“Sobakistan”: la zoo-distopia come riflessione sull’eco del totalitarismo

Artemij Plechanov

 

“Sobakistan”: Zoo-dystopia as Reflection on the Echo of Totalitarianism

Abstract:

Russian comics, which have been experiencing a significant surge in popularity since the late 2010s, remain relatively underexplored, despite their growing importance as a space for generating meanings and ideas among the younger generation of Russians. This article delves into the analysis of three graphic novels from the Sobakistan series authored by Vitalii Terleckii and Ekaterina Chinaski. The series unfolds within the backdrop of a totalitarian and post-totalitarian state inhabited by anthropomorphic dogs. The paper not only scrutinizes the genre form of these graphic novels but also situates them within the broader context of the post-Soviet Russian literary tradition of dystopias, where the source of fear is not the technologically advanced future, but the restless past, poised to return at any moment. In addition to exploring the genre aspects, this article meticulously examines the thematic elements related to the reflection on political processes and the regulation of the past. It also delves into the portrayal of dictatorship and its opposition within the narrative, shedding light on the nuanced complexities of these dynamics.


 

Perché si legge la letteratura russa? Per molti la letteratura russa è una sintesi tra un cupo esotismo e il tema esistenziale della morte, una repressione del sé, sacrale e metafisica. Il genere distopico rappresenta una sintesi ideale di tutto ciò, soprattutto quando è visualmente infestato da teneri cagnolini. La letteratura distopica è solitamente definita in termini di un genere antitotalitario, nel quale si presta particolare spazio alla rappresentazione di una struttura statale futura, prodotta attraverso uno slittamento nel tempo e/o nello spazio. Come se la contemporaneità dovesse essere declinata in un mondo futuro frutto delle paure nei confronti del progresso tecnologico. Al contrario, come correttamente sottolineato da Mattias Ågren, nel periodo postsovietico la letteratura distopica russa è stata ipnotizzata dalle immagini della minaccia del ritorno al passato. Ciò può essere raffigurato nella forma di un’arcaicità tecnologicamente modernizzata – come in Den’ opričnika (“La giornata di un opričnik”) di Vladimir Sorokin –, attraverso un Paese in cui si alternano rivoluzione e guerra civile – come nel romanzo di Ol’ga Slavnikova 2017 (2005) –, o interpretando metaforicamente la Storia come avviene in Žd (2014) di Dmitrij Bykov. Anche il fumetto russo non è estraneo a questa tendenza e una delle più importanti graphic novel degli ultimi anni è la trilogia Sobakistan: Sobakistan (2019), Sobakistan. Ščenki (“Sobakistan. I cuccioli”, 2021) e Sobakistan. Process (“Sobakistan. Il processo”, 2022) (Fig. 1). Presentando un mondo totalitario che indaga il passato, la Storia e l’estetica dei Paesi del blocco sovietico, essa è divenuta un vero e proprio fenomeno nell’industria del fumetto russo.

Fig. 1. Le copertine di “Sobakistan” (2019), “Sobakistan. Ščenki” (2021) e “Sobakistan. Process” (2022)

 

Il primo volume della saga Sobakistan[1] viene pubblicato per la prima volta nel 2019 dallo sceneggiatore Vitalij Terleckij e dall’artista Ėkaterina (Katja) Činaski. Per quattro anni di seguito compare nella top ten dei fumetti più venduti da “Čuk i Gik”, la più importante fumetteria moscovita. Nel 2020 la trilogia finisce nella short-list del premio letterario della Federazione Russa “NOS” – nel corso degli anni è stato assegnato autori chiave della letteratura russa come Vladimir Sorokin, Aleksej Sal’nikov e Viktor Pelevin –, divenendo la prima graphic novel della storia della Federazione Russa a essere nominata per un premio letterario. Nel 2023 la trilogia è il primo fumetto russo a essere tradotto e pubblicato in Giappone (Fig. 2) e a occupare persino il trentasettesimo posto nella lista dei migliori manga dell’anno secondo la rivista giapponese “Freestyle”. Dunque, si può chiaramente constatare che non si tratta di una semplice graphic novel, ma di un fenomeno della cultura russa del fumetto. Ma prima di trattare dell’opera occorre spendere qualche parola sulla storia fumetto russo e sul perché sia rimasto pressoché sconosciuto fino agli ultimi anni, a differenza della produzione letteraria russa che, nonostante tutto, ha attraversato la cortina di ferro.

