“Tu ed io e altri racconti” di Andrej Sinjavskij: il mondo del grottesco

Silvia Forzani

 

È recentemente uscito, a cura della casa editrice Voland, Tu ed io e altri racconti di Andrej Donatovič Sinjavskij, una breve raccolta di sei racconti tradotti da Benedetta Lazzaro all’interno della collana SÍRIN. 

Link al libro: https://www.voland.it/libro/9788862435314

Era quel momento beato della giornata in cui nessuno capisce che ora sia, perché il cielo, cadente di neve sulla terra, poteva tranquillamente passare per diurno, grazie alla sua lucentezza, ma anche per notturno, per la ragione opposta.” (p. 30)

La figura di Andrej Sinjavskij (Mosca 1925, Parigi 1997), conosciuto anche con lo pseudonimo di Abram Terc è di rilevante importanza per il panorama letterario del periodo sovietico. Celebre autore di Spochojnoj noči (“Buona notte!”, 1984), è anche critico letterario, professore e collaboratore della rivista “Novyi mir” (“Nuovo mondo”). A partire dal 1945, Sinjavskij aderisce a una forma di dissidenza sempre più profonda, criticando il regime sovietico. Inizia quindi a impiegare il suo pseudonimo per scrivere racconti, romanzi brevi e saggi che furono pubblicati all’estero, poiché di impianto satirico nei confronti del regime. Tuttavia, nel 1966 venne scoperto e processato insieme a Jurij Daniel’ nel celebre processo che passò alla storia come “Processo Sinjavskij-Daniel’”, al termine del quale entrambi furono condannati ai lavori forzati. Sinjavskij scontò sette anni nei gulag per attività antisovietica. Una volta liberato, nel 1971 emigrò a Parigi dove divenne professore di letteratura russa alla Sorbona. Successivamente, nel 1978, divenne redattore con la moglie Marija Rozanova della rivista “Sintaksis: publicistika, kritika, polemika” (“Sintaksis: pubblicistica, critica, polemica”) e lo rimase fino al 1982. Nella rivista trovavano spazio alcune voci della dissidenza e testimonianze letterarie prodotte nel contesto dell’emigrazione.

Il volume presenta nuove sfumature del genio artistico di Sinjavskij. I suoi racconti, che prendono sempre una piega inaspettata, si svolgono su un piano geografico vasto e variegato, in cui fanno capolino descrizioni paesaggistiche di una Russia sfaccettata e presentano un microcosmo popolato da diverse personalità e da storie ambientate in contesti molto diversi tra di loro. Sinjavskij non descrive direttamente i suoi personaggi, ma essi si auto-caratterizzano attraverso i loro modi di fare e di parlare. La struttura dei racconti richiama l’impianto gogoliano, ovvero quello tipico del fantastico-grottesco, costituito da apparizioni e sparizioni inspiegabili, sogni, presenze demoniache o elementi folkloristici, quali i domovoj – nella mitologia slava demonietti che proteggono le mura domestiche – o i lešij, spiriti protettori delle foreste. La scrittura di Sinjavskij, chiara e pulita, catapulta il lettore in una dimensione straniante, mantenendo comunque una solida base gnomica e moraleggiante, poiché questi sei racconti fanno perno su temi quali: la colpa, la solitudine, la presa di coscienza della vita e della morte, l’amore, lo scontro con il sistema e la marginalità della creazione artistica. Lo stile dell’autore non è ampolloso e germinate, ma asciutto, quasi chirurgico.  Questo tratto caratteristico viene pienamente rispettato dalla traduzione italiana, nella quale Lazzaro riesce a mantenere velata la leggera vena satirica presente in Sinjavskij.

V cirke (“Al Circo”, 1955) è il racconto che apre la raccolta. Inizia in medias res, presentando una dimensione abbastanza caotica che trascina il lettore a uno spettacolo circense in cui vi sono giocolieri e acrobati, quando sulla scena appare una curiosa figura: quella del Manipolatore. Quest’ultimo viene descritto come una persona colta dall’aspetto straniero. Egli ottiene subito l’attenzione del pubblico con i suoi trucchi di magia: dal far spuntare un topolino bianco dal cappello di una signora, al riempire magicamente dei bicchieri. Dopo lo spettacolo stupefacente del Manipolatore, l’attenzione si sposta sul vero protagonista del racconto: Konstantin Petrovič, detto Kostja, un giovane di venticinque anni deluso da tutte le cose che non sa fare: né girare in tondo su una ruota, né andare a quattro zampe su una bicicletta. Tuttavia, l’occasione si presenta per Kostja, quell’occasione che ha sempre aspettato e che gli cambierà la vita: in uno scontro convulso con un uomo, definito con i controfiocchi, il “miracolo” avviene. Una fascia massiccia di banconote vola dal giubbotto dell’uomo sotto alla camicia di Kostja. Egli inizia una nuova vita, le sue abitudini cambiano, ora Kostja frequenta sempre il ristorante Kyïv dove mangia e, soprattutto, beve; tuttavia, un’abitudine che contraddistingue Kostja è quella di invitare al suo tavolo – con pasto offerto – chiunque lo desideri. Uno dei convitati principali di Kostantin è Solomon Moiseevič, descritto come un uomo triste, vecchio e con abiti modesti. A differenza di Kostja, Solomon è un uomo colto, i due dunque si perdono su questioni scientifiche e moraleggianti, si scontrano ma si ascoltano a vicenda, affogando le loro lamentele e preoccupazioni nell’alcool.

