Retrotopia, utopia rovesciata della Russia in guerra

Giovanni Savino

 

Abstract:

Retrotopia, Reversed Utopia of Russia at War

The role of the past in legitimising political practices and choices is neither new nor exclusive to Russia, but in contemporary Russia, the emergence of a reworking of historical events has led to a new public narrative. The Future of Nostalgia (2001), to quote the successful work of Svetlana Boym, seems to have found its own space in Russian society, in a process where it is not only the Kremlin that acts, but also the Orthodox Church and other actors. In this text, the author tries to reflect on how the political and ideological project implemented today can fit into the context of retrotopia as the reversal of the utopian horizon of the future.


 

Per chi osserva le vicende russe negli ultimi anni l’attenzione particolare riservata alla storia dalle autorità non rappresenta una novità: oltre a iniziative ben più classiche, come l’edificazione di monumenti e l’organizzazione di commemorazioni, tale aspetto è ben presente nelle interviste e nei discorsi di Vladimir Putin, in cui digressioni e ragionamenti sugli eventi del passato sono parte costitutiva della sua immagine politica, tanto da riflettersi anche nella produzione di meme sul tema. Non è una tendenza emersa con la guerra in Ucraina, ma che si è già manifestata negli anni precedenti, in alcuni casi con effetti surreali per il pubblico, come nel caso della menzione della lotta dell’antica Rus’ contro i peceneghi e i cumani, popolazioni seminomadiche delle steppe del Mar Nero, ricordata in occasione dello scoppio della pandemia di coronavirus. L’istituzionalizzazione del 9 maggio, giornata nella quale si celebra la vittoria nella Seconda guerra mondiale, è la rappresentazione più evidente di questo fenomeno, anche per il forte portato emotivo che la Grande guerra patriottica, come il conflitto è chiamato in russo, ha per essere parte della memoria popolare, con i suoi circa ventisei milioni di caduti tra civili e militari, e a rendere centrale il Giorno della Vittoria nella memoria collettiva. Sarebbe però riduttivo, nonostante il suo ruolo imprescindibile, pensare alle rappresentazioni del passato nella Russia contemporanea come relegate solo all’esperienza traumatica di una guerra che assunse caratteristiche di annientamento senza precedenti, perché il patrimonio storico a cui attingono le autorità ed altri attori è vasto, complesso e contradditorio; inoltre tale attenzione è difficile da relegare a un mero utilizzo per fini di legittimazione politica, seppur vi sono (ovviamente) elementi in tal senso.

Se il ventesimo secolo è stata l’epoca del futuro, con i suoi aspetti sia positivi che tragici, il ventunesimo, con il suo carico di frammentazione sociale e incertezze, appare come il momento della nostalgia di un passato mai esistito ma persistente nella sua continua evocazione. L’Angelus Novus immortalato da Walter Benjamin sembra essersi voltato, dall’aver lo sguardo teso al futuro oggi appare intento a scrutare gli orizzonti del passato in una inversione radicale del proprio volo, ma è davvero diretto verso quel che è stata la nostra storia? La creazione di una ipotetica età dell’oro, d’altronde, non appare come una novità nella storia del pensiero, e sin dall’antichità l’originaria armonia sociale è alla base di riflessioni e narrazioni per le sue potenzialità mitopoietiche. A divenire rilevante è però una declinazione differente della mitizzazione del passato, attraverso la ricostruzione di una storia dove conflitti e contraddizioni non solo vengono minimizzati, ma si trovano ad essere espunti o interpretati, qualora necessario, come interventi esterni in grado di minacciare l’unità primordiale della comunità. Appare in tal senso assai pregnante la riflessione evidenziata da Svetlana Boym nel suo The Future of Nostalgia (2001), quando definisce quest’ultima con le seguenti parole:

Nostalgia (from ‘nostos’ – return home, and ‘algia’ – longing) is a longing for a home that no longer exists or has never existed. Nostalgia is a sentiment of loss and displacement, but it is also a romance with one’s own fantasy. Nostalgic love can only survive in a long-distance relationship.” (Boym 2001: XII)

