Marta Marchesini
Abstract:
Hans Castorp’s Research in “Der Zauberberg”: The Organism between Scientific Description and Erotic Contemplation
This paper addresses the role of medical and scientific themes in Thomas Mann’s Der Zauberberg (“The Magic Mountain”) in relation to the protagonist’s path of formation. It focuses on two chapters of the novel, “Humaniora” and “Research”, which narrate Hans Castorp’s approach to the science of the living being. This interest is first mediated by the chief surgeon of the sanatorium, Hofrat Behrens, who introduces him to the medical and anatomical discourse, and who has also painted Clawdia Chauchat’s portrait. After this significant conversation, Hans Castorp decides to devote his nights to an independent study of biology, physiology and pathology. The paper reconstructs Hans Castorp’s modality of addressing and interpreting scientific knowledge and discusses the way in which this is integrated in the narrative structure and symbolic web of the text, thus shedding light on Mann’s peculiar use of subject-specific knowledge in his works.
“Das Bedeutende, das ist nicht weiter als das Beziehungsreiche […].”
“Importante significa semplicemente ricco di rapporti […].”
(Mann, 1958: 88)
Dovendo difendere il proprio romanzo di fronte alle critiche sollevate in ambito medico dalla sua pubblicazione, Thomas Mann scrisse, nel 1925, una lettera aperta dal titolo Vom Geist der Medizin (“Dello spirito della medicina”). In essa, l’autore definiva il suo Zauberberg un’opera ärztlich (“medica”), non tanto per via della sua dimensione descrittiva, che com’è noto comprende personale medico, pazienti e terapie di vario tipo, quanto piuttosto per la dimensione etica e pedagogica a cui la medicina assurge all’interno del romanzo. Der Zauberberg è per il suo autore “un congedo, […] un atto di autodisciplina pedagogica; il suo compito è compito di vita, la sua volontà è salute, la sua mèta il futuro. Per questo appartiene alla medicina.” (Mann 1958: 465). Il significato portante che la tematica medica riveste nel romanzo è quindi reso esplicito dallo stesso autore. Se, come sostenuto dalla maggior parte della critica, è possibile considerare quest’opera di Mann come un Bildungsroman e se essa narra, quindi, il percorso di formazione e di guarigione spirituale dalla fascinazione per la morte al credo nella vita del giovane Castorp (cfr. Neumann 1997; Crescenzi 2011), sarà necessario interrogarsi su come la medicina influisca su questo movimento di crescita spirituale del “giovane uomo come tanti” (Mann 2010: 3) di Amburgo.
Nel presente articolo ci si soffermerà, nello specifico, sul ruolo che l’anatomia, la fisiologia e la biologia svolgono all’interno della Bildung (“formazione”) di Hans Castorp. Nel quinto capitolo del romanzo il lettore si imbatte in particolare in due sottocapitoli, “Humaniora” e il successivo “Forschungen” (“Ricerche”), che sono da intendersi come un dittico a tema medico-scientifico; come già è stato fatto notare, Mann nell’arco di cinquanta pagine tratteggia un vero e proprio compendio del sapere fisiologico e biologico di inizio Novecento (Virchow, 1995), filtrato però dallo sguardo interpretante del lettore Hans Castorp e in ogni caso ricondotto, grazie alla discussione sull’attività pittorica di Behrens, alla tradizione medica umanistico-rinascimentale. Il giovane ingegnere, che per sua stessa ammissione è arrivato alla propria professione per caso, abbandona infatti gli studi in ingegneria navale e si dedica ad una lettura intensiva dei manuali scientifici che ha acquistato, senza farsi vedere dagli altri pazienti, presso la libreria di Davos. Sembra lecito chiedersi da dove nasca il suo interesse per tali materie.