Fig. 2. Le copertine giapponesi della trilogia pubblicata dalla casa editrice “Two Virgins Publishing”

 

Il fumetto russo tra ventesimo e ventunesimo secolo

L’industria italiana del fumetto, essendo particolarmente affermata e autosufficiente, non presta troppa attenzione ai fumetti pubblicati in Europa Orientale. Una situazione che, d’altronde, caratterizza tanto altri contesti europei quanto quello americano. Tuttavia, ciò non sorprende: la Russia e, in generale, l’Europa Orientale non sono mai state un punto di riferimento internazionale per il fumetto. A seguito della prima Rivoluzione russa del 1905 e della liberalizzazione della legislazione, nel Paese è emerso un gran numero di artisti in grado di avviare un’industria del fumetto. Prima della Rivoluzione venivano pubblicate attivamente riviste illustrate di stampo umoristico come “Satirikon”, “Iskry”, “Šut” e decine di altre. Tuttavia, durante gli eventi legati alle rivoluzioni e alla guerra civile, molti di coloro che erano coinvolti in questo fenomeno furono costretti a lasciare la Russia. Il risultato di questa emigrazione fu il periodo d’oro del fumetto serbo nella Jugoslavia interbellica (Antanasievič 2018). Durante gli anni della NEP si sviluppò una controversa economia di semi-mercato e vennero pubblicate attivamente riviste umoristiche e persino d’avventura. Fu in questo periodo che apparve il primo personaggio dei fumetti russi riconosciuto da un ampio pubblico: Evlampij Karpovič Nad’kin, un cittadino di Leningrado poco ambizioso che cerca di sopravvivere con la sua famiglia nel mondo mutevole e incerto dei primi anni dell’Unione Sovietica, con un grado più o meno rilevante di tragicomicità. Nel 1928 al Piccolo teatro dell’opera di Leningrado venne persino inscenata la pièce Evlampij Nad’kin, composta da Jurij Šaporin. Purtroppo, con la centralizzazione del potere nelle mani di Stalin degli anni Trenta gli elementi consumisti iniziarono a scomparire, così come anche l’editoria privata. Nel 1940 quasi tutte le riviste umoristiche illustrate, sia quelle statali che quelle regionali, vennero chiuse, fatta eccezione per Krokodil, che divenne di fatto parte del circuito di retroazione del sistema politico sovietico e una sorta di “Ministero dell’Umorismo”, partecipando attivamente all’istituzione dei processi contro i nemici del regime stalinista. Per questo motivo, nel periodo d’oro del fumetto americano, quello sovietico non si sviluppò nella consueta forma di rivista. Dopo che Korneij Čukovskij e altri giornalisti sovietici del tardo periodo staliniano, ispirandosi ai critici americani del fumetto come Frederick Wertham, denunciarono il genere come pseudo-letteratura borghese, fascista, ottundente e responsabile dell’incremento della delinquenza tra i giovani, il termine “fumetto” assunse dei connotati negativi all’interno del vocabolario ideologico sovietico fino agli anni Ottanta, e venne pubblicato solo sotto forma di strisce a fumetti (Plechanov 2023). Gli artisti sovietici non colpiti dalla censura erano interessati al fumetto, ma solo pochi di loro lo integrarono nel proprio lavoro, nella propria arte. Per la maggior parte di loro era una forma d’arte non del tutto comprensibile e, periodicamente, la reinventavano in altri progetti. Ad esempio, sia gli albi illustrati dell’artista Il’ja Kabakov V škafu sidjaščij Primakov (“Primakov è seduto nell’armadio”, 1970-1975) e Poletevšij Komarov (“Komarov volante”,1973) che Lico (“Il viso”, 1975) di Pavel Pivovarov sarebbero potuti diventare dei fumetti underground di grande impatto se solo la Storia fosse andata diversamente. Tuttavia, persino la modalità di interazione del lettore con il genere del fumetto era più in linea con il mistero del racconto epico che con la lettura di una zine. Solo durante il periodo della Perestrojka, ovvero con la conseguente liberalizzazione, la politica della stampa e la fondazione di case editrici private, nello Stato si scatenò un mini-boom del fumetto. In diverse città si formarono gruppi di giovani artisti interessati ai fumetti occidentali. Attorno alla rivista “Večernjaja Moskva” prese vita il “Komiks-studio Kom” moscovita, a Ufa iniziò ad essere pubblicata la rivista “Mucha”, ben presto si stabilirono dei legami con le riviste underground tedesche, a Ekaterinburg venne avviata la casa editrice “Veles”. Persino lo Stato tentò di sfruttare i fumetti nella propaganda e, alla fine degli anni Ottanta, vennero pubblicati tre graphic novel incentrate sulla Rivoluzione del 1917, su quella del 1905 e sulla rivolta decabrista del 1825 (Fig. 3). 

