“Rozanov” come fenomeno šklovskiano. Un saggio formalista inedito

Martina Mecco

 

Sin dai suoi primi passi, la casa editrice italiana Wojtek si è dimostrata attenta alla scelta e alla cura dei suoi volumi. Nata a Napoli nel 2018, presenta nel suo catalogo la collana Ostranenie, dedicata al vasto campo della teoria della letteratura. “Ostranenie” è un termine di non facile traduzione, se l’inglese tende all’utilizzo di “defamiliarization”, il tedesco ha difficoltà nel scegliere tra “Entfremdung” e “Verfremdung” e il francese si dimena tra “étrangisation”, “défamiliarisation”, “désautomatisation” e “aliénation”. In ambito ceco, la traduzione de Poetika kompozicii (“Poetica della composizione”) di Boris Uspenskij aveva fatto scaturire un dibattito circa l’inadeguatezza del termine “ozvláštnění” (Heczková – Svatoňová 2015). Il termine “Ostranenie” è quindi un caso che esemplifica in modo chiaro quel fenomeno che Renate Lachmann definisce in termini di “migrazione dei concetti” (Lachamann 2023).

Il secondo volume della collana era L’ultimo bastione del buonsenso, la raccolta eterogenea di scritti di Danilo Kiš, uno degli intellettuali più significativi del secolo scorso, sia nell’ambito della bellettristica che della critica. Il quarto e ultimo volume pubblicato è espressione diretta del titolo della collana. Difatti, il termine “Ostranenie” compare per la prima volta all’interno dello scritto di Viktor Šklovskij Isskustvo kak priem (“L’arte come artificio”), uno dei manifesti più significativi dell’OPOJAZ. Con fare si potrebbe dire programmatico, la prima parte di questa collana si chiude proprio con uno scritto di Šklovskij sino ad oggi inedito in Italia, Rozanov. Il volume è tradotto da Maria Zalambani, slavista e docente presso l’Università degli Studi di Bologna. I suoi interessi sfociano anche nella teoria letteraria russa e sovietica. A questo proposito, nel 2022 ha pubblicato la monografia Letteratura e psicoanalisi in Russia all’alba del XX secolo. La curatela è stata co-realizzata da Federica Arnoldi, Luca Mignola e Alfredo Zucchi.

Link al libro: https://www.wojtekedizioni.it/prodotto/rozanov-viktor-sklovskij/


Proporre uno scritto di Šklovskij al lettore italiano è un’azione audace, soprattutto con le intenzioni di Wojtek, ovvero la volontà di non limitarsi a un mero pubblico specialistico e non circoscrivere la teoria della letteratura all’elitaria dimensione accademica da cui, in un certo senso, deriva. Šklovskij è uno dei protagonisti del Formalismo Russo, nonché uno dei più noti e tradotti in italiano. Non vi è alcun dubbio sul fatto che questo abbia rappresentato una delle stagioni più significative nell’evoluzione della teoria letteraria (e linguistica), aprendo le porte a una nuova concezione della letteratura e a nuove metodologie dell’analisi letteraria destinate a rappresentare un’eredità fondamentale sino ad oggi. In un lungo dialogo con Serena Vitale, Šklovskij descriveva come segue il rapporto tra il Circolo linguistico di Mosca e l’OPOJAZ di Leningrado (e, dunque, il suo personale rapporto con Jakobson):

Ci incontravamo, naturalmente. Jakobson spesso veniva da noi, si fermava a Pietrogrado. Comunque erano due gruppi distinti. La differenza fondamentale tra il gruppo di Mosca e quello di Pietroburgo, io credo, è che quello moscovita, soprattutto Jakobson, riteneva che la letteratura fosse un fenomeno della lingua, mentre noi ritenevamo che la letteratura fosse uno dei fenomeni dell’espressione artistica.” (Šklovskij 1979: 38).

Ad emergere dalle memorie e dagli scritti dei membri dei circoli formalisti (nel contesto russo come in quello polacco e ucraino o in quello ceco dello Strutturalismo) sono spesso due elementi: lo stretto rapporto tra letteratura e critica letteraria – in senso teorico ma anche quotidiano- e l’importanza riservata alla dimensione collaborativa del gruppo. Si trattava di giovani pronti a ribaltare la tradizionale critica letteraria, ad abbandonare tendenze interpretative di stampo positivista. Utilizzando un’espressione jakobsoniana, si trattava di una vera e proprio organizzazione “combattiva” o, come affermato da Šklovskij nella conversazione citata poc’anzi, nei confronti dei predecessori si era “aggressivi”. L’importanza del metodo formalista riecheggia non solo in ambito russo, ma europeo. Tuttavia, sorge evidente la necessità di portare avanti un dibattito che non si è ancora esaurito, ovvero quello intorno alle elaborazioni del Formalismo russo e dei gruppi di intellettuali che si formarono seguendone il modello. La rilettura di queste teorie contribuisce a comprendere molto delle origini delle teorie letterarie contemporanee, inevitabilmente eredi di un incontro tra i testi di quei giovani letterati “aggressivi” e le critica tradizionalmente identificata come “occidentale”.

Proporre uno scritto di Šklovskij a un ampio pubblico di lettori è audace in quanto i testi formalisti presentano una difficoltà non indifferente in termini strutturali e terminologici. Tuttavia, a contribuire nel rendere accessibile lo scritto al lettore non specializzato interviene la curatela, che oltre a proporre una biografia di Šklovskij, ne inserisce anche una di Vasilij Rozanov, al contempo apologista della coppia, del sesso e della fecondità, implacabile accusatore della chiesa russa (pur essendo profondamente religioso), difensore dell’autocrazia, acceso nazionalista e antisemita. (p. 65). A tal proposito, si legge in Rozanov:

Ma i temi proibiti continuano a esistere al di fuori della letteratura canonizzata, così come esiste, ed è sempre esistito, l’aneddoto erotico e così come esistono nella psiche desideri repressi, che di tanto in tanto si manifestano nei sogni, alle volte in modo inatteso per chi sogna. Il tema recente della vita familiare più intima, dell’atteggiamento domestico verso gli oggetti, dell’amore coniugale a letto non è mai finito (o quasi mai) sotto i riflettori della “grande letteratura”, eppure esisteva, per esempio, nelle lettere.” (pp. 17-18)

Rilevanti sono anche le note e la postfazione di Zalambani. Grazie al supporto di quest’ultime ne risulta una lettura più scorrevole e stimolante. Rozanov rappresenta infatti un ottimo esempio del metodo šklovskiano, dell’abilità dello studioso di scomposizione e ricostruzione degli elementi che regolano il tessuto dell’intreccio o l’assenza di quest’ultimo. In conclusione, la pubblicazione di Rozanov conferma da un lato l’attuale necessità di continuare a dialogare con gli scritti formalisti e, dall’altro, la qualità delle edizioni Wojtek.

 

Bibliografia:

Libuše Heczková, Kateřina Svatoňová, “Ostranenie Does Not Equal Ozvláštnění: An Issue of a Term Transferred and Misunderstood”, in Slovo a smysl, N. 12/24, 2015, pp. 50-58.

Renate Leichmann, “Migration of concepts”, in Michał Mrugalski Schamma Schahadat, Irina Wutsdorff, Central and Eastern European Literary Theory and the West, Berlin-Boston, De Gruyter, pp. 23-46.

Viktor Šklovskij, Testimone di un’epoca. Conversazioni con Serena Vitale, Roma, Editori Riuniti, 1979.

 

Apparato iconografico:

https://www.wojtekedizioni.it/prodotto/rozanov-viktor-sklovskij/