Non vi è più una casa, ma si prova per essa un legame intenso, tale da tentare di forgiare la relazione con il presente e determinarne lo spazio e i rapporti sociali. Un tema che nella Russia post-sovietica d’inizio anni Novanta appare comune nei tentativi di recupero delle esperienze storiche, dall’impero zarista all’età staliniana, con variazioni importanti nell’attinenza fedele alla cronologia e al contenuto degli avvenimenti. Dalla Rossija, kotoruju my poterjali (“La Russia che abbiamo perso”, 1992), film documentaristico del regista Stanislav Govoruchin, dal carattere apologetico nei confronti dell’autocrazia dei Romanov, il cui titolo presto divenne un meme usato nei confronti delle tendenze neo-zariste presenti nella società, a un’altra espressione, anche questa divenuta assai popolare, del “Stalina na vas net” (“Per voi Stalin non c’è”), in una contrapposizione idealizzata del duro regime di terrore del leader sovietico alla corruzione imperante negli anni della presidenza di Boris El’cin. Eppure è in quegli anni che si sviluppano i primi tentativi di sintetizzare una narrazione del passato con l’impiego di materiali mitopoietici e discorsivi di natura diversa se non confliggente, e si tratta di esperimenti che, con gradi e scale differenti, coinvolgono schieramenti contrapposti. L’esempio più noto è la nascita del Nacional-bol’ševistskaja partija, il Partito Nazional-bolscevico, guidato dallo scrittore Eduard Limonov e dal pensatore d’orientamento neofascista Aleksandr Dugin, la cui bandiera, rossa con una falce e martello nero inscritta in un cerchio bianco, dichiarava graficamente l’intento di voler coniugare suggestioni e idee opposte in un contesto dove estetica, marginalità rivendicata, attitudine punk, unite e interpretate attraverso un’ottica post-moderna, sono state la base di un progetto prima ancora che politico di carattere contro-culturale, come sottolineato da Fabrizio Fenghi in It will be fun and terrifying: nationalism and protest in post-Soviet Russia (2020). La crisi di identità venuta a crearsi con il crollo del sistema socialista e intensificata dalle crisi economiche e politiche del primo decennio post-sovietico, con la guerra in Cecenia a mostrare la debolezza e le difficoltà delle forze armate nell’affrontare i ribelli caucasici, viene affrontata anche dalle autorità russe. La parata del 9 maggio, Giornata della Vittoria, fino ad allora in Unione Sovietica tenuta solo tre volte, nel 1965, 1985 e 1990 (la sfilata del 1945 avvenne il 24 giugno), per il cinquantenario della fine della Seconda guerra mondiale in Europa viene ripristinata da Boris El’cin, come celebrazione del trionfo alleato sulle potenze dell’Asse ma anche come ricordo dell’orgoglio delle armi, anche se sovietiche. Da quel momento la parata diventa appuntamento annuale, ma sarà solo dieci anni dopo, verso la fine del primo mandato presidenziale di Vladimir Putin, che diventa fulcro del progetto identitario russo promosso dal Cremlino.

Il superamento della perdita di senso e gli sforzi intrapresi nell’edificazione di un noi collettivo proseguirono, dopo le discusse elezioni presidenziali del 1996 che videro la riconferma di Boris El’cin, con la promozione del dibattito sull’idea nazionale. Un concorso, chiamato “Idei dlja Rossii” (Idee per la Russia), venne lanciato dalla “Rossijskaja gazeta”, giornale ufficiale del governo, con l’intento di “elaborare una formula universale, in grado di racchiudere i valori comunemente accettati e di unire tutti”, come dichiarò un collaboratore del presidente, Georgij Satarov, in una intervista al quotidiano “Izvestija”, perché

(noi russi) dobbiamo essere uniti non solo dalla Costituzione, dalle leggi, ma anche da una cornice valoriale, la questione che si pone è uguale al senso della vita: perché viviamo, perché cresciamo i nostri figli e così via. In tal senso l’idea nazionale è fuori e al di sopra dei partiti […] non può essere imposta dallo Stato ma deve venire dal basso e per questo il presidente, invece di dire ‘ecco l’idea nazionale, vi chiede di trovarla.” (Kiselëv 19/07/1996)

