La storia della vittima. “Il nazista e il barbiere” di Edgar Hilsenrath

Piergiuseppe Calcagni

La casa editrice Marcos y Marcos lo scorso gennaio ha pubblicato il romanzo Il nazista e il barbiere dello scrittore tedesco Edgar Hilsenrath, con la traduzione di Maria Luisa Bocchino e M.L. Cortaldo. L’opera segue le vicissitudini di uno sterminatore nazista, Max Schulz, il quale narra in prima persona le vicende a partire dal momento della sua nascita.

Link al libro: https://marcosymarcos.com/libri/il-nazista-il-barbiere/


La prima parte della vita del protagonista  viene descritta ponendo sempre come termine di paragone quella del suo amico ebreo Itzig Finkelstein:

Il mio amico Itzig era biondo e aveva gli occhi azzurri, il naso dritto, i denti bianchi e la bocca ben disegnata. Io invece, Max Schulz, figlio illegittimo ma ariano puro di Minna Schulz, avevo i capelli neri, gli occhi da rospo, il naso a becco, le labbra gonfie e bitorzolute e i denti guasti.” (p. 28)

Ma Itzig non è solo un bambino più bello e “ariano” di Max, è anche figlio di un barbiere proprietario di un salone molto frequentato e ben rispettato dagli abitanti di Wieshalle; e la madre di Itzig non è di certo una prostituta che fa la cameriera nella casa di Abramowitz, un pellicciaio ebreo. Il povero Max è, quindi, costretto a vedere sua madre avere costantemente rapporti con coloro che egli chiama “i miei cinque padri”:     

I miei cinque padri andavano a trovare mia madre tutte le sere. Si mettevano in fila davanti alla porta. Di solito il più forte, il macellaio, era il primo a entrare, poi il fabbro, il muratore, il cocchiere e, per ultimo, il maggiordomo. Sì, il maggiordomo era sempre l’ultimo perché era il più debole, un omettino esile con una voce da castrato, ridotto a rimestare nel seme degli altri miei quattro padri.” (p. 14)

Come se non bastasse, la madre inizia a frequentare un uomo, Anton Slavitzki, noto in città come “lo stupratore di bambini”:

Slavitzki? Era un tipo lungo e sottile, con sopracciglia cespugliose e un paio d’occhi gonfi, leggermente obliqui, il naso ossuto e un uccello così lungo che, si mormorava, gli arrivava più giù delle ginocchia; ragion per cui se lo legava alla coscia con un elastico.” (p. 17)

Anch’egli è un parrucchiere che gestisce un salone, ma è completamente diverso da quello del padre di Itzig. Basti pensare che Slavitzki urina abitualmente sul lavandino. Max trascorre sia l’infanzia che l’adolescenza felicemente, nonostante il rapporto difficile col patrigno e le conseguenze della Grande Guerra, grazie all’amicizia con Itzig. Decide addirittura di fare apprendistato dal padre di Itzig per diventare un buon barbiere, facendo infuriare Slavitzki, il quale non ha mai nascosto il suo antisemitismo.

Quasi all’improvviso, dopo aver ascoltato un discorso di Hitler, Max decide di iscriversi al Partito Nazionalsocialista e di diventare un soldato delle SS. In seguito, verrà inviato a lavorare al campo di sterminio di Laubwalde in Polonia, dove incontrerà anche Itzig che viene ucciso proprio lì, insieme alla sua famiglia. Ma perché il protagonista compie questa scelta così netta se in fondo è cresciuto bene soprattutto in compagnia di una famiglia ebrea? Lo stesso Max fornisce una risposta che può sembrare la classica scusa mediocre, ma in realtà rappresenta il tema fondamentale del romanzo:

Quanti ne ho assassinati? Non lo so. Non li ho contati. Ma credimi, Itzig, non ero antisemita. Non lo sono mai stato. Seguivo soltanto la corrente.” (p. 197)

In effetti, durante il discorso di Hitler, Max non è l’unico a cedere al carisma del dittatore, ma tutti gli abitanti della città lo acclamano e si ammassano per ascoltare le sue parole, però l’adesione al nazismo non è solo una questione di conformismo. Da queste parole si capisce che l’autore ha voluto narrare la vita di Max, facendo uso di un umorismo sì dissacrante, ma anche saggio e ponderato, per descrivere al meglio ciò che secondo lui caratterizza uno sterminatore nazista. Tale caratteristica si può riassumere nel famosissimo concetto di “banalità del male”, sul quale Hilsenrath si sofferma più volte all’interno dell’opera, proprio con l’obiettivo di mettere a fuoco tutte le contraddizioni di un essere umano che si giustifica mentre compie delle atrocità. Addirittura Max si vede come una vittima quando racconta di aver avuto un attacco cardiaco mentre era impegnato a sterminare un numero elevato di donne e bambini. Egli è consapevole di essere uno sterminatore, ma è come se non riuscisse a rendersi conto dell’immoralità di tutte le sue azioni da sterminatore, non sa di essere lui uno dei tanti colpevoli contro cui puntare il dito.

Infatti, quando rientra a Berlino, dopo aver evitato i partigiani e i russi, sceglie di camuffarsi e di prendere il posto di Itzig. Si fa circoncidere e tatuare un numero sul braccio, simile a uno di quelli che hanno gli ebrei prigionieri nei campi di sterminio, e riesce a imbarcarsi per il territorio palestinese, dove insieme ad altri ebrei sopravvissuti contribuirà a fondare lo stato di Israele, dicendo a tutti di chiamarsi Itzig Finkelstein e che di professione fa il barbiere. Anche in questo caso è importare notare un momento decisivo per comprendere lo scopo dell’autore:          

E tra tutte le vittime sono quella che è stata trattata più crudelmente. E per questa ragione mi si aprono le porte. I vincitori non mi amano. Perché nessuno mi ama. Ma provano compassione per me. E tutte le porte mi sono aperte. Per quanto tempo ancora? Non lo so. Ma finché sono aperte, io posso varcarle.” (p. 158)

In questa parte del romanzo, Max si trova  a Berlino e, come si intuisce da queste parole, la trasformazione in Itzig è già avvenuta, ma non per codardia: Max ha bisogno di sentirsi vittima perché le vittime hanno il permesso di fare tutto, possono anche permettersi le violenze e le brutalità dei nazisti. Da questo presupposto nasce un altro tema molto delicato del romanzo che in qualche modo si lega a quello della banalità del male. Nell’opera, infatti, è presente una condanna pesante nei confronti di Israele a causa delle conflitto arabo-israeliano nato a seguito della partizione della Palestina. Max (o sarebbe meglio dire Itzig?) ovviamente non resta indifferente agli avvenimenti che hanno luogo dopo il 1948. Può il protagonista, così come è diventato uno sterminatore nazista, diventare uno sterminatore in un’altra parte del mondo per una causa completamente diversa? La risposta a questa domanda rappresenta l’epilogo ironico e sconvolgente di uno dei romanzi più controversi del Novecento.        

 

Apparato iconografico: 

Immagine di copertina: https://www.lepoint.fr/culture/disparition-de-l-ecrivain-juif-allemand-edgar-hilsenrath-01-01-2019-2282750_3.php