Uno spaccato sull’adolescenza ucraina del 1998. Intervista a Anna Burjačkova, regista di “Forever-Forever”

 

Anna Burjačkova, al contrario di molti cineasti connazionali, ha un passato che principalmente si lega al mondo della pubblicità e dei video musicali, esperienza che di certo ha portato con sé nel suo film di debutto, Nazavždy-Nazavždy (Forever-Forever). Presentato in Orizzonti Extra alla Ottantesima Mostra del Cinema di Venezia. Unico film ucraino presente nella selezione, esso rientra nel genere molto prolifico del cinema incentrato dedicato alla formazione adolescenziale, il cosiddetto Coming-of-age. In ambito ucraino, altri esempi sono Stop-Zemlja di Kateryna Hornostaj o Ty mene Ljubyš? (Do you love me?), il film di Tonja Nojabr’ova presentato quest’anno alla Berlinale.

Spesso, nel cinema est europeo questo tema dell’adolescenza si intreccia con un momento storico rilevante, come la fine della Guerra Fredda o la caduta di un regime. Quasi sempre accade che il contesto storico arriva a soppiantare per importanza la trama o la centralità del personaggio. Tuttavia, ciò non accade in Forever-Forever: se non fosse per l’assenza di tecnologie moderne e la presenza di elementi dell’epoca (come le cassette) non si percepirebbe l’anno di ambientazione, il 1998. Per questa ragione e per la dinamicità che la caratterizza, l’opera prima di Anna Burjačkova risulta uno dei film di formazione più leggeri usciti nell’Est negli ultimi anni. Un’apparente contraddizione se considerata la presenza di temi forti quali l’abuso e la violenza giovanile, argomenti peraltro mai sottovalutati e gestiti con la necessaria serietà, senza però far “inciampare” il racconto, rallentarlo o appesantirlo. 

Abbiamo incontrato Anna Burjačkova al Lido.


 

VT: Nazavždy-Nazavždy è ambientato nei tardi anni Novanta. Quanto è legato il film alla tua esperienza personale?

AB: Innanzitutto non è la mia autobiografia: si tratta di episodi che, in quegli anni, erano all’ordine del giorno. L’idea alla base del film era quella di raccogliere questi momenti della memoria collettiva e inserirli in una sceneggiatura. Nessun personaggio è l’esatta copia di qualcuno di noi, ma c’è sempre qualcosa che ci accomuna: l’esperienza che viene mostrata è correlata alla vita che abbiamo vissuto.

VT: Percepisci un legame con Tonja, una delle protagoniste?

AB: Per alcuni aspetti sì, soprattutto nel suo modo di reagire a ciò che accade intorno a lei. Ad esempio, all’inizio tende a celare la sua reazione.

VT: Come hai trovato gli attori?

AB: In un modo molto divertente: abbiamo messo annunci ovunque e abbiamo ricevuto più di quattromila risposte. Sono tutti venuti per la prima audizione e ho testato loro con un semplice esercizio di meditazione: volevo vedere chi fosse più flessibile spiritualmente e cosa avessero da mostrare di personale. Ci è voluto parecchio tempo. Dopo tre mesi abbiamo assegnato i ruoli. Abbiamo avuto un problema nella ricerca della protagonista, ma alla fine l’abbiamo trovata, quasi per caso, su Instagram. Ho capito fin da subito che era lei: non appena è entrata nella sala provini è subito scattato qualcosa, una sorta di magia.

VT: Spesso i film di formazione ambientati in anni cruciali sono molto appesantiti da riferimenti storici, ma questo non succede nel tuo film. In che modo hai gestito la contestualizzazione storica con la vicenda?

AB: Il 1998 non è stato un anno cruciale, i cambiamenti in Ucraina sono avvenuti prima e dopo questa data: è un anno che ha poco a che fare coi primi anni Novanta, ma eredita l’atmosfera di quel periodo. Non volevo inserire niente di poetico e nemmeno esagerare con la rappresentazione di ciò che viene mostrato: si tratta semplicemente di ciò che stava accadendo in quegli anni.

VT: Come spieghi il dualismo presente nel tuo film, ovvero il fatto che si alterni una certa “leggerezza” di tono con tematiche sociali anche molto gravi, come la violenza sessuale?

AB: In quegli anni stavamo crescendo in un periodo di profondo cambiamento sociale, fatto sia di miglioramenti che di catastrofi; i giovani volevano essere felici e divertirsi, ma percepivano che qualcosa stava accadendo attorno a loro. Anche per quanto riguarda i personaggi, nessuno di loro è del tutto positivo: quando un mio amico ha visto la primissima versione del film ha reagito dicendo “i tuoi personaggi sono tutti dei gran bastardi!”. Credo però che siano dei personaggi naturali, bilanciati sia negli aspetti positivi che negativi.

 

VT: Ho apprezzato molto la selezione musicale, che contribuisce a creare un’energia che funziona molto bene in relazione alla vicenda rappresentata.

AB: Le tracce scelte sono tutte originali dell’epoca in cui il film è ambientato: una volta facevo video musicali, quindi ho una certa esperienza. Abbiamo selezionato delle band che erano particolarmente famose e altre invece dimenticate. Il lavoro dei tecnici nell’elaborazione delle tracce musicali ha contribuito a creare un’ottima atmosfera.

VT: Sono molto interessanti le scene in cui i personaggi si guardano allo specchio…

AB: Nel film è fondamentale il modo in cui i personaggi percepiscono e si relazionano a loro stessi.

VT: Quando sono finite le riprese? Avete incontrato difficoltà con la post-produzione a causa della guerra?

AB: Alla fine del 2021, le abbiamo concluse a dicembre. La fase di postproduzione è stata complicata e abbiamo dovuto rimandarla molto spesso: abbiamo incontrato molti problemi a causa della guerra. Alla fine il film è stato concluso ad Amsterdam, dove ci hanno aiutati moltissimo.

VT: A cosa stai lavorando attualmente?

AB: Attualmente sto lavorando a un documentario.