Del concorso però non se ne fece nulla, e il nuovo primo ministro Vladimir Putin, il giorno prima dell’annuncio ufficiale delle dimissioni di El’cin, il 30 dicembre 1999 in un testo programmatico pubblicato da “Nezavisimaja gazeta”, scriveva di essere “contro il ristabilimento di una ideologia ufficiale, statale, in qualsiasi sua forma. Nella Russia democratica non può esservi una concordia sociale forzata” (Putin 30/12/1999). Una posizione evolutasi, nel corso di due decenni, nel suo contrario, con la proclamazione del patriottismo come idea nazionale, senza passi legislativi in tal senso se non in direzione della limitazione prima degli spazi democratici e d’espressione e poi con l’adozione di provvedimenti e misure indirizzati a colpire posizioni ritenute contrarie al nuovo corso ideologico iniziato con il terzo mandato presidenziale del 2012, basato sulla esaltazione dei valori tradizionali, assunti a emblema della politica, sia interna che estera, ufficiale russa.

 

Vladimir Putin in visita al parco tematico “Rossija – moja istorija” a Volgograd

 

La retrotopia come chiave di lettura della narrazione del passato (e del presente)

Nel caso russo quel che più colpisce è il lavoro di scomposizione e ricomposizione degli eventi storici, assemblati in una narrazione senza soluzione di continuità in cui l’idea eterna di Stato e di Russia (coincidenti) si manifesta a più riprese nel millennio iniziato con la conversione al cristianesimo del Gran principe di Kiev Vladimir, minacciata di volta in volta dagli aggressori esterni – dai mongoli agli americani, passando per polacchi e tedeschi – e dalle tensioni interne, sempre presentate come conseguenza dell’azione sabotatrice delle potenze straniere. La mostra Rossija – moja istorija (“La Russia è la mia storia”), esposizione stabile sorta dalle pregresse esibizioni dedicate ai Romanov, ai Rjurikidi e alla seconda metà del Novecento, in tal senso è la realizzazione in forma di strumenti multimediali e percorsi didattici della retrotopia avanzata oggi come identificazione nazionale: inizialmente basata a Mosca, dove ha ottenuto un intero padiglione, il 57, al VDNCh, si è poi estesa a ventisei città, con parchi tematici che ricalcano la narrazione proposta nel progetto iniziale. La curatela dell’iniziativa è stata di Tichon (Ševkunov), attualmente metropolita di Crimea, considerato padre spirituale di Putin e presidente del Consiglio per la cultura della Chiesa ortodossa russa. Già autore di un film, Gibel’ imperii. Vizantijskij urok (“Morte di un impero: la lezione bizantina”, 2008), dove il crollo di Bisanzio viene letto attraverso le lenti dell’analogia con quanto avvenuto nella Russia zarista e in Unione Sovietica, Tichon ha delineato come concetto basilare di Rossija – moja istorija la lotta, millenaria, tra lo Stato russo-ortodosso e l’Occidente, senza però indulgere in tentazioni eurasiatiste: le invasioni mongoliche e l’Orda d’Oro vengono rappresentate come un male inferiore alla potenza economica e politica europea, ma comunque causa della disgregazione dell’unità primigenia della Santa Rus’. Anche nella scelta dei colori delle luci poste ad illuminare i tabelloni esplicativi e nei suoni che accompagnano i visitatori vi è una sapiente cura, con una tetra sfumatura di rosso proiettata quando si tratta dei nemici del cammino secolare della Russia, dai pagani ai bolscevichi passando per i decabristi e i populisti e finendo alle minacce a odierne. A esser particolarmente interessante è la ricostruzione dell’età sovietica, il cui mito fondante, la rivoluzione d’Ottobre, è presentata come una catastrofe geopolitica ispirata dalla Germania e dalle potenze dell’Intesa, in una inedita coincidenza d’interessi tra acerrimi rivali nella Prima guerra mondiale, e le persecuzioni ai danni del clero ortodosso sono diretta conseguenza delle politiche del nuovo potere comunista, una interpretazione non molto diversa, nei toni e nei dati forniti, dalla pubblicistica e memorialistica dell’emigrazione antibolscevica. La vittoria nella Seconda guerra mondiale, però, è illustrata come trionfo dello spirito russo, depurata di ogni suo dettaglio sovietico: la bandiera di Stato dell’Unione Sovietica è presentata come emblema della vittoria, vi è una nazionalizzazione del conflitto, dove non c’è spazio per gli altri popoli delle repubbliche sovietiche, il cui contributo o viene minimizzato o scompare. Nelle sale delle esposizioni vi sono degli enormi banner, con citazioni di personalità della storia e della politica della Russia e del mondo, da Napoleone Bonaparte a Sergej Lavrov passando per Otto von Bismarck e Petr Stolypin: la frase “è impossibile vincere i russi, ce ne siamo convinti nei secoli, ma possiamo seminare tra loro falsi valori e così si sconfiggeranno da soli”, attribuita al cancelliere tedesco, fu al centro di una polemica nel 2015, quando venne aperto il primo parco tematico a Mosca, sulla scientificità e accuratezza storica dell’esposizione. Un punto sicuramente fondamentale, ma che non coglie come l’elemento della veridicità nella costruzione di una narrazione storica non sia contemplato: come notato da Adrian Selin in un suo studio sul parco pietroburghese,