Sulla scena appare un altro personaggio, che si intreccia alla vita di Kostja: Lëška. Lëška è un invalido di guerra, ha perso il braccio destro a causa di una mina nazista. Questa perdita, come ben evidenziato dal narratore, non ha sortito nessun buon effetto su di lui: egli propone infatti di intrufolarsi in una casa facoltosa per rubare. Kostja, riluttante, decide comunque di accettare. Una volta entrati, inaspettatamente, trovano qualcuno in casa: il Manipolatore. Il Manipolatore si sveglia e inizia a urlare, Kostja spara, lo sparo richiama l’attenzione dei portieri che arrivano sulla scena, Kostja non oppone resistenza, la sua vita è ormai rovinata; l’avvocato difensore riesce a risparmiargli la fucilazione e viene quindi condannato a 20 anni di prigione. Con uno scarto temporale, il narratore si concentra su una giornata di lavoro di Kostja nei gulag. Nel finale, il protagonista corre verso il filo spinato, assaporando la libertà, saltando e trovando in sé una forza sovrannaturale. All’improvviso cade a terra di faccia con la testa trapassata da un proiettile sparato da una guardia.

Uno dei racconti più interessanti dal punto di vista narrativo è quello che dà il nome alla raccolta: Ty i ja (“Tu ed io”, 1959). Suddiviso in capitoli, presenta un io che si rivolge all’interlocutore Nikolaj Vasel’evič, il narratore che assume un’aria filosofica e austera: il suo sguardo è onnisciente, è un osservatore universale, quasi come se avesse gli occhi di Dio, vede ogni cosa nel suo quadro di umanità. Il racconto è animato da una grande protagonista che avvolge l’azione rendendola più ovattata: la neve. Il primo capitolo si apre in un contesto amichevole tra colleghi, in cui il narratore pone costantemente il focus sul tu, per poi allargarsi e diventare onniveggente. Questo sguardo viene mantenuto nel secondo capitolo, che intreccia nascite e morti a banali azioni quotidiane: come infilarsi dei jeans o cuocere la kaša di semolino, per poi finire con lo sguardo su un uomo, che sarà quel “tu” che tutti stavano aspettando a tavola, quel “tu” che dichiara di amare la bibliotecaria Lida. Inizia un corteggiamento inaspettato dettato da un turbinio di emozioni che porta i due protagonisti, -Lida e il personaggio a cui si rivolge il narratore – a fuggire, avvolti dalla costante presenza silenziosa della neve. L’incontro con Genrich Ivanovič Graube, uno dei convitati al banchetto iniziale, instaura delle insicurezze nel cuore di Nikolaj, e comincia a sottrarsi alla ragazza. È possibile capire e scrutare i pensieri di Nikolaj, i suoi dubbi e le sue incertezze, finché non compare sulla scena il narratore, Ippolit. Egli, proprio come Nikolaj, si innamora di Lida. Dunque, la vicinanza tra il narratore e Nikolaj diventa sempre più forte, quasi come se le loro anime fossero legate indissolubilmente. In un climax ascendente di emozioni e punti di vista, Nikolaj si toglie la vita, ma tutto rimane come sempre, la neve continua a scendere.

Non mi considero un pessimista ma devo dire, assumendomene tutta la responsabilità, che se si analizza più attentamente la sostanza della vita, risulta chiaro che tutto termina con la morte.” (p. 115)

Tu ed io e altri racconti, edito da Voland, è congeniale sia per un lettore inesperto di Sinjavskij, sia per un già conoscitore dell’autore. Il volume offre la possibilità di conoscere e cogliere in modo più approfondito la sensibilità artistica di un autore fondamentale del periodo sovietico. Attraverso la figura di Sinjavskij si coglie cosa significasse essere uno scrittore che all’epoca riusciva, in un realismo fantastico, a descrivere una dimensione di estrema purezza e attualità.

 

Apparato iconografico:

Immagine: https://www.voland.it/libro/9788862435314