Anna Chiara Canova
Lo scorso dicembre è stato pubblicato, edito da Voland e tradotto da Mauro Barindi, il romanzo di Ioana Pârvulescu La vita comincia venerdì, vincitore del Premio dell’Unione Europea per la letteratura del 2013. L’autrice, membro dell’Unione degli scrittori di Romania, è traduttrice di autori come Milan Kundera e Rainer Maria Rilke. Scrittrice, saggista e docente alla facoltà di lettere di Bucarest, tra i suoi lavori precedenti Pârvulescu redige saggi e articoli sulla vita quotidiana romena del XIX e XX secolo; quest’esperienza le servirà per tracciare nel racconto una sapiente ricostruzione dell’ormai lontana Bucarest del 1897, in cui è ambientata la narrazione, e spiega l’attenzione riservata agli aspetti storico-sociali nel romanzo.
Link al libro: https://www.voland.it/libro/9788862434140
“ […] credo che la Romania assomigli a un’orchestra, solo che non è ancora pronta per esibirsi in concerto, e continua a fare prove su prove. Ogni tanto un violino gratta, o il solista sbaglia l’entrata, i fiati fanno cilecca o il direttore si infuria e ferma la musica e rampogna tutti, indistintamente, tutto è frammentario e ripreso da capo di continuo, ma durante il concerto vero e proprio la melodia filerà senza sbavature e l’Europa applaudirà…” (p. 275)
L’intrigo e i misteri prendono forma negli ultimi tredici giorni del 1897: venerdì 19 dicembre vengono rivenuti nella foresta Băneasa, ai margini della città di Bucarest, i corpi di due giovani uomini, entrambi incoscienti. Uno dei due presenta una ferita di spada e morirà nei giorni seguenti, l’altro invece sopravviverà e, apparentemente affetto da una parziale amnesia, si muoverà come sonnambulo in una Bucarest che ricorda in modo confuso. Appresa la notizia dai giornali, i cittadini si interessano in particolare all’identità dell’uomo illeso: costui è vestito stravagante, si esprime in modo sconclusionato e poetico ed è privo di barba e baffi. Chi sarà? Qualcuno sostiene che sia un truffatore internazionale, c’è chi invece afferma che sia Jack lo squartatore, altri che sia un pazzo fuggito da un manicomio, altri ancora che sia un alieno o un viaggiatore del tempo. Tutti i protagonisti del romanzo, per le più disparate coincidenze, si incontreranno tra loro grazie al misterioso straniero che diventerà l’asse gravitazionale dei personaggi che si muovono orbitandogli intorno. Nel frattempo la polizia, domandandosi se la comparsa dell’uomo senza identità possa avere una qualche correlazione con i recenti avvenimenti, indaga sulla morte dell’altro uomo e ricerca un portafoglio scomparso, al cui interno vi era contenuto qualcosa di inestimabile valore.
Dalle prime pagine di La vita comincia venerdì il romanzo sembra riconducibile al genere giallo, le cui peculiarità sono tanto presenti da costituire lo scheletro del racconto; tuttavia, proseguendo nella lettura, gli elementi tipici del genere investigativo vanno sommandosi alle caratteristiche del genere romance, con lo sviluppo di una delicata storia d’amore e con la componente fantastica dei viaggi temporali. Indubbiamente la particolarità del racconto sta proprio nel suo essere ibrido, un miscuglio omogeneo di generi letterari e nel non abbracciare completamente alcuna identificazione formale, tanto che Mircea Cărtărescu, tra i più noti scrittori romeni contemporanei, nella postfazione del romanzo, lo definisce come “a thing of beauty”, un testo insolito, sia per il lettore straniero, sia per il contesto della letteratura romena attuale, lontano da prospettive ideologiche, dalla violenza o dalle volgarità.