dopo la visita all’esposizione lo storico di professione ne esce con la sensazione della sconfitta. Soluzioni tecniche semplici (schermi multimediali, proiettori, quiz e giochi) […], l’attenzione degli autori a un pubblico quanto possibile più vasto, il legame presente e latente tra il contenuto esibito e l’Esame unico statale di storia, e soprattutto il gran numero di visitatori, giunti singolarmente o in gruppo, testimoniano il successo registrato dagli ideatori, un successo semplice ma convinto. Possiamo scriverne quanto vogliamo, individuare i numerosi errori fattuali, ma nessuno smantellerà la mostra.” (Selin 2018: 60)

Tale approccio rientra pienamente in quanto descritto dal sociologo Zygmunt Bauman in Retrotopia, tra i suoi ultimi lavori, nel quale analizza la tensione politica e ideologica del ritorno a epoche più che passate immaginate. Nell’introduzione l’autore individua la ragione di quello che definisce “innamoramento retrotopico per il passato” nell’instabilità sociale e nell’assenza di prospettive rassicuranti della nostra epoca:

Ecco così spiegata la nuova inversione di rotta del pendolo della mentalità e degli atteggiamenti pubblici: le speranze di miglioramento, a suo tempo riposte in un futuro incerto e palesemente inaffidabile, sono state nuovamente reinvestite nel vago ricordo di un passato apprezzato per la sua presunta stabilità e affidabilità. Un simile dietrofront trasforma il futuro, da habitat naturale di speranze e aspettative legittime, in sede di incubi: dal terrore di perdere il lavoro e lo status sociale che esso conferisce, a quello di vedersi ‘riprendere’ la casa e le cose di una vita, di rimanere impotenti a guardare mentre i propri figli scivolano giù per il pendio del binomio benessere-prestigio, di ritrovarsi con abilità che, sebbene faticosamente apprese e assimilate, hanno perso qualsiasi valore di mercato. La via del futuro somiglia stranamente a un percorso di corruzione e degenerazione. Il cammino a ritroso, verso il passato, si trasforma perciò in un itinerario di purificazione dai danni che il futuro ha prodotto ogni qual volta si è fatto presente.” (Bauman 2020: XVI-XVII)