Tuttavia, purtroppo, questo slancio non era destinato a prendere la forma di una vera e propria industria. Il ritorno a un’economia di mercato che distrusse il sistema sia dell’editoria che della distribuzione delle pubblicazioni cartacee in tutti i paesi del blocco orientale e la generale crisi del genere che con fatica reggeva la concorrenza con i nuovi mezzi d’intrattenimento come i videogiochi e la televisione, rimandarono l’avvento dell’industria del fumetto in Russia agli anni Dieci del ventunesimo secolo. Al giorno d’oggi, grazie alla crescente popolarità dell’universo Marvel e alla nuova ondata di interesse per il Giappone che ha raggiunto l’Europa Orientale, si sta verificando un vero e proprio boom del fumetto, tanto nel campo della traduzione quanto nella pubblicazione di fumetti originali. Nel 2022 il lettore italiano ha avuto accesso all’opera principale di una tra i principali fumettisti russi contemporanei, ovvero Suvrilo (“Suvrilo. La ragazza di Leningrado”, 2019) di Ol’ga Lavrent’eva, che tratta delle vicende vissute da sua nonna nel ventesimo secolo: le purghe staliniane, la tragedia dell’assedio di Leningrado, le vicissitudini legate alla memoria e all’oblio. A causa dell’impegno attivo dell’artista nei confronti della storia della sua famiglia, in Russia questo fumetto è stato più volte paragonato al Maus di Art Spigelman. Suvrilo è divenuta un’opera comunemente conosciuta per aver cambiato l’approccio verso il fumetto russo, mostrando il potenziale del genere della non-fiction. Nel 2019 è stato pubblicato anche quello che sembrava essere l’antipodo estetico di Survilo, una graphic novel in bianco e nero, realistica e seria, ispirata all’audiolibro di Vesy (“I demoni”, 1872) di Fëdor Dostoevskij: l’ironico, satirico, colorato e vibrante Sobakistan

 

Una Corea del Nord canina

Al centro della vicenda del primo volume vi sono le prove generali del funerale del leader dello stato totalitario canino, il compagno Družok Trezorovič Šaričesk[2], per il quale lo stato totalitario e chiuso del Sobakistan apre i propri confini agli ambasciatori e giornalisti. Vitalij e Katja hanno realizzato un thriller di spionaggio ambientato nell’eclettica cornice del blocco orientale. Nonostante gli autori si siano ispirati all’estetica della Corea del Nord – si vedano l’abbondanza di giacche militari, cani in uniforme, di hanbok e di riferimenti all’architettura totalitaria di Pyongyang –, a livello grafico l’universo della graphic novel resta abbastanza indefinito, affinché il lettore possa riconoscervi tanto la Corea del Nord quanto il Turkmenistan postsovietico, l’Unione sovietica, la Romania di Nicolae Ceaușescu o l’Albania all’epoca di Enver Hoxha (Fig. 3).

Fig. 3. Alcuni studenti entusiasti del Sobakistan incontrano la delegazione straniera

Benvenuti in Piazza I Due Cani Meravigliosi! Lunga vita al Sobakistan! Lunga vita al nostro caro compagno Družok! / Benvenuti alla Casa della Fratellanza!”

La graphic novel è divisa in singoli episodi che permettono al lettore di avere uno sguardo sull’universo di Sobakistan da diversi punti di vista: quello di un giornalista straniero, di un camaleonte che assomiglia stranamente a Larry King, dell’ufficiale dei servizi segreti Melody, della filistea Gamma, di un ragazzo appartenente a una minoranza etnica, del lupo Todeuš e del compagno Družok in prima persona. L’opera crea la sensazione di un mondo vivo e tridimensionale, sebbene sia piuttosto cupo. Singolare è anche l’equilibrio di humor presente in Sobikastan. Il carattere drammatico della trama, costruita sull’analisi del regime totalitario, entra in contrasto – per non dire in contraddizione – con il quadro luminoso e accogliente del Sobakistan abitato da simpatici cani antropomorfi che evocano simpatia anche sul piano biologico. Questa sintesi di totalitarismo kawaii, dove anche il dittatore di razza Shiba Inu non può non suscitare un sorriso, porta a riflettere su come il male – presentato con una copertina bella e stilosa – possa essere rappresentato come qualcosa di estremamente piacevole sul piano estetico.

Il tema forse più significativo del primo volume è la riflessione dell’autore sul ruolo della propaganda e delle informazioni. Resasi conto della falsità del regime e della povertà dei suoi concittadini (Fig. 4), Melody, impiegata ufficiale dei servizi speciali, decide di entrare in contatto con la Resistenza del Lupo – nel racconto, il Sobakistan ha annesso la vicina contea di Volchet – e di distruggere l’arma principale del compagno Družok – un coro di cuccioli ipnotizzatori – per minare alle fondamenta del regime. Tra cuccioli ipnotizzanti che controllano il Paese e il compagno Družok che minaccia con un pugno i suoi compagni di spionaggio dall’alto del suo palazzo, Vitalij Terleckij comunica al lettore che si tratta pur sempre di una graphic novel divertente su animali antropomorfi e che, per quanto sia serio l’argomento, non occorre prenderlo troppo sul serio.