Nel capitolo che precede tali letture, “Humaniora”, il protagonista è ospite insieme al cugino Joachim Ziemssen del direttore del sanatorio e capo chirurgo Behrens, il quale accoglie i due giovani nel proprio appartamento per mostrare loro i propri dipinti. Tra essi spicca il ritratto di Clawdia Chauchat, la paziente russa di cui Castorp è, ormai, innegabilmente innamorato. Se nel complesso la resa del soggetto non è riuscita, la pelle del busto viene descritta invece come straordinariamente verosimile. Il suo artefice precisa:
“La pelle di quel corpo è dipinta scientificamente, se ne può osservare al microscopio la precisione organica. Non solo vedrà lo strato corneo e mucoso della superficie cutanea, sotto vedrà concepita altresì la tessitura del derma con le sue ghiandole sebacee e sudorifere, i vasi sanguigni e le papille… e sotto ancora lo strato grasso […] che, con le sue numerosissime cellule adipose, plasma le soavi forme della femminilità. Perché quello che uno sa e concepisce ha un suo ruolo e si esprime in ciò che dipinge.” (Mann 2010: 380)
Questo passaggio illumina due aspetti essenziali dell’avvicinamento del protagonista al mondo delle scienze. Da un lato, è importante notare come la figura che trasmette al giovane quest’interesse sia un medico chirurgo che si diletta nella pittura, il quale invita il suo interlocutore a cogliere il legame esistente tra queste due attività. In tal modo la professione medica viene ricondotta ad una concezione della medicina come disciplina umanistica, al pari dell’arte, sulla base del suo interesse per l’umano. La sua legittimazione intellettuale si basa quindi, per il protagonista del romanzo, sul suo oggetto di studio, l’essere umano in tutta la sua contraddittoria natura, secondo la definizione che Castorp stesso ne darà risvegliandosi dal sogno sotto la neve nell’omonimo sottocapitolo (in originale “Schneetraum”): “L’uomo è signore delle antitesi” (Mann 2010: 733). Come sottolinea Behrens, la sua professione medica e la sua conoscenza del corpo umano sono essenziali al fine di una buona resa pittorica “di ciò che non si può vedere” (Mann 2010: 379) e che, d’altro canto, può davvero considerarsi un vantaggio, per un artista, interessarsi anche di biologia, anatomia e fisiologia. L’interesse per l’umano tipico del credo umanista viene quindi tradotto in una sua versione medico-scientifica attualizzata: la conoscenza del dettaglio anatomico, fisiologico e, come si vedrà, anche di quello patologico è parte integrante e necessaria alla comprensione dell’umano in tutte le sue sfaccettature, una conoscenza che mantiene però con il suo oggetto di studio anche un rapporto lirico e artistico.
È poi evidente – da tutto l’episodio della visita a Behrens in realtà – come la conoscenza anatomica e fisiologica del corpo umano che Hans Castorp cercherà di acquisire sia motivata dall’attrazione nei confronti di Madame Chauchat. L’intera conversazione sull’arte e quella, seguente, sulla composizione e sul funzionamento del corpo umano nascono infatti dalle considerazioni dei due personaggi a proposito del ritratto della donna e della sua particolare fisionomia. L’eros agisce sul giovane, in accordo con molte interpretazioni che leggono il romanzo in chiave ermetica (cfr. Crescenzi 2011), come un impulso all’innalzamento spirituale, fisico ed intellettuale. Il giovane paziente con talento per la malattia, così come Behrens lo definisce (Mann, 2010: 67), costituisce infatti la materia prima perfetta da essere sottoposta a tale cambiamento di stato, nonché processo di sublimazione della materia stessa: sia i sensi che l’intelletto del giovane sono oggetto di un “accrescimento ermetico-pedagogico” (Mann 2010: 971), di cui gli studi compiuti dal giovane nel quinto capitolo rappresentano un momento fondamentale. Che l’eros sia il motore di queste ricerche risulta evidente dalle domande di Castorp e dalle risposte di Behrens, che sono infatti legate al funzionamento del corpo umano in una sua declinazione specificatamente femminile ed erotizzata: “E la forma femminile sarebbe dunque fatta di grasso?” (Mann 2010: 383), oppure “Che cos’è la carne! Che cos’è il corpo vivente dell’uomo!” (Mann 2010: 389); e da parte di Behrens: “I luoghi più grassi e adiposi sono nella donna il seno, il ventre, le cosce, tutti quei posti, insomma, che stimolano un poco il cuore e la mano” (Mann 2010: 384), oppure “La linfa è il componente più fine, più intimo e delicato di tutta la macchina corporea…” (Mann 2010: 388). La volontà di acquisire nuove conoscenze, che ad Amburgo non sarebbe mai insorta nel biondo e “semplice” ingegnere, progredisce di pari passo con la sua iniziazione erotica.
