato poi Thomas Mann Gesellschaft pochi mesi dopo la sua fondazione. L’ultimo presidente dell’associazione fu Rudolf Fleischmann, che ne lasciò l’ufficio nel 1939 quando seppe di essere ricercato e fu costretto a lasciare il Paese.

Che la questione degli esiliati in Cecoslovacchia non fosse per Mann un pensiero secondario è evidente non solo dalle sue donazioni all’ente che portava il suo nome, ma anche dalla sua corrispondenza con Karel Čapek ed Edvard Beneš nel momento in cui, tra il 1937 e il 1938, il governo mise delle forti restrizioni rispetto all’immigrazione. Thomas Mann scrisse diverse lettere sia a Čapek, per chiedere delucidazioni sulla situazione effettiva degli esiliati, sia al presidente stesso, cui espresse la sua indignazione rispetto agli ultimi provvedimenti messi in atto dal governo.

Inoltre, Mann aiutò in prima persona alcuni intellettuali cecoslovacchi (o meglio, boemi o moravi) in esilio sia a livello finanziario che come intermediario. Tra i casi più rilevanti in questo senso ci sono l’autore moravo Ernst Weiß, che Mann sostenne finanziariamente nel suo esilio a Parigi, e Max Brod, che Mann tentò di aiutare a emigrare negli Stati Uniti a partire dal 1939. Mann si rivolse in questo caso alla New York Public Library, a cui propose di assumere Brod non solo per via delle sue competenze ma anche per la possibilità di ottenere in questo modo il lascito di Franz Kafka. Mentre la New York Public Library stentava a dare una risposta positiva, Brod colse un’occasione a lui più favorevole ed emigrò in Palestina. Mann, anche a fronte di questo, propose a Brod il proprio aiuto una seconda volta, ma lo scrittore preferì, com’è noto, rimanere a Tel Aviv.

La pagina della Cecoslovacchia nella vita di Thomas Mann ha influenzato profondamente la sua posizione come scrittore in esilio ed è stata determinante non solo per la sua sicurezza e quella della sua famiglia, ma anche nella direzione di un impegno politico e sociale che si sviluppò fin dal 1936 e si rafforzò negli anni del protettorato. Anche se lo scrittore acquisì successivamente la cittadinanza statunitense, i suoi contatti con Beneš e con gli intellettuali cecoslovacchi sono rimasti costanti e la gratitudine di Mann per il paese non venne mai intaccata.

 

 

Bibliografia:

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Friedrich Buchmayr, “Exil in Österreich? Johannes Hollnsteiners Engagement für Thomas Mann. Mit zwei unveröffentlichten Briefen Thomas Manns”, in Thomas Mann Jahrbuch, Vol. 13, pp. 147-163.

Heinz Stroh, “Thomas Mann und das Judentum”, in Selbstwehr. Jüdisches Wochenblatt, 25/01/1935, in: Volkmar Hansen – Gert Heine (eds.), Frage und Antwort. Interwies mit Thomas Mann 1909-1955, p. 206. I brani tradotti da questo testo sono stati tradotti per l’occasione da me M.D.G.

Imre Békessy, “Fleischmann aus Proseč. Begegnung mit Thomas Mann”, in Úsjág, 17/01/1937, vol. 48, 1937 pp. 11-12. I brani tradotti da questo testo sono stati tradotti per l’occasione da me M.D.G.

Miroslav Beck – Jiří Veselý (eds.), Exil und Asyl. Antifaschistische Literatur in der Tschechoslowakei 1933-1938, Berlin (Ost), Volk und Wissen Verlag, 1981.

Max Brod, “Selbstüberwindung des Bürgers”, in Prager Tagblatt 16/3/1932, p. 5. I brani tradotti da questo testo sono stati tradotti per l’occasione da me M.D.G.

Peter Lange, Prag empfing uns als Verwandte. Die Familie Mann und die Tschechen, Praga, Vitalis, 2021.

Rudolf Fleischmann, “Vorlesungmanuskript”, in Peter Lange (ed.), Prag empfing uns als Verwandte. Die Familie Mann und die Tschechen, Praga, Vitalis, 2021. I brani tradotti da questo testo sono stati tradotti per l’occasione da me M.D.G.

Thomas Mann, “Die Welt für die Tschekoslowakei. Das freiheitsliebende Deutschland für die ČSR. Eine Sympathiekundgebung von Thomas Mann”, in Volks-Illustrierte, No. 40, 1938. I brani tradotti da questo testo sono stati tradotti per l’occasione da me M.D.G.

Thomas Mann, Tagebücher 1937-1939, Frankfurt am Main, Fischer, 1990. A cura di Peter de Mendelssohn. La traduzione di questi brani è stata fatta per l’occasione da me M.D.G.

 

Sitografia:

Lettere di Thomas Mann a Johannes Urzidil: https://archive.org/details/jgurzidil01reel11/page/n681/mode/1up?view=theater (ultima consultazione: 10/04/2025)

 

 

Apparato iconografico:

Immagine 1 e di copertina: Foto di Nicola Silvani.