Majdan (Maidan) di Sergej Loznica

Claudia Fiorito

 

Regia: Sergej Loznica

 

Sceneggiatura: Sergej Loznica

Fotografia: Sergej Loznica, Serhij Stecenko, Mychajlo Jel’čev

Montaggio: Sergej Loznica

Produttore: Sergej Loznica, Marija Čustova-Bejker, The Netherlands Film Fund, Against Gravity

Produzione: Atoms & Void

Distribuzione: Arthouse Traffic

Origine: Ucraina

Lingua: Ucraino

Durata: 130’

Genere: Documentario

 

Link al Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=JrZAnlIgZpg&ab_channel=RottenTomatoesIndie

Link a cui reperirlo: https://vimeo.com/ondemand/maidanloznitsa

 

Nato in Bielorussia e cresciuto a Kyїv, Sergej Loznica (1964 -) si forma da ingegnere per poi diplomarsi al VGIK di Mosca, l’istituto di studi cinematografici più antico al mondo, fondato nella Russia post-rivoluzionaria. Ad un’attività di documentarista che presta particolare attenzione al passato dell’URSS, il regista affianca anche una produzione di film di finzione, vincendo nel 2018 il premio come miglior regista nella sezione “Un certain regard” del festival di Cannes per il suo film “Donbass”. Il documentario “Majdan” è stato presentato a Cannes nel maggio 2014, tre mesi dopo la fine delle riprese.

 

Trama: Con il solo uso di tre macchine da presa piazzate nei punti nevralgici di Piazza dell’Indipendenza a Kyїv, teatro degli scontri della rivoluzione del Majdan, Sergej Loznica documenta i tre mesi delle proteste che hanno avuto luogo tra novembre 2013 e febbraio 2014, immergendo lo spettatore nelle attività dei manifestanti e negli scontri tra civili e forze armate.

 


Quando il presidente della Russia definisce il nostro Majdan come – e cito le parole di Putin – una sorta di ‘pogrom’, è un insulto, è offensivo.

La cinepresa di Sergei Loznica cattura i discorsi sul palco, le esibizioni, ma anche i retroscena delle manifestazioni che hanno caratterizzato i mesi della Rivoluzione della Dignità, maggiormente conosciuta come rivoluzione del Majdan. Il suo nome, dalla parola ucraina “piazza”, va ad indicare il luogo delle proteste – Piazza dell’Indipendenza a Kyїv, “Majdan Nezaležnosti” – dove per mesi, a partire dal novembre 2013, folle di civili si sono radunate per esprimere il proprio dissenso contro il governo del presidente filorusso Viktor Fedorovič Janukovyč.

La tecnica documentaristica di Loznica spesso ricorre alla ricostruzione degli eventi attraverso l’uso di materiale video d’archivio, come nel caso del documentario del 2005 Blokada (“Blockade”), incentrato sull’assedio di Leningrado durante la Seconda Guerra Mondiale, e i successivi Sobytie (“The Event”, 2015), sul colpo di stato in URSS nell’agosto del 1991, Process (“Process”, 2018), sui processi condotti durante le purghe staliniane e Gosudarstvennye pochorony (“State funeral”, 2019), sui funerali di Stalin. Nel caso di Majdan, tuttavia, il regista si è dedicato alla documentazione degli eventi dal vivo, recandosi in loco poco dopo l’inizio delle proteste in Piazza dell’Indipendenza.

All’interno del documentario non vengono identificati dei personaggi principali e sono assenti interviste, così come una voce narrante: le uniche informazioni sono date allo spettatore dalla presenza di didascalie che illustrano il susseguirsi degli eventi, e dalla suddivisione del film in quattro capitoli: “Prologo”, “Trionfo”, “Scontro armato” e “Post-scriptum”.

L’obiettivo del regista è di lasciare spazio allo spettatore perché questi tragga le proprie conclusioni, lasciandolo spesso ignaro di cosa stia accadendo, senza mai fornire spiegazioni o indicazioni: l’unica vera guida restano le immagini che il regista riprende e quelle che in fase di montaggio vengono incluse nel prodotto finale.

L’interesse di Loznica, ricorrente nella sua produzione, si concentra sullo svolgersi delle azioni della folla, del popolo ucraino in rivolta. L’interesse per le folle in movimento ritornerà nei suoi film successivi Austerlitz (2016) e Den’ Pobedy (“Victory Day”, 2018), in cui la cinepresa vedrà anche in questi casi la folla scorrere davanti l’obiettivo. Tipico del suo stile documentaristico è infatti l’uso esclusivo di inquadrature fisse – in cui primi piani e dettagli sono del tutto assenti, e i “singoli” sono raramente ripresi – che spesso vanno a costituire l’intera scena. In questo modo viene conferito un senso di continuità alla produzione, che non presenta una separazione netta tra i prodotti documentari realizzati a partire da materiale d’archivio e quelli direttamente girati dal regista. Nel caso di Majdan, tuttavia, si verifica un’unica eccezione, che occorre verso la metà del film: nel corso degli scontri vengono lanciati lacrimogeni su civili e giornalisti e l’operatore, per proteggersi, solleva il treppiedi della cinepresa, spostandosi e cambiando inquadratura senza ricorrere a tagli. Con un repentino spostamento del punto di vista di 180°, lo spettatore si ritrova ad osservare non più la folla dei manifestanti, ma le forze di polizia in tenuta antisommossa.

Non in ultimo vale menzionare l’uso delle musiche presenti all’interno del film, a cui viene riservata un’attenzione particolare: nella maggior parte dei casi si tratta infatti di canti popolari ucraini, oppure di brani eseguiti durante alcune delle esibizioni sul palco del Majdan con l’audio in presa diretta. Tra tutti ricorre l’inno nazionale ucraino, con cui il film comincia e si conclude, in entrambi i casi cantato dalla folla.

Dopo l’invasione militare dell’Ucraina da parte della Russia del 24 febbraio 2022, un destino peculiare ha toccato Loznica e la sua produzione: mentre Majdan ha ricevuto una rinnovata attenzione in Occidente per la sua rilevanza documentaria, il regista è stato escluso dall’Ukraїns’ka kinoakademija (Ukrainian Film Academy) dopo che questi si era dichiarato a sfavore dell’ostracismo dei prodotti cinematografici russi. La mancanza di una più decisa presa di posizione del regista –russofono, nato in Bielorussia ma cresciuto in Ucraina – è stata considerata controversa e controproducente alla causa nazionale ucraina, il che ha portato alla sua espulsione dall’Academy nel marzo 2022.  A questo proposito, in aprile, il regista ha rilasciato la seguente dichiarazione alla rivista statunitense “The Atlantic”: “Devo continuare a fare quello che faccio meglio, il cinema. In generale, quello che l’arte riesce a fare, e quello che dovremmo fare noi come artisti, è provare a riflettere sugli eventi che ci accadono”.