Koly padajut’ dereva (When the trees fall) di Marysja Nikitjuk

Martina Mecco

 

Regia: Marysja Nikitjuk

 

Sceneggiatura: Marysja Nikitjuk

Fotografia: Michał Englert, Mateusz Wichłacz

Montaggio: Ivan Bannikov, Blaže Dulev, Milenia Fiedler

Produttore: Darko Bašeski

Produzione: Ihor Savyčenko, Roman Klympuš, Sergej Lavrenjuk, Volodymyr Filipov

Distribuzione: MMD (Multi Media Distribution)

Origine: Ucraina, Polonia, Macedonia

Lingua: Ucraino

Durata: 88’

Genere: Drammatico

 

Link al Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=n4AQboSKWK8

Link a cui reperirlo: https://takflix.com/en/films/when-the-trees-fall?page=0%2C1

 

Marysja Nikitjuk (1986 -) è una regista e sceneggiatrice ucraina. Oltre a “Koly padajut’ dereva” ha diretto anche “Ja, Nina” (Lucky Girl, 2022) e nel 2018 ha curato la sceneggiatura di “Dodomu/Evge” (Homeward), film del regista Nariman Alijev. Oltre alla sua attività cinematografica si dedica anche a quella letteraria nelle vesti di autrice di racconti (Abyss, 2016) e di poesie.

 

Trama: Un villaggio rurale in Ucraina, al centro della vicenda due figure femminili: l’adolescente Larysa e la cuginetta Vitka di cinque anni. Larysa, dopo la morte del padre, si ritrova a vivere con la nonna in un ambiente che ostracizza i suoi atteggiamenti e il suo amore per il giovane Šram), coinvolto in contesti criminali. Un film incentrato sulla ricerca della libertà e su quale sia davvero il prezzo da pagare per ottenerla.

 

Interpreti:

Anastasija Pustovit – Larysa

Sofia Halaimova – Vitka

Maksym Samčyk – Šram

 


Koly padajut’ dereva, debutto cinematografico di Marysja Nikitjuk, ha avuto la sua première all’interno del programma della 68ª edizione della Berlinale nel 2018. La scelta della regista è quella di incentrare la vicenda all’interno del contesto rurale ucraino, dove a dominare lo spazio sono l’atteggiamento conservatore dei suoi abitanti e lo spirito della natura. Una decisione tutt’altro che casuale: uno degli intenti è, infatti, quello di mostrare la realtà sociale ed etnografica del villaggio. Inoltre, tale scelta si allaccia a riferimenti autobiografici della stessa Nikitjuk, la quale in un’intervista ha affermato di aver costruito il personaggio di Vitka– la bambina ospite durante l’estate dalla sua baba (nonna) – proprio sulla base dei suoi ricordi d’infanzia. In primo luogo, per quanto concerne l’attenzione rivolta alla conformazione del villaggio, nel film compaiono diversi personaggi secondari che stereotipizzano determinate tipologie di figure che compongono questo preciso microcosmo: il giovane ragazzino affetto da disabilità mentale che ingoia zolle di terra o il gruppo di giovani appartenenti alla comunità rom. Come viene ben mostrato, si tratta di figure criticate e ostracizzate dalla parte più tradizionalista della comunità rurale. In secondo luogo, la dimensione della natura si rivela essere fondamentale per la sua pervasività. Essa non ingloba solo il villaggio e i suoi abitanti, ma è anche l’ambientazione prediletta per scene cariche di liricità o di erotismo. Alla rappresentazione dei corpi partecipa anche la dimensione naturale. Sintomatica, a questo proposito, è una delle primissime scene dove la dimensione erotica – è qui che si consuma l’amore tra Larysa e Šram – è inserita in un’ambientazione panica e crepuscolare.

Il tema sviscerato da Nikitjuk nella pellicola è quello della tensione alla libertà. In entrambe le figure femminili principali, ovvero quella dell’adolescente Larysa e della giovane Vitka, si osserva un ardente desiderio di essere libere dalle costrizioni imposte dal contesto sociale in cui vivono. A influenzare le vite delle due si ha da una parte l’opinione dei membri del villaggio e, dall’altra, quella della famiglia. Sia la nonna che la madre di Larysa l’accusano di aver disonorato lei stessa e la famiglia a causa della sua relazione con il giovane Šram. Vitka, invece, cerca di divincolarsi dagli atteggiamenti e dalle regole che le vengono imposte dalla nonna. Questa ricerca della libertà viene rappresentata scegliendo due fasi sintomatiche del processo evolutivo. In Vitka si ha una prospettiva legata all’ingenuità infantile, mentre in Larysa il tema viene affrontato in un momento di fragilità, quello del passaggio dall’adolescenza alla vita adulta. Ad essere dipinto nella pellicola è un vero e proprio strappo tra le due diverse generazioni, dove la lotta per la libertà diviene anche, in un certo senso, un tentativo di affermare la propria individualità. Un conflitto, tra l’altro, tutto al femminile. Fatta eccezione per il personaggio di Šram, nel film è evidente l’assenza di una figura maschile, simboleggiata dalla morte del padre di Larysa, dal cui ricordo e fantasma è tormentata la madre. Un universo femminile in cui si manifestano i drammi derivati da una società profondamente conservatrice: i desideri delle giovani devono cadere, come alberi, di fronte alla realtà degli adulti. Anche Šram è vittima di queste dinamiche sociali. Tuttavia, la vicenda legata al giovane si separa molto presto da quella di Larysa sia nello spazio che nel modo in cui viene rappresentata. Essa, a differenza del resto del film, è piuttosto incasellabile all’interno del genere del Gangster Movie, al quale viene attribuita una nota di tragicità.

Si tratta dunque di un ottimo esordio per la giovane regista ucraina, affiancata nella fotografia dal polacco Michał Englert, già particolarmente attivo nella scena cinematografica del suo paese dove conta diverse collaborazioni, tra cui quella con Małgorzata Szumowska – regista di Ciało (Body, 2015) – assieme alla quale ha co-diretto Śniegu już nigdy nie będzie (Non cadrà più la neve, 2020), film presentato anche alla 77ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia La fotografia di Koly padajut’ dereva merita un’attenzione particolare per due motivi. In primo luogo, in essa si esprime appieno l’atteggiamento visionario di Englert, che ben si sposa con la sceneggiatura di Nikitjuk. A scene maggiormente oggettive e realistiche se ne alternano altre particolarmente suggestive, permeate da un elemento surreale che trova il suo climax nelle battute conclusive. In secondo luogo, le scelte effettuate sul piano visuale conferiscono al film un carattere profondamente lirico in cui la dimensione naturale – che si è detto essere preponderante nel film – trova la sua piena espressione. In un’ultima istanza, Koly padajut’ dereva si presenta come un’ottima sintesi tra un atteggiamento critico-meditativo sui temi precedentemente descritti e una sperimentazione cinematografica relativa ai diversi piani della realizzazione del film. Il prodotto è una commistione di realtà e surrealtà che riposa sotto il vigile sguardo della natura ucraina.