Tuttavia, la conclusione dell’autore circa il rapporto tra Stato e propaganda è cupa e sconfortante: anche distruggendo quegli strumenti di propaganda malvagi per natura ma innocui sul piano della sostanza, il regime non perde il suo potere. Il regime non si regge su un’unica istituzione di propaganda ed è sempre possibile dichiarare una guerra ai fini di preservarne l’unità.

Come già affermato, nonostante un finale piuttosto cupo, il primo volume si legge molto agevolmente grazie all’impiego di immagini dettagliate e al modo in cui vengono presentate. In ogni pagina la struttura delle illustrazioni è pressoché perfetta: nella maggior parte dei casi il layout è tenuto insieme da una griglia contrapposta di dodici quadrati, distribuiti in quattro pannelli su tre colonne. In alcuni casi i pannelli si fondono l’uno con l’altro e in altri i quadrati si trasformano in rettangoli, ma in generale permane la sensazione di trovarsi all’interno di un mondo simmetrico alla Wes Anderson, con una combinazione di colori scelta in modo minuzioso e costruita su una tensione basata sull’indissolubile unità degli opposti, ad esempio il contrasto tra le coppie rosso-giallo e blu-azzurro. Ciò dona un certo ordinamento autoritario all’universo di Sobakistan e determina un ritmo di lettura abbastanza veloce e chiaro per il lettore.

Il primo volume è una denuncia forte, concisa e stilisticamente molto raffinata della dittatura totalitaria attraverso il linguaggio di una favola esopica tradizionale, anche se confezionata in forma di letteratura di spionaggio. Trattandosi di una distopia, quest’opera è al contempo molto carica di umanità, sebbene la popolazione del Sobakistan sia principalmente costituita da cani. Non presenta quella commistione di disprezzo e speranza che si riscontra nell’atteggiamento verso i proletari di 1984 (1949) di George Orwell o verso le caste inferiori in Brave New World (1932) di Aldous Huxley. Lo sguardo degli autori si concentra su quei cani che si sono ritrovati in un determinato luogo non per loro volontà, ma nel tentativo di giocare un gioco con regole estremamente rigide. È uno sguardo sugli abitanti di uno Stato totalitario dove le persone sono state ingannate, sebbene la loro partecipazione alla vita del Sobakistan non sia un reato.

Fig. 4. L’ufficiale dei servizi segreti Melody accompagna gli ospiti nella visita della residenza del compagno Družok

Un gabinetto d’oro! / Un GABINETTO d’oro! / … il nostro caro compagno Družok alza la zampa! / In metà Sobakistan alzano ancora la zampa ai piedi degli alberi! / E tu hai un gabinetto d’oro! / Almeno non sbandierarlo ai quattro venti! / Vecchio idiota pomposo!

 

Infanzia e oblio nel Sobakistan post-totalitario

Sì, è una cosa davvero strana… sembra che viva proprio accanto a noi e nessuno lo noti…” (Channi Sweet Love)

Il secondo volume della trilogia, Sobakistan. Ščenki, trasporta il lettore in un futuro non troppo lontano del Sobakistan. Dall’ambientazione astratta di uno Stato totalitario del blocco orientale si passa ad una più simile alla Russia degli anni Novanta con tutti i suoi tratti caratteristici: la decomunistizzazione, il gangsterismo dilagante, la tossicodipendenza e la progressiva stratificazione sociale.

I temi centrali del secondo volume sono la libertà di parola e la regolamentazione statale della memoria storica relativa al passato “totalitario”. Mentre nella realtà russa degli anni Novanta le forze anticomuniste al potere non erano state in grado di elaborare una politica coerente della memoria, nel mondo di Sobakistan è avvenuta una radicale (anti)utopica decomunistizzazione. Libri, simboli, storia e persino la diffusione orale di informazioni sui vecchi tempi dell’era del compagno Družok sono vietati a causa del “terzo emendamento”.

La trama principale riguarda l’indagine poliziesca di due cuccioli, il meticcio Vuf e la levriera russa Channi Sweet Love, figli della nuova borghesia. A differenza del primo volume, dove la presenza di personaggi simili e indistinguibili – a partire dalla copertina – rafforza il senso di omogeneità della società canina, nei personaggi del secondo si nota una crescente differenziazione sociale. A partire dal ritrovamento di vecchi distintivi, cartoline e quaderni, Vuf e Channi iniziano la loro indagine per scoprire chi sia il compagno Družok: Dove si è cacciato? Perché i monumenti sono diversi nelle vecchie cartoline? E perché tutti gli adulti si rifiutano di parlare di ciò che è successo?

