“Der Zauberberg” (“La Montagna Magica”, 1981) di Hans Geißendörfer

A cura di Claudia Fiorito

 

Genere: Drammatico

Minutaggio: 153’

Regia: Hans Geißendörfer

Sceneggiatura: Hans Geißendörfer

Fotografia: Michael Ballhaus

Musiche: Jürgen Knieper

Montaggio: Helga Borsche; Peter Przygodda

Produttore: Franz Seitz Jr.

Produzione: Franz Seitz Filmproduktion; Iduna-Film GmbH & Co.; Zweites Deutsches Fernsehen (ZDF); Gaumont International S.A.; Opera Film Produzione S.r.L.; Österreichischer Rundfunk (ORF)

Distribuzione: United Artists (Germania Ovest)

Paesi di produzione: Germania Ovest, Austria, Italia, Francia

Lingua: Tedesco

Interpreti: Christoph Eichhorn: Hans Castorp; Marie-France Pisier: Claudia Chauchat; Flavio Bucci: Ludovico Settembrini; Alexander Radszun: Joachim Ziemßen; Hans-Christian Blech: Hofrat Behrens; Charles Aznavour: Naphta; Rod Steiger: Mynheer Peperkorn; Margot Hielscher: Sig.ra Stöhr; Gudrun Gabriel: Marusja; Ann Zacharias: Elly.

 

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=goom4HBZYjI&ab_channel=pjdde

 


Biografia del regista: Hans W. Geißendörfer, nato ad Augusta nel 1941, è uno dei registi e produttori più versatili del cinema e della televisione tedesca. Dopo gli studi in germanistica, psicologia e teatro tra Marburgo, Vienna e Zurigo, si avvicina al cinema girando documentari e film sperimentali. Debutta alla regia nel 1969 con Der Fall Lena Christ (“La caduta di Lena Christ”), e ottiene un primo grande successo nel 1970 con il film horror Jonathan. Negli anni seguenti riceve numerosi riconoscimenti, tra cui il Deutscher Filmpreis per Sternsteinhof (“La tenuta Sternstein”, 1976), Die gläserne Zelle (“L’alibi di cristallo”, 1979, candidato all’Oscar) e Der Zauberberg (1982), tratto dal romanzo di Thomas Mann. È noto al grande pubblico come ideatore della longeva, nonché prima serie della storia della televisione tedesca Lindenstraße (1985–2020), ambientata in una via immaginaria di Monaco di Baviera.

 

Trama: Nel 1907, il giovane Hans Castorp lascia Amburgo per recarsi a Davos, in Svizzera, dove intende trascorrere tre settimane visitando il cugino malato in un lussuoso sanatorio alpino. Tuttavia, l’atmosfera sospesa e decadente del Berghof – popolato da pazienti affetti da tubercolosi, scandito da rituali quotidiani e dominato da un senso di astrazione dalla vita reale – esercita su di lui un fascino irresistibile: Castorp si lascia gradualmente sedurre dal ritmo rallentato della vita in alta quota, dall’aura di morte e contemplazione che permea il luogo, e soprattutto dalla misteriosa e sfuggente Claudia Chauchat, una paziente russa di cui si innamora. Durante la sua permanenza, Castorp entra in contatto con due figure intellettuali opposte: Ludovico Settembrini, un umanista razionalista, e Naphta, un gesuita incline al misticismo, le cui dispute filosofiche diventano lo specchio dei conflitti ideologici che agitano l’Europa alla vigilia della guerra. Sebbene inizialmente sano, Hans finisce per restare nel sanatorio sette anni, perdendosi in una condizione di sospensione esistenziale: solo lo scoppio della Prima guerra mondiale riuscirà a interrompere l’incantesimo della montagna magica.