In seguito alla conversazione con il dottore, l’eroe del romanzo si dedica quindi ad uno studio autonomo dell’anatomia umana. Lo spettro delle discipline e delle tematiche che il romanzo presenta al lettore si fa qui, però, molto più ampio e sfaccettato: l’anatomia e la fisiologia sono, nel capitolo “Forschungen”, il punto di partenza di vere e proprie incursioni del lettore Castorp nei più disparati campi delle scienze, dalla chimica organica all’anatomia patologica. L’interesse del protagonista appare ora interamente volto a scoprire i limiti della scienza di fronte a quello che percepisce come l’immenso mistero dell’esistenza; coerentemente, il romanzo cita ciò che un lettore di inizio Novecento poteva trovare come risposta nel dibattito scientifico. Le fonti utilizzate da Mann per la stesura di “Forschungen” sono state individuate con precisione da Christian Virchow: si tratta principalmente dell’Handbuch der Physiologie (“Manuale di fisiologia”) di Ludimar Hermann (1879-1881), di Warum wir sterben (“Perché moriamo”) di Alexander Lipschütz (1914) e della Allgemeine Biologie (“Biologia generale”) di Oscar Hertwig (1906) (cfr. Virchow 1995).
In questo sottocapitolo il testo presenta un’intessitura del tutto particolare, che oscilla tra l’iperrealismo scientifico della citazione dai manuali e la carica simbolica e leitmotivica conferita ad alcuni dettagli della trattazione scientifica. Alla domanda posta tre volte dal protagonista ai suoi libri, “Che cos’era la vita?” (Mann 2010: 403, 405) seguono passaggi in cui la ripresa dei diversi brani in cui si espongono teorie e ipotesi scientifiche risulta quasi citazionale (cfr. Virchow 1995 e Herwig 2004). Tuttavia, la prospettiva di Hans Castorp determina il modo in cui l’esposizione scientifica viene integrata nel testo. Il lettore dello Zauberberg non legge, quindi, una semplice riformulazione dei brani tratti da Hertwig o da Hermann, ma, piuttosto, una resa di ciò che lo sguardo di Castorp cerca nei pesanti volumi e di ciò assorbe dalle impegnative letture (come hanno dimostrato per esempio Herwig 2004 e Bonifazio 2011). Un primo effetto della lettura interpretante di Hans Castorp è individuabile nella profonda sfiducia che egli esprime nei confronti della possibilità che la scienza possa chiarire l’origine della vita. Alle prime due domande sull’essenza della vita la risposta data – o meglio, che Castorp si dà dopo aver letto – è “Non si sapeva” e poi “Nessuno lo sapeva” (Mann 2010: 403). Il protagonista si concentra inizialmente sulle ipotesi formulate dalla scienza di inizio Novecento a proposito della caratteristica determinante degli organismi viventi, che si era tentato di ricondurre all’insorgere della coscienza o alla sensibilità agli stimoli, sulla scia di alcuni studi pubblicati da Darwin nel secolo precedente (cfr. Bellwinkel 2004). Il fatto che queste teorie si risolvano però in mera speculazione è per Castorp una conferma di quello che in realtà era fin dall’inizio stato il suo assunto originario, ovvero che la vita sia e rimanga un fenomeno imperscrutabile.
“La coscienza, per parte sua, altro non era che una funzione della materia organizzata per vivere e, quando veniva esaltata, rivolgeva la sua funzione contro il suo stesso portatore, diventava aspirazione a indagare e spiegare il fenomeno che l’aveva generata, aspirazione della vita, ricca di speranza ma al tempo stesso disperata, di conoscere se stessa, un’autoinvestigazione della natura che da ultimo è vana, dal momento che la natura non può ridursi a conoscenza e che la vita, infine, non può spiare se stessa.” (Mann 2010: 403)
Il secondo nucleo tematico attorno a cui il lettore riflette nel corso delle sue ricerche è l’ipotesi della genesi della materia organica dalla materia inorganica, conosciuta come abiogenesi o teoria della generazione spontanea. Anche a questo proposito le ipotesi formulate dalla biologia sembrano a Castorp del tutto insoddisfacenti: l’ipotesi dell’esistenza di forme di vita non organizzate viene respinta dal lettore come un’idea assurda, in modo analogo a quella del brodo primordiale. Nell’elencare i diversi stadi che la biologia di fine Ottocento aveva postulato portassero alla formazione dei più semplici organismi viventi, Mann aggiunge, rispetto alla fonte di Hertwig, alcuni termini molto significativi: Jubel (esultanza), Sündefall (peccato originario) e Wunder (miracolo), dove il terzo termine viene ripetuto ben tre volte (Mann 2010: 404, 420). La neutralità della trattazione scientifica viene quindi minata sia dalla sfiducia del lettore Castorp nei confronti di ciò che legge nei manuali, sia dall’utilizzo, nella resa delle sue interpretazioni di tali letture, di termini che rimandano alle sfere semantiche dell’eros e dell’esaltazione religiosa.