Questa introduzione alla vicenda è caratterizzata dall’uso da parte di Vitalij Terleckij del poliziesco per ragazzi, un genere rilevante per la generazione di giovani degli anni Novanta – i principali lettori dei fumetti russi contemporanei –. Questa tendenza della letteratura russa per ragazzi ha visto la sua alba tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, a causa della lacuna nella letteratura per adolescenti apparsa nel periodo sovietico. In quegli anni vennero alla luce numerose serie di libri leggendari, come Detckij detektiv. Čёrnyj kotёnok (“Il bambino detective. Il gattino nero” 1996-2005, Fig. 5). In questi libri i protagonisti assomigliano più a dei coetanei degli scolari postsovietici e non tanto a quei saggi detective del ventunesimo secolo provenienti da altri contesti, intenti a svelare gli enigmi e i misteri dello strano mondo creato dagli adulti. Tuttavia, naturalmente, le guerre, l’instabilità politica e la povertà che caratterizzavano quegli anni erano quasi del tutto assenti in questi libri per ragazzi. Gli autori di Sobakistan, invece, consapevoli di questa dimensione silenziosa, la sfruttano abilmente per arricchire l’universo della graphic novel. Il secondo volume non è solo ricco di riferimenti nostalgici a manufatti del passato, ma incorpora anche tutto il cupo contesto sociale dell’epoca, rappresentandolo come uno sfondo sul quale è impossibile soprassedere.

Fig. 5. Una delle copertine alternative di “Sobakistan. Ščenki” edita nello stile di “Čёrnyj kotёnok” dall’artista di Ekaterinburg Kamposter

Nel corso della vicenda, nella quale si apprende qualcosa di più sul movimento rivoluzionario del Sobakistan, i protagonisti trovano l’indirizzo di residenza dell’“ex-compagno” Družok. Fingendosi predicatori religiosi – altri personaggi caratteristici della Russia degli anni Novanta – raggiungono con facilità il suo appartamento che si trova nello stesso complesso abitativo in cui vive il cucciolo Vuf. L’uomo vive come un normale cittadino e, quasi senza accorgersene, offre loro due libri: uno rosso e uno blu, che rappresentano il contrasto principale nello schema cromatico del Sobakistan e un riferimento alle pillole del film Matrix. Il libro rosso è una biografia ufficiale di Družok, apparentemente vietata e pubblicata in passato, mentre quello blu è una biografia del dittatore scritta da un noto giornalista straniero. Raccontano due storie diametralmente opposte: quello rosso tratteggia Družok come un leader saggio in un Paese libero e fiorente, mentre quello blu lo raffigura nelle vesti di dittatore sanguinario, la carestia e la repressione politica. Nel secondo libro i protagonisti apprendono che “sul territorio è vietata qualunque menzione o rappresentazione” (Fig. 6).

Fig. 6. Le due versioni della Storia

“[Sinistra] Il compagno Družok è sempre stato un cane leale e fedele… / E anche buono e generoso… / Ha di fatto aiutato ogni abitante del Sobakistan a liberarsi dalle grinfie della tirannia e dalle catene della schiavitù… / Ai tempi del compagno Družok fiorivano la scienza, l’educazione, lo sport… Col suo artiglio di ferro impediva ogni tentativo di violare la libertà… / Un grande leader, un amico, un compagno…

[Destra] Tra i più sanguinosi dittatori contemporanei… / Insieme a un gruppo di ribelli mise in piedi un colpo di stato militare e usurpò il potere… / La popolazione al di sotto della soglia di povertà… Fame…. Repressioni politiche… /Sontuose parate militari e cortei funebri esageratamente costosi… / Dopo il cambio di regime… è caduto nell’oblio… / Sul territorio è vietata qualunque menzione o rappresentazione…

Come già menzionato, il tema principale di questa graphic novel corrisponde è una riflessione sulla memoria, sulla Storia e sulla libertà d’informazione. Terleckij, d’altra parte, mostra che le difficoltà del passato non scompaiono, continuano a vivere fuori e dentro le case di ognuno. Definendo “dormiente” il pericolo del totalitarismo, l’autore si ribella alla tendenza di mettere a tacere la Storia. In questo volume si può osservare una critica allegorica a quei Paesi dell’Europa Orientale e dello spazio postsovietico che all’inizio degli anni Novanta si sono affrettati a diventare democratici “mettendo al bando il comunismo” e lasciando al “sovietico” uno spazio sul mercato dell’antiquariato. La memoria e l’oblio, l’inammissibilità del silenzio ufficiale del passato, anche a fin di bene: “una bugia è sempre una bugia. La verità a volte non è sempre piacevole, ma… se non conosciamo gli errori che hanno commesso i nostri antenati, come possiamo difenderci da essi?