Questo miscuglio omogeneo di generi letterari si stratifica ulteriormente nel mondo del racconto attraverso la struttura narrativa polifonica del romanzo, dove, in ciascun capitolo, le diverse voci dei personaggi raccontano da angolature diverse gli accadimenti collettivi e individuali, vivacizzando ulteriormente la trama attraverso la presentazione dei propri turbamenti, delle piccole gioie quotidiane e dei loro drammi, aggiungendo inoltre piccoli indizi alla risoluzione degli enigmi. Tutte queste voci si sommano tra di loro delicatamente, come in un coro, senza prevalere l’una sull’altra ma rendendo il racconto organico e melodioso, costituendo così diverse linee narrative ognuna delle quali è distintiva di uno o più generi letterari.
Ciascun personaggio è la rappresentazione di una categoria esemplificativa della Bucarest ottocentesca, città presentata come una sorta di rifugio felice dove non c’è ombra di alcun male; nessun personaggio è negativo e in ciascuno di loro si rinviene bontà d’animo, gentilezza e carità cristiana, emblematici di un tempo di solidi valori etici e morali. C’è l’investigatore Costache, affermato da un punto di vista lavorativo, alla ricerca di un continuo perfezionamento delle tecniche investigative che “pareva guardare dentro le persone come attraverso uno specchio d’acqua limpida” ma che invece “se si guardava dentro di lui, l’acqua si faceva torbida e non rifletteva nulla” (p.69); c’è il dottor Margulis che come il signor Costache attende il progresso, alla continua ricerca di nuove procedure mediche più efficaci, tanto dedito alla sua professione e ai suoi pazienti da dimenticare spesso sua moglie Agata, che nasconde un profondo dolore. C’è la loro figlia Iulia, ragazza acculturata divisa tra i giochi con il fratellino Jacques e il mondo adulto, che vuole iscriversi all’università e che vive un piccolo dramma amoroso; c’è Nicu, un bambino che a causa della sua condizione famigliare si comporta da adulto, prendendosi benevolmente cura della madre e che lavora come fattorino scorazzando nelle vie di Bucarest con il suo chepì rosso. Infine ci sono Alexandru Livezeanu, un giovane e fascinoso Don Giovanni, e Dan Crețu: il misterioso uomo rinvenuto nella neve che inizia a lavorare come giornalista, colui che sarà il collante della narrazione e che farà si che intorno a lui tutte le vicende si sviluppino.
A questi personaggi vanno aggiunti anche altri “piccoli protagonisti” che completano la raffigurazione della componente umana di una Bucarest che potrebbe presentarsi statica poiché per l’immaginario lontana temporalmente e spazialmente, come una di quelle città immortalate da una fotografia in bianco nero. Ma grazie a un personaggio, sull’istantanea bicromatica della città prenderà forma una macchia colorata che si espanderà contagiando i protagonisti, rendendo così la capitale una città che, nonostante le indicazioni temporali inserite all’inizio di ogni capitolo e la ricostruzione precisa della vita ottocentesca, sembra quasi atemporale.
Ioana Pârvulescu riesce infatti con descrizioni accurate a far prevalere lo sfondo bianco e nero di una città in espansione e cosmopolita, entro la quale si muovono le vite dei protagonisti. L’atmosfera delle ambientazioni dell’epoca viene tratteggiata minuziosamente attraverso la presentazione della febbrile attività dei giornali quali “Adevărul” e “Universul”, ricostruendo anche l’inizio di quel rapporto di interdipendenza tra stampa e politica. L’autrice si sofferma sulla fede nelle icone e sui passi dei personaggi e delle loro carrozze che si muovono nell’urbanistica in espansione lungo vie che oggi presentano altri nomi, come via Vasile Lascăr che allora si chiamava via dei Tigli, o per piazze e strutture che oggi non esistono più come la chiesa di Sărindar, distrutta per far posto a nuove opere architettoniche. La società aristocratica viene rappresentata con epici duelli d’onore, utilizzati anche per faccende politiche, che all’epoca non erano affatto rari e anche con balli e ricevimenti. Si tratta di una Bucarest che si affaccia alla contemporaneità con il perfezionamento delle tecniche investigative e delle cure mediche, con l’elettricità e il telefono. L’atmosfera cosmopolita viene catturata anche in prospettiva linguistica, mediante la trasposizione dei vari registri linguistici, come i francesismi esemplificativi della mania del tempo di “internazionalizzarsi” e l’accento tedesco delle minoranze sassoni, conservati nella traduzione italiana.