Alla terza occorrenza della domanda “Che cos’era la vita?”, la risposta cambia radicalmente: la vita coincide, ora, con il calore (Mann 2010: 406). Da un punto di vista prettamente scientifico, Castorp sta leggendo dalla Allgemeine Biologie di Hertwig una spiegazione di come il calore molecolare sostenga il lavoro della cellula; nello stato “febbricitante” e “alticcio” in cui il protagonista si trova, questo calore assume però tutt’altre connotazioni:
“Era l’essere di ciò che in verità era impossibilitato ad essere, di ciò che […], con sforzo dolce e doloroso ma esatto, si trovava in bilico sul crinale dell’essere. Non era materia e non era spirito. Era un qualcosa che stava in mezzo ai due, […] come l’arcobaleno sopra la cascata o come la fiamma. Ma se pur immateriale, era sensuale fino al piacere e al disgusto, l’impudenza della materia diventata eccitabile, sensibile a se stessa, la forma lasciva dell’essere.” (Mann 2010: 405)
La distanza che separa la cellula dal corpo umano è, biologicamente, a dir poco considerevole. Nei pensieri di Castorp questo spazio viene annullato, e a partire dalle molecole di albumina, talmente piccole da non essere visibili nemmeno al microscopio, nel giro di poche righe si trova a rimuginare sulla “carne” e sulla sua “nobile immagine, bellezza”, “sensualità e bramosia” (Mann 2010: 405). L’eros muove Castorp da una disciplina all’altra, lasciandolo oscillare tra oggetti di studio e ordini di grandezza diversi e portandolo così ad acquisire le nozioni elementari del sapere scientifico della sua epoca che, contemporaneamente, vengono trasfigurate e risemantizzate. Non a caso a questo passaggio segue la prima apparizione dell’immagine della vita, che Castorp, addormentatosi sui libri, vede in sogno. Nella dimensione onirica la signora Chauchat appare al “giovane adepto” (Mann 2010: 417) quale personificazione di ciò che lo studio e la conversazione con Behrens gli hanno insegnato. I dettagli che risaltano nell’immagine della donna sono infatti proprio la pelle nelle sue imperfezioni ed impurità, gli arti, le palpebre e gli occhi, la cui fattura tanto aveva impegnato il pittore durante le sedute per il ritratto. È inoltre interessante notare come dopo questa apparizione Castorp arrivi a declinare in senso politico e sociale la questione dell’organizzazione della materia organica: risvegliatosi dal torpore che lo aveva colto, Castorp riprende a leggere. Dalla contemplazione estatica del corpo umano (o meglio, del corpo di Chauchat) lo studioso ritorna a studiare la cellula, comparando le due dimensioni sulla base dell’idea di “un’inaudita molteplicità” (Mann 2010: 407), in una vera e propria attualizzazione delle rappresentazioni delle corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo di matrice medievale e rinascimentale, per cui la cellula avrebbe lo stesso grado di organizzazione del corpo, e il corpo lo stesso dello Stato (cfr. Herwig 2004). Alla ricerca dei limiti di tale catena di analogie, Castorp si imbatte nell’atomo e si interroga sulla sua intangibile piccolezza, che, per la comune mancanza di unità di misura appropriate, la mente sovreccitata del giovane arriva a paragonare all’universo:
“La città, lo Stato, la comunità sociale ordinata secondo il principio della suddivisione del lavoro non solo era paragonabile alla vita organica, ne era la ripetizione. Allo stesso modo, nei recessi più profondi della natura, si ripeteva, rispecchiandosi su vasta scala, l’universo macroscopico delle stelle […].” (Mann 2010: 417)
In questo punto risulta particolarmente chiaro come ciò che interessa a Mann sia proprio la resa della prospettiva di Castorp, lettore e interprete di discorsi a lui del tutto estranei, ma che, in virtù del suo stato di febbricitante alterazione fisica e mentale, può ora approcciare ed annettere a ragionamenti di tutt’altra natura. L’ultima disciplina in cui il protagonista fa incursione è, coerentemente con la tematica di fondo del romanzo, l’anatomia patologica. Dopo aver studiato il corpo nelle sue diverse parti e in ciò che ne consente il funzionamento, l’interesse di Castorp si volge alla malattia che affligge il corpo dei malati in cura al Berghof, tra cui, ovviamente, è da annoverare Clawdia Chauchat. Il processo tramite cui si sviluppa e si propaga l’infezione parassitaria della tubercolosi, peraltro mai nominata esplicitamente, viene anch’esso sottoposto allo sguardo esaltato del giovane, che immagina “formazioni particolarmente lussureggianti di tessuto – provocate dalla penetrazione di cellule estranee in un organismo capace di recepirle, il quale in qualche modo – si sarebbe voluto dire: in un qualche modo perverso – offriva favorevoli condizioni alla loro proliferazione” (Mann 2010: 418). Poco prima di abbandonarsi definitivamente al sonno, Castorp riesce a formulare una visione d’insieme dei suoi studi, accomunati ora, nell’ eclettismo che lo contraddistingue come lettore, dal concetto di malattia:
“la malattia era la forma lasciva della vita. E la vita stessa? Forse non era che altro che una malattia infettiva della materia… così come quello che si potrebbe definire il concepimento originario della materia altro non era stato, forse, che una malattia, un proliferare di stimoli immateriali. Il primissimo passo verso il male, il piacere e la morte doveva senza dubbio essere collocato nel punto in cui, […] si era compiuto il primo aumento di densità dell’elemento spirituale, […] la transizione dall’immateriale alla materia. Fu quello il peccato originale.” (Mann 2010: 419)
Dopo queste ultime febbricitanti considerazioni, il giovane si addormenta e sogna, nuovamente, il corpo di Clawdia Chauchat, di cui viene messo ancora in risalto il dettaglio anatomico.
Dai diversi stadi delle letture di Castorp si evince come Mann abbia sapientemente volto le proprie fonti ai propri obiettivi narrativi e argomentativi: la trattazione scientifica viene inserita nella fitta intessitura tematica e nella storia di formazione del romanzo grazie alla prospettiva di Hans Castorp, il quale, leggendo, sottopone i suoi libri alle proprie sovrastrutture interpretative. Come ha fatto notare Helmut Koopmann, dopo la propria incessante ricerca di risposte alla domanda circa l’essenza della vita Castorp formula idee ed immagini che non possiedono il benché minimo carattere di scientificità (cfr. Koopmann 2003). Ciò che prevale, nello studio del giovane, è proprio la contemplazione del fenomeno biologico della vita da una prospettiva che è scientificamente fondata, ma, al contempo, profondamente erotica e religiosa: se da un lato ricorrono aggettivi come “sensuale”, “lasciva”, “eccitabile”, usati per descrivere la materia organica, il tessuto cellulare e il corpo umano, d’altra parte agli stessi oggetti di studio viene conferito un alone di sacralità per via dell’utilizzo di un lessico religioso e misticheggiante (“segreto sacro”, “miracolo”, “peccato originale”) (Mann 2010: 406-420). Le conoscenze che l’autore acquisisce dallo studio della biologia e dall’anatomia vengono quindi rifunzionalizzate; tramite lo sguardo esaltato dell’eroe del romanzo l’autore può utilizzare il mero dato scientifico ai fini della costruzione della propria opera, delle sue argomentazioni, delle domande che essa pone. Nella critica si è infatti parlato non tanto di rappresentazione del discorso scientifico, quanto di una sua messa in scena narrativa (Herwig 2004: 33). Il sapere scientifico viene infatti integrato completamente nel romanzo tramite il suo continuo ancorarsi alle tematiche fondamentali dell’opera, come la coesistenza di malattia e salute, il potere dell’eros come impulso alla vita e il superamento della cultura della morte tipica della società occidentale, rappresentata da Mann nel momento appena antecedente il tracollo della Prima Guerra Mondiale. Questa ripresa citazionale ma costantemente rielaborata delle proprie fonti contraddistingue l’opera di Mann, al quale, già muovendo i primi passi come scrittore, era chiara la necessità del sapere per la scrittura, “la più intellettuale delle arti” (Mann 1979:14). La conoscenza è necessaria, per Mann, in quanto essa funge contemporaneamente da banco di prova e cassa di risonanza per le proprie concezioni poetiche; l’autore mantiene quindi un dialogo costante tra il proprio lavoro ed altri ambiti del sapere, autori e tradizioni culturali e letterarie. È quindi uno studio approfondito e precisamente motivato, quello in cui Mann si addentra durante la stesura delle sue opere, nelle quali le fonti si ritrovano poi trasfigurate, come il risultato di un procedimento che Mann stesso definì in una lettera a Adorno una “riscrittura più elevata” (Mann,1979: 470 citato in Herwig, 2004).