Per quanto riguarda l’aspetto grafico secondo volume, nel quale si notano alcuni cambiamenti, l’universo di Sobakistan è diventato più dinamico e colorato. Si osserva un’evidente minore staticità rispetto al primo, nonché una maggiore differenziazione stilistica, tra cui viaggi psichedelici e omaggi alla pittura classica rinascimentale (Fig. 7). Il contrasto chiave viene mantenuto, ma vengono inserite più sfumature per creare accenti di colore, come nel caso dell’attributo caratteristico del gangster postsovietico e del nuovo capitalista in una sola persona: la giacca cremisi. Il rifiuto di un vago stato del blocco orientale a favore di una concreta Russia postsovietica dà a Katja la possibilità di illustrare un’ampia varietà di luoghi nuovi e oggetti caratteristici dell’epoca: una piccionaia urbana trasformata in una tana per bambini – il quartier generale –, quaderni, bancarelle del mercato coi tende strisce, nonne e zie che vendono i loro prodotti direttamente sul marciapiede, vecchi appartamenti sovietici e un nuovo stile di interni comunemente chiamato “evroremont”[3].

Fig. 7. I giovani protagonisti Vuf e Channi cercano di scoprire la verità nell’archivio del Sobakistan

Come si fa ad accedere al Grande Archivio? / Deve essere qualcosa di estremamente segreto se non ci lasciano entrare… / Siamo solo dei cuccioli, degli studenti…”

 

Il processo canino

Abbiamo iniziato a lavorare al processo all’inizio del 2021. Da quel momento sono successe molte cose, alcune si sono avverate e altre impallidiscono di fronte alla realtà.” (Vitalij Terleckij)

Nel terzo volume, Sobakistan. Process, il lettore compie un ulteriore salto nel tempo: si apre una finestra o, meglio, una porta su un Sobakistan più contemporaneo. Si tratta di un Sobakistan con un sistema capitalista avanzato, tribunali privati, e ancor più che il secondo volume rimanda alla moderna Federazione Russa. La forma chiave del terzo volume di Sobakistan è un dramma giudiziario: la protagonista del secondo volume, Channi Sweet Love, è diventata avvocato e difende Kometa, l’ultimo sopravvissuto di un gruppo di cuccioli ipnotizzatori – usati da Družok come arma informativa – in un caso riguardante la profanazione della tomba del compagno Družok. Il leader è stato nel frattempo riabilitato e persino glorificato come santo nella chiesa canina del Cane Marino, rimandando esteticamente il lettore ai culti dei mondi di Lovecraft e alla Chiesa ortodossa russa.

Sebbene sia il volume più breve, l’azione presenta un ritmo più lento e il lettore viene risucchiato nell’assurdo sistema dei procedimenti legali sobakistani che degradano progressivamente lo spirito delle leggi, il buon senso e le procedure penali. Se si potesse creare uno strumento in grado di misurare con una lancetta il livello di distopia di un’opera, Sobakistan. Process registrerebbe una chiara impennata. Questa vicenda, articolata in tre giorni, mostra il rapido degrado della giustizia. All’inizio il tutto ha le fattezze di un vero e proprio dramma: un procuratore severo, un avvocato intransigente, i membri della giuria che vengono presentati per nome. Ma si tratta solo di una maschera: scorrendo le pagine il processo iniziato come un talk show si trasforma in un brutale massacro, dove le regole cambiano di giorno in giorno e il giudice sostituisce la giuria con un gruppo di cani da guardia in passamontagna a suon di slogan “Ora si può!”.

La legislazione draconiana, l’onnipotenza e l’incompetenza dei giudici, gli avvocati statali che cercano di indurre i sospetti a patteggiare con la giustizia nonostante la loro innocenza: tutto questo costituisce una satira esopica dell’organo giudiziario contemporaneo russo. La graphic novel crea una realtà giudiziaria inquietante da quanto è plausibile, dove la legislazione diviene estremamente vaga per permettere la possibilità di rappresaglia contro chiunque. Seguendo queste modalità durante una sessione di tre giorni viene approvata “… una legge che restituisce al Paese non solo il suo nome storico Sobakistan… ma che modifica intuitivamente le leggi vigenti secondo un quadro giuridico stabilito”. Si possono anche identificare delle allusioni a casi giudiziari realmente avvenuti nella Federazione Russa. Ad esempio, un sogno di un testimone irrilevante viene usato come prova a favore dell’accusa. Questo episodio può essere interpretato come un riferimento a una causa avviata nel dicembre 2022 contro un cittadino russo residente a Čita, multato ai sensi dell’articolo sulla diffamazione dell’esercito russo per aver raccontato su un social network di aver sognato presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj . Il fatto che questa causa fosse già in corso al momento dell’uscita della graphic novel è un’ulteriore prova dell’abilità degli autori di catturare con precisione lo Zeitgeist dell’attualità circostante. Nel corso del processo il pubblico ministero inserisce con successo nel caso la storia di Muchtar Trezorovič, un defunto collaboratore di Družok. Egli si sarebbe senz’altro sentito offeso dalle azioni dell’imputato, nonostante questi sia morto molto prima dell’inizio del processo. Oltretutto, si tratta di un’allusione agli emendamenti del 2021 al Codice Penale della Federazione Russa che stabilirono la responsabilità penale per la diffusione pubblica di informazioni consapevolmente false sui veterani della Grande Guerra Patriottica (la Seconda Guerra Mondiale), ripetutamente impiegata come manganello contro gli individui politicamente indesiderati.

