“Generazione Putin”. Un libro necessario

Martina Greco

 

Edito da Stilo Editrice e fresco di stampa, Generazione Putin è un libro attualmente necessario. Necessario perché in grado di mostrare a un pubblico da mesi abituato ad associare la Russia a immagini di morte, inni alla violenza, patriottismo tossico e unità prevaricante tesa alla cancellazione dell’altro degli scorci inaspettati di un Paese che è stato in grado di affascinare e far sentire a casa chi negli anni ha avuto modo di conoscerlo intimamente. 

Link al libro: https://www.stiloeditrice.it/scheda-libro/autori-vari/generazione-putin-9788864792675-214.html


Come spiegato nella nota del curatore Simone Guagnelli, il titolo del libro si ispira al famoso best-seller degli anni ‘90 Generation P, firmato dal tanto conosciuto quanto enigmatico portavoce della generazione post-sovietica Viktor Pelevin. Partendo da una delle frasi più significative del romanzo si potrebbe dire che “la generazione P non aveva avuto realmente possibilità di scelta, e i bambini russi degli anni 2000 avevano scelto Putin esattamente allo stesso modo in cui i loro genitori avevano scelto la Pepsi”. Le conseguenze di questa non-scelta sono ricadute su chi oggi la Russia la vive, su chi la combatte e su chi l’ha sempre amata, come gli autori di quest’opera corale. Essa si compone infatti di sedici narrazioni, scritte da eminenti studiosi di cultura, lingua e letteratura russa. Le voci narranti appartengono tutte a persone che hanno dedicato la vita a cercare di tramandare agli altri la propria passione, instillando nelle nuove generazioni amore e curiosità verso una cultura che altrimenti sarebbe apparsa per sempre lontana e, visti gli stereotipi di cui è ricco l’immaginario occidentale, verosimilmente ostile. Nella testimonianza di Giulia Marcucci, il senso di impotenza che sovrasta chi, fino al 24 febbraio, aveva trovato nella Russia la propria seconda casa viene combattuto da una nuova missione, da una nuova consapevolezza: l’importanza della traduzione come strumento di pace, “come negazione della guerra” (p. 106). In quanto veicolo di idee, di voci, di pensieri, la traduzione si fa congiunzione tra mondi, cercando di essere più forte delle onde guerrafondaie che continuamente tentano di erodere le fondamenta di qualsiasi ponte. E così come la traduzione, anche il lavoro di questi studiosi-scrittori testimoni di immagini inedite di Russia è necessario per andare oltre gli stereotipi, per separare il volto della Russia da quello di Putin, per continuare a elaborare, comprendere e trasmettere il lato migliore di una società che attualmente sta mostrando il peggio di sé, senza mai stancarsi di esplicitare il proprio supporto nei confronti della vera vittima di questa guerra: il popolo ucraino. Adempiendo al difficile compito di raccontare le più intime esperienze di vita, di narrare la profondità di un legame adesso diventato problematico, gli autori di Generazione Putin si sforzano di creare un’unità in netto contrasto con quella putiniana, tesa non alla cancellazione dell’altro, ma alla riscoperta di un’umanità offuscata dagli orrori della guerra e dalle menzogne della propaganda. In maniera assolutamente inedita e stra-ordinaria al lettore viene data dunque la possibilità di guardare la Russia con gli occhi di chi ha avuto il coraggio di perdersi nei suoi vicoli, di combattere il freddo addentrandosi in “micromondi in cui c’era un tepore, un’aria diversa da quella all’esterno, che fosse data da scrittori dimenticati rintracciati in archivi di provincia o dai concerti dei Leningrad, da una passeggiata sotto la neve alla ricerca di ristoro o da folli serate in musei fuorimano” (p.99), di chi è riuscito a combattere il gap culturale perché “là è sempre stato un costante penetrare di modi di essere, un apprendistato percettivo, un venire travolto e portato in realtà indescrivibili, irrazionalizzabili, in contraddizione con se stesse… magiche” (p. 100)

Grazie ai racconti che compongono l’opera è possibile vedere come, abbandonando qualsiasi formalismo accademico, il professore si spoglia della propria veste istituzionale e mette a nudo un’incredibile varietà di volti: quello di un giovane viaggiatore che, pieno di curiosità, si trova a soggiornare in una piccola cittadina sperduta in cui il servilismo degli abitanti affamati, la vanagloria ridicola e la solennità pacchiana dell’autorità lo trasportano “per magia in un racconto di Gogol’, Ščedrin, Čechov, come in un ago acuminato attraverso un filo di perle” (p. 18); quello di un padre sofferente che per anni ha dovuto sopportare l’assenza forzata del figlio residente a Mosca e che, dopo averlo finalmente ritrovato, rischia di non poterlo più rincontrare per chissà quanto tempo ancora; quello di un ragazzo che, andando contro i consigli e gli avvertimenti di molti amici, ha voluto dedicare la propria vita a indagare le tragedie dei Gulag, combattendo per la conservazione della memoria storica e contro la tendenza putiniana ad una memoria parziale e strumentalizzabile; quello di chi ha perso le parole di fronte all’impotenza a cui questa tragedia ha inchiodato tutti e tutte. Alcune studiose a questo proposito hanno preferito affidare l’impresa testimoniale ai grandi autori della letteratura russa, tra cui Belyj e Charms (che qui si trova tradotto in dialetto catanese, altro passaggio inedito della raccolta). Ma il volto preponderante, la fisionomia che si ottiene unendo i puntini delle esperienze personali di ciascun narratore è quella di una generazione di studiosi e studiose tradita, ferita e a tratti delusa per non aver capito in tempo che dietro la Russia delle serate letterarie improvvisate in cucine decadenti, delle sbronze filosofiche, dell’accoglienza illimitata nonostante la miseria e la disperazione, si nascondevano i germi del Mondo Zeta che, quasi impercettibilmente, prendevano forma nell’indifferenza della babuška di fronte alla censura televisiva, nelle minacce dell’uomo che vorrebbe fucilare chi lotta a favore dei diritti umani e, ancora, nell’avversione profonda di Kapitolina per la der’mokratija (merdocrazia). Ricco di rimorsi, ricordi, nostalgia e disillusione, Generazione Putin è un inno contro l’oblio della guerra, cantato in coro da chi, nonostante tutto, sa ancora di possedere due armi preziosissime: la memoria e la parola.

Apparato iconografico: 

Immagine di copertina: https://www.wired.it/gallery/russia-guerra-ucraina-proteste/