 


Commento al film:

Dopo il grande sforzo produttivo di trasporre in cinque ore di film per la televisione il monumentale romanzo di Thomas Mann, Hans W. Geißendörfer vede il suo Der Zauberberg ricevere il riconoscimento “wertvoll” (“meritevole”) dalla Filmbewertungsstelle Wiesbaden (FBW), l’organo tedesco ufficiale che dal 1951 valuta opere cinematografiche e televisive secondo criteri di pregio artistico, culturale e formale. Un riconoscimento che testimonia l’ambizione e l’attenzione poste in un adattamento considerato da molti critici un’impresa ai limiti dell’impossibile, tanto per la complessità narrativa del testo quanto per la sua densità filosofica. Pur lodando il coraggio e l’accuratezza con cui è stato affrontato il testo, di oltre mille pagine, la FBW ha tuttavia segnalato alcuni limiti strutturali e drammaturgici del progetto televisivo, in particolare nella gestione delle linee narrative e dei personaggi secondari.

Il merito più evidente viene riconosciuto alle scenografie e alla fotografia di Michael Ballhaus, che riesce a ricostruire con grande rigore l’atmosfera sospesa del sanatorio di Davos. Gli interni in legno intagliato, i lunghi balconi soleggiati e le sale da ballo in stile Belle Époque restituiscono con accuratezza quasi filologica l’ambiente originario immaginato da Mann. Alcune inquadrature – come il riflesso del sole sui lettini dei pazienti e le ombre che si allungano silenziose lungo i corridoi – riescono a trasmettere con forza evocativa la sensazione di tempo dilatato e contemplativo che costituisce uno degli aspetti più riconoscibili del romanzo.

Tuttavia, comprimere l’intero arco narrativo del romanzo in sole cinque ore di visione implica inevitabilmente una drastica eliminazione di eventi, personaggi e riflessioni filosofiche, e le trasformazioni psicologiche dei protagonisti risultano talvolta brusche e frammentate. La celebre diatriba dialettica tra Settembrini e Naphta – il vero cuore filosofico del romanzo – viene ridotta a una serie di scambi didascalici, privi della sottigliezza argomentativa e della tensione intellettuale che caratterizzano le pagine originali. Ogni sottotrama, inoltre, viene limata al minimo indispensabile.

Hans Castorp, interpretato da Christoph Eichhorn, appare come un ingenuo travolto da pulsioni talvolta rese in modo troppo esplicito: la sua relazione con Claudia Chauchat – nel romanzo resa con un lento incontro di sguardi – si concretizza nel film in un episodio isolato, relegato a una scena durante la festa di carnevale. Tra le interpretazioni, in ogni caso, quella di Hans Christian Blech nei panni di Hofrat Behrens merita una menzione particolare: l’attore riesce a restituire con coerenza le contraddizioni e la profondità del personaggio, facendo emergere le sue sfaccettature con una recitazione efficace che si mantiene fedele al modello letterario.

Per mantenere alta la tensione visiva e narrativa, Geißendörfer ricorre a scene di isteria collettiva che, pur curate esteticamente, finiscono per sfociare nell’eccesso spettacolare – come sottolineato dalla FBW –, rischiando di trasformare il microcosmo del sanatorio in un teatro grottesco, in realtà lontano dalla sospensione contemplativa evocata da Mann. Anche la colonna sonora – in cui compaiono composizioni di Wagner, Mahler e Šostakovič – risulta in alcune sequenze ridondante, incapace di commentare davvero le tensioni interiori dei personaggi e accompagnandoli piuttosto con toni eccessivamente enfatici.

Pur mettendo in luce questi limiti, la Filmbewertungsstelle ha riconosciuto il valore documentario delle ricostruzioni d’epoca e l’impegno coraggioso dimostrato nel tentativo di portare sullo schermo un’opera che per lungo tempo è stata considerata impraticabile. Il giudizio complessivo rimane dunque positivo: Der Zauberberg si configura come un adattamento imperfetto ma ambizioso, capace di offrire momenti di autentica suggestione visiva e un rispetto filologico che, pur non potendo restituire appieno la profondità poetica e filosofica del romanzo, si distingue per serietà d’intenti e cura formale. Al di là delle inevitabili semplificazioni, si tratta di un lavoro che merita una visione non solo per gli studiosi di Thomas Mann, ma per chiunque sia interessato alle sfide – artistiche e culturali – dell’adattamento letterario per il mezzo televisivo.