Fig. 8. Il corteo funebre del compagno Družok

Ora ritorniamo al corteo funebre. / Secondo la tradizione della Chiesa del Cane acquatico, il defunto dovrebbe essere portato o trasportato nella cosiddetta ultima barca, che può essere anche una normale barca, una zattera o un tronco, qualsiasi cosa che possa almeno simbolicamente galleggiare. / Tuttavia, il defunto signor Družok era molto appassionato di carri armati e, quando era il Primo Sovrano Supremo, nel suo palazzo aveva una collezione personale di carri armati provenienti da tutto il mondo. / Gli ufficiali della guardia irsuta stanno cercando di infilare il corpo nella torretta del carro armato. / Tuttavia, non stanno facendo un buon lavoro…

La famosa citazione di Karl Marx nell’opera Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte che recita “la Storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa.”, ha di fatto ottenuto un’effettiva rappresentazione nelle pagine di Process in cui si svolgono i funerali di Družok. Se nel Sobakistan totalitario-soleggiato del primo volume le prove generali del funerale sembrano un ridicolo capriccio di un tiranno pazzo e assumono i connotati di un’impresa più comica e grottesca che spaventosa, la sepoltura del vero Družok presenta dei tratti apocalittici inquietanti. Al lettore viene presentata la trasmissione televisiva del funerale, dove la salma del cane è fissata a fatica alla torretta di un carro armato che si sta dirigendo verso il cimitero con uno striscione rosso con la scritta “Morte!”, seguito dai cuccioli pionieri e rappresentanti storpi di paesi stranieri che sembrano provenire dal passato (Fig. 8). Mentre in Ščenki aleggia un appello alla verità e alla liberazione della memoria dal controllo statale, in Process la dichiarazione di Terleckij è meno prolissa. Non si tratta nemmeno di una satira, ma di una riflessione creativa riguardante quella sintesi chimerica in cui tutto il passato diviene, nel quadro dell’ideologia di Stato, adatto e degno di essere commemorato e celebrato. Durante la cerimonia nel tempio lo spettatore ascolta parole come le seguenti: “Questi sono i cani primordiali su cui poggia la nostra Madrepatria. Ecco a cosa assomigliava il defunto compagno Družok. Lo potete trattare come volete, potete lodarlo, potete rimproverarlo… anche se sarebbe preferibile non rimproverarlo… ma in ogni caso, è UNO DEI NOSTRI, e non c’è modo di liberarsene”.

La stilizzazione del discorso durante il funerale unisce in modo impeccabile il linguaggio politico sovietico a termini pseudo-religiosi e a quel pathos ufficiale tipico dei discorsi politici nella Russia postsovietica. In un’intervista Vitalij racconta di essere rimasto impressionato dalla visione delle oltre quattro ore di trasmissione televisiva della cerimonia funebre di Boris El’cin, dove la tradizione sovietica dei funerali dei leader, la processione funebre ortodossa canonica e i tipici timbri giornalistici occidentali nel racconto della biografia del defunto durante la trasmissione si sono fusi in un unico insieme riproducendo l’agiografia sovietica dei leader. Al contempo, il funerale di Družok può essere interpretato anche come un’allusione anticlericale ai tentativi di canonizzazione dei morti da parte di alcune chiese marginali di epoca staliniana e, in generale, al fatto che la Chiesa ha chiuso un occhio su coloro che hanno represso i suoi membri negli anni Trenta. Non è un caso che le vesti della Chiesa del Cane siano di colore rosso.

Parlando delle caratteristiche visive della graphic novel, la stilizzazione semplicistica della prima parte è sostituita dal dettaglio delle emozioni poste in primo piano. I colori vivaci del Sobakistan si affievoliscono, in questo mondo di illegalità giudiziaria e necrofilia politica non c’è spazio per gioia o colori vivaci, nei ricordi o in un futuro immaginario essi scompaiono del tutto (Fig. 9). Compaiono solo nel momento in cui la protagonista attraversa una crisi e il solo bisogno di protezione dal male percepito da una persona comune – una bambina – le dà forza e riempie il mondo di colori. Nel corso del processo si ritorna anche a uno storyboard più formalizzato e ripetitivo della pagina. Questa vicenda è unita in una griglia di nove rettangoli identici, la maggior parte dei quali funge da cornice per de ritratti; nel mondo di Process il mondo circostante è pressoché assente, restano solo i volti dei partecipanti al processo distorti dalla rabbia, dalla tristezza e dall’indignazione.