Nell’applicare il concetto proposto alla realtà russa vi è la necessità di tener conto di come la stabilità e la sicurezza in quel contesto si riferiscano più all’assetto delle relazioni politiche interne e dell’ordine internazionale che a inquietudini sociali, le quali comunque non mancano, come emerge dalla incessante propaganda e dalla frenetica attività legislativa in favore dei valori tradizionali e contro quelle categorie, dalla comunità LGBTQ+ agli attivisti impegnati in movimenti sgraditi al potere, da ridurre al silenzio e espungere dallo spazio pubblico come elemento di disturbo nel recupero della armonia primordiale. L’invasione dell’Ucraina, annunciata con una serie di scritti e dichiarazioni sulla artificiosità della sua identità nazionale, frutto dell’avvenuta rottura dell’unità ancestrale della Rus’ e della koiné ortodossa, risponde anche alla visione retrotopica di riassetto e ristabilimento dell’equilibrio perduto, in un pantheon dove vi è posto per gli eroi medievali come Vladimir o Aleksandr Nevskij e per Pietro I, vincitore della guerra del Nord ma soprattutto dell’etmano Ivan Mazepa, e infine per i generali sovietici, oggetto di appropriazione e riconversione in senso russo. La linea di continuità viene così a concludersi con i combattenti dell’operazione speciale militare, designati come ultimi in ordine di tempo tra i difensori dello Stato russo e del suo posto nel mondo. In tal senso la riflessione su come l’insieme di pratiche impiegato da attori sociali diversi ma uniti da intenzioni e valori comuni per affermare la propria interpretazione del passato non solo come memoria storica ma come progetto politico, culturale e ideologico per il presente diviene preziosa per comprendere cosa accade nella Russia di oggi.

 

 

Bibliografia:

Adrian Selin, “O vistavkach v istoričeskom parke ‘Rossija – moja istorija’ v Sankt-Peterburge”, in Istoričeskaja ekspertiza, No. 1 (14), 2018, pp. 59-77.

Aleksej Miller, “Rossija: vlast’ i istorija”, in Pro et Contra, No. 3-4 (46), 2009, pp. 6-23.

Fabrizio Fenghi, It Will Be Fun and Terrifying: Nationalism and Protest in Post-Soviet Russia, Madison, University of Wisconsin Press, 2020.

Giovanni Savino, “Cosmologia di Vladimir Putin”, in Limes, No. 4, 2002, pp. 67-73.

Mara Morini, Giovanni Savino, “Il culto nazionalista di Putin e il tradimento della storia”, in Domani, 13 maggio 2022.

Stepan Kiselëv, “Georgij Satarov: Nacional’naja ideja – ėto nebol’no, in Izvestija, 19 luglio 1996.

Svetlana Boym, The future of Nostalgia, New York, Basic Books, 2001.

Viktorija Kaz’mina, Istoričeskie parki “Rossija – moja Istorija” kak otraženie tranformacij institucional’nogo izmerenija rossijskoj politiki pamjati, in Aleksej Miller, Dmitrij Efremenko (eds.), Politika pamjati v sovremennoj Rossii i stranach Vostočnoj Evropy. Avtory, instituty, narrativy, Sankt-Peterburg, Izdatel’stvo Evropejskogo universiteta v Sankt-Peterburge, 2002, pp. 172-187.

Vladimir Putin, “Rossija na rubeže tysjačeletij”, in Nezavisimaja gazeta, 30 dicembre 1999.

Zygmunt Bauman, Retrotopia, Roma-Bari, Laterza, 2020.

 

Sitografia:

Gibel’ imperii. Vizantijskij urok, a cura di Tichon (Ševkunov), https://www.youtube.com/watch?v=Y0JhCb5CT7c (ultima consultazione: 25/02/2024)

Istoričeskij park “Rossija – moja istorija”, https://myhistorypark.ru/ (ultima consultazione: 25/02/2024)

Rossija, kotoruju my poterjali, regia di Stanislav Govoruchin, https://www.youtube.com/watch?v=5Aygl7ybmlg (ultima consultazione: 25/02/2024)

Apparato iconografico:

Immagine 1: https://rg.ru/2018/05/10/vladimir-putin-molodezh-dolzhna-stat-liderom-peremen.html