La chiesa di Sărindar prima della sua demolizione
Si potrebbe pertanto affermare che sia proprio il tempo il vero protagonista del romanzo. Un tempo fermo, apparentemente sbiadito, ma colorato dai protagonisti le cui speranze e sogni sono riconducibili a quelli dell’epoca attuale. Nell’attesa del nuovo anno, ogni personaggio vive una mancanza, nasconde un segreto o un dramma interiore e ciascuno di loro condivide una speranzosa visione per il futuro, rappresentato dall’acquisto di un biglietto della lotteria di fine anno. L’autrice descrive nel prologo ciò che era la Bucarest di pochi anni prima del ‘900: una città che vibrava di vita, dove non ci si annoiava, in cui le persone erano ottimiste e credevano nel progresso della scienza e del futuro, dove “il male non era scomparso dal mondo, e ignorarlo non era il metodo migliore per preparare il futuro” e dove “c’erano persone che lo combattevano”. Una città e un tempo nei quali “le persone assomigliavano a quelle che le avevano precedute e a quelle che sarebbero venute dopo” dove “le giornate erano capienti e la gente sognava il nostro mondo. Sognava noi” (pp.7-8).
ll Teatro Nazionale prima della sua distruzione durante la Seconda guerra mondiale
Proprio a quel “noi”, ai lettori del futuro, memori dei traumi della memoria collettiva del secolo buio dei conflitti, dei totalitarismi e dell’imbruttimento sanguinario, a coloro che vivono in un presente alle volte alla deriva, aggredito dalle circostanze e con il quale è difficile identificarsi, resta l’invito dell’autrice a prendere come riferimento un punto collocato su una linea temporale antecedente agli orrori più recenti, dando spazio al ricordo di un passato forse immaginario e utopico, ma presentato nel romanzo come più semplice e felice. L’istantanea in bianco nero dell’immobile città del romanzo si popola di personaggi illuminati dalla luce del futuro che conferisce colore all’ambientazione; allo stesso modo i lettori del presente che nutrono incertezza nel futuro potranno lasciarsi invadere dalla luce del passato che dà certezza nel tempo. Così, ogni epoca è accomunata dal ricordo, dall’attesa di un avvenimento presente, dalla speranza di un nuovo anno e, forse, dall’inizio della vita stessa.
“Forse tutto ciò che è esistito ed esisterà esiste oggi, nel presente. Forse ciò che è esistito è ciò che continuerà a esistere. Prima di pormi qualsiasi domanda, tentate di abituarvi alla mia voce, una voce di uomo strappato a un mondo che aveva imparato a conoscere abbastanza bene, e caduto poi in un altro, sconosciuto e incomprensibile. Forse viviamo, senza saperlo, proprio in questo attimo infinito, in più mondi simultaneamente. Forse la voce che vi parla adesso e che si agita fra le voci di qui come un pesce nelle reti di un pescatore, questa voce che si trova nella sua città natale e nel suo paese, più sola di qualsiasi altra voce di un uomo prigioniero in un paese straniero, parla proprio adesso con esseri umani che voi non avete modo di vedere. O forse io, fonte di questa voce, sono già scomparso, come il sole che è appena tramontato, ma voi mi sentite ancora, là, nel vostro mondo con il sole allo zenit […].” (pp.34-35)
Bibliografia:
Ioana Pârvulescu, La vita comincia venerdì, Roma, Voland, 2020.
Apparato iconografico:
- Immagine in evidenza e immagine 1 presenti nella copertina del volume edito Voland
- https://ece.columbia.edu/event/reading-award-winning-romanian-author-ioana-parvulescu
- https://www.elefant.ro/viata-incepe-vineri_7ea1e187-5b02-4943-8a86-b5c49148c6d3
- https://www.zf.ro/ziarul-de-duminica/biserica-sarindar-inainte-de-demolare-3094534
- https://de.wikipedia.org/wiki/Nationaltheater_Bukarest
- https://istoria-se-repeta.home.blog/tag/bucuresti-1891/