Fig. 9 L’avvocato statale Investor convince l’imputato a patteggiare e a dichiararsi colpevole

Il successo di Sobakistan è dovuto a quel metodo universale caratteristico di ogni epoca e cultura che consiste nell’impiegare gli animali come personaggi principali. Risulta efficace il contrasto tra i cani da compagnia disegnati in stile kawaii e la macchina totalitaria statale che porta il lettore a lodare il leader per poi condannarlo all’oblio e, infine, ricordarsi di sentirne la mancanza. Questa trilogia si riallaccia a quella tendenza distopica tipica della prosa russa postsovietica. Difatti, tutti e tre i volumi contengono una riflessione sul tema della Storia, sul suo uso politico e sull’influenza che esercita oggigiorno. D’altra parte, si tratta una Storia universale caratterizzata da libertà e dittature in un contesto interessante e poco frequentato dal blocco orientale. La vicenda è costellata di lacune e questioni sottintese che permettono al lettore di immaginarsi ciò che è realmente accaduto prima e tra gli episodi narrati nei tre volumi. Sebbene alcuni recensori rimproverino agli autori un’insufficiente elaborazione dell’universo in cui si svolge la vicenda, è proprio in questa apertura che risiede il suo punto di forza. Vitalij non si prende la libertà di raccontare il tutto con “fedeltà” e lascia al lettore la libertà di completare questo universo in autonomia, un democratismo che non può che essere apprezzato. Ciascun volume si può leggere in autonomia: Sobakistan come una simpatica e inquietante parodia della Corea del Nord, Sobakistan. Ščenki come un nostalgico poliziesco per ragazzi, Process come una satira sul degrado del sistema giudiziario. Così come Ivan Krylov, che raccontava le favole di Jean de La Fontaine, è divenuto il nonno gentile e più amato dai lettori russi, con questa trilogia Vitalij Terleckij ed Ėkaterina Činaski si sono affermati come i classici del fumetto russo.

 

Bibliografia:

Artemij Plechanov, “Formirovanie antikomiksnogo diskursa v SSSR v konce 1940-ch načale 1950-ch gg, In A. I. Kunin, A. Plechanov, D. Trynkina (eds.), Izotekst-2023: Materialy VIII meždunarodnoj konferencii issledovatelej risovannych istorij i vizual’noj kul’tury, Moskva, Rossijskaja gosudarstvennaja biblioteka dlja molodëži, 2023, pp. 79-97.

Mattias Ågren, Phantoms of a future past: a study of contemporary Russian anti-utopian novels, Stockholm, Stockholm University, 2014.

Irina Antanasievič, Russkij komiks korolevstva Jugoslavija, Sankt-Peterburg, Skifija, 2018.

 

Sitografia:

Purtroppo, la trilogia non è stata ancora tradotta in italiano, ma è possibile leggere i primi due capitoli del primo volume in inglese nel sito GlobalComis. Sobakistan e Sobakistan. Ščenki sono disponibili in open access in russo. Al momento, il terzo volume della trilogia può essere acquistato solo su “Stroki”.

https://globalcomix.com/a/terletski-comics (ultimo accesso 25/01/2024)

https://vk.com/terletsky_comics?w=wall-101952234_14170 (ultimo accesso 25/01/2024)

https://vk.com/wall-101952234_23553 (ultimo accesso 25/01/2024)

https://stroki.mts.ru/book/sobakistan-schenki-120149 (ultimo accesso 25/01/2024)

 

[1] Dal russo “sobaka” (“cane”) accompagnato dal suffisso indoeuropeo “stā”, che in una delle sue varianti persiane “istân” significa “Paese” o “terra”. Lo si utilizza nei nomi di molti Paesi e regioni, soprattutto in quelli dell’Asia Centrale come Kazakistan, Uzbekistan o Afghanistan.

[2] Družok deriva dal russo “drug” (“amico”) ed è stato tradotto “Buddy” dall’autore Vitalij nella versione inglese. Družok era, insieme a Trezor o Šarik, uno dei nomi per cani più popolari sin dall’epoca sovietica. Nel fumetto assume la forma tradizionale composta da nome, patronimico, cognome.

[3] “Evroremont” è un neologismo degli anni Novanta che indica la tendenza a sostituire i mobili di stile sovietico con altri in stile europeo.