Che queste ricerche abbiano un significato centrale all’interno della Bildung di Castorp, fu Mann stesso a sostenerlo in una lettera all’amico Josef Ponten, il quale aveva trovato il sottocapitolo “Forschungen” troppo lungo. L’autore chiarisce nella sua risposta che è proprio a partire dalla biologia e dall’anatomia e, soprattutto, dalle domande a cui queste discipline ancora non avevano trovato una risposta che Castorp inizia a mettere in discussione il primato spirituale della morte sull’essere umano (Mann 1979: 232). La scoperta dell’uomo, del fenomeno della vita, della materia organica con tutti i suoi misteri e le sue contraddizioni costituiscono il primo punto di rottura della fascinazione per la morte da parte di Hans Castorp. Chiamato ad esprimersi a proposito della dimensione medica del suo romanzo, a conclusione della già citata lettera Vom Geist der Medizin (“Dello spirito della medicina”), Mann con una punta d’irritazione precisa:
“Ho voluto far sentire, infatti, la turpitudine ideale della malattia, ma mostrarla altresì alla luce di quel poderoso strumento di conoscenza che è, e come la via geniale verso l’umanità e l’amore. Attraverso la malattia e la morte, attraverso lo studio appassionato del mondo organico, attraverso un’esperienza medica, dunque, ho portato il mio eroe, nei limiti della sua ingenuità sorniona, al presentimento di una nuova umanità. E io dovrei aver denigrato la medicina e la classe medica?” (Mann 1958: 466)
Questo studio appassionato del mondo organico, motivato dall’eros e sottoposto ad un’esaltazione religiosa, costituisce quindi la dimensione medico-scientifica più autentica e carica di conseguenze del romanzo. Al di là di ogni pretesa di realismo, la forza alchemica dello Zauberberg consiste nell’innalzamento spirituale non solo del giovane lettore Castorp, che viene così condotto sulle più alte vette del proprio percorso di formazione, ma anche, come si è visto, della scienza stessa.
Bibliografia:
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Hans Wolfgang Bellwinkel, “Naturwissenschaftliche Themen im Werk von Thomas Mann”, in Achim Müller (ed.) Facetten einer Wissenschaft, Weinheim, Wiley-VCH Verlag, 2004, pp. 11-30.
Helmut Koopmann, “Naturphilosophie im Zauberberg”, in Dietrich von Engelhardt – Hans Wißkirchen (eds.) ,,Der Zauberberg’’ – die Welt der Wissenschaften in Thomas Manns Roman, Stuttgart, Schattauer, 2003, pp. 124-135.
Luca Crescenzi, Melancolia occidentale. La montagna magica di Thomas Mann, Roma, Carocci, 2011.
Malte Herwig, Bildungsbürger auf Abwegen. Naturwissenschaft im Werk Thomas Manns, Collana Thomas-Mann-Studien, Vol. 32, Frankfurt am Main, Vittorio Klostermann, 2004.
Massimo Bonifazio, “‘Non si leggeva poco…’. Considerazioni su Hans Castorp lettore”, in (supplemento a) Bollettino dell’Associazione Italiana di Germanistica, Vol. 3, Pisa, 2010, p. 83-95.
Michael Neumann, “Ein Bildungsweg in der Retorte”, in Thomas-Mann-Jahrbuch 1997, Frankfurt am Main, Vittorio Klostermann, 1997, pp. 133-148.
Thomas Mann, “Dello spirito della medicina”, in Scritti minori, Milano, Mondadori, 1958, pp. 461-466. Traduzione di Italo Alighiero Chiusano, Lavinia Mazzucchetti, Ervino Pocar, Adele Rossi.
Thomas Mann, Briefe, volumi I e II, Frankfurt am Main, Fischer Verlag, 1979. A cura di Erika Mann.
Thomas Mann, La montagna magica, Milano, Mondadori, 2010. Traduzione di Renata Colorni, a cura di Luca Crescenzi.
Thomas Mann, “Saggio autobiografico”, in Scritti minori, Milano, Mondadori, 1958, pp. 65-106. Traduzione di Italo Alighiero Chiusano, Lavinia Mazzucchetti, Ervino Pocar e Adele Rossi.
Apparato iconografico:
Immagine 1: https://zuercher-museen.ch/en/museums/thomas-mann-archive-at-eth-zurich/archiv/eighth-thomas-mann-lecture
Immagine 3 e immagine di copertina: https://www.thomas-mann-gesellschaft.de/jahrestagung/luebecker-thomas-mann-tage-2024/gefuehrter-stadtrundgang-davos-liegt-an-der-trave.html