“Sogni”: un racconto di Vladimir Alekseevič Giljarovskij

Traduzione di
Stefania Feletto, Martina Greco, Marianna Kovacs, Martina Mecco

Il progetto di questa traduzione nasce nell’ambito del corso di “Lingua, linguistica e traduzione russa” dell’a.a. 2019­/2020 tenuto presso l’Università degli Studi di Padova dalla Prof.ssa Donatella Possamai. La traduzione è stata svolta poi con un lavoro d’equipe. Oltre alla traduzione di un racconto tratto da Gente dei bassifondi (1887) si è deciso, per dare un profilo dell’autore, di tradurre una nota enciclopedica scritta da M. A. Teljatnik e inserita in Letteratura russa del XX. secolo. Prosatori, poeti, drammaturghi. Dizionario biobibliografico (Russjaka literatura XX veka. Prozaiki, poety, dramaturgi. Bibibliografičeskij slovar’).

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Traduzione_Sogni_Giljarovskij


Sogni

Stava sognando…

Eccola che indossa un vestito corto marrone e un grembiule nero. Ha fretta e non riesce in alcun modo ad allacciarsi il grembiule.

– Sonja, Sonja! – grida battendo il piedino.

Ma Sonja non la sente …

– Sonja!

Nella stanza accanto risuonano continui dei passi leggeri e una ragazzina sui dieci anni, dal volto roseo e paffutello, con due grandi occhi neri, entra correndo.

– Sonja, su, allacciami il grembiule…

Sonja glielo allaccia e corre via. Anche lei va di fretta…

Poi sognò una cerimonia solenne, le file delle ginnasiali, le educatrici altezzose in piedi davanti alle loro classi, il tavolo coperto da un panno rosso e dietro al tavolo i generali con le stellette, in mezzo a loro la preside stessa, magra come un chiodo, incanutita, con le sopracciglia aggrottate e gli occhi fieramente socchiusi.

– Ekaterina Kazanova! – la annuncia il curvo segretario del consiglio scolastico, detto “Sogliola”.

Lei si fa avanti.

La preside e il generale canuto si congratulano con lei e le porgono un grande foglio liscio e una scatoletta con un pesante dischetto giallo…

– Fortunata la Kazanova, ha ricevuto la medaglia d’oro… Che felicità!… Congratulazioni…. Le auguriamo il meglio… – risuona dappertutto…

Lei si inchina di fronte alle ginnasiali, ma all’improvviso i loro vestiti marroni e i loro bianchi visini scompaiono… I contorni si scorgono ancora nella nebbia, ma da essi emerge fluttuando qualcosa di verde…

Il verde inonda sempre di più lo spazio. Si possono già distinguere delle foglie e dei tronchi.

Alle radici degli alberi si vedono ancora gli abiti marroni e molti, molti piedini…

Ma anche questi si diluiscono nel verde…

Davanti agli occhi le appare un vecchio giardino di tigli. Aiuole di fiori, una panchina…

Sulla panchina è seduta una ragazza con un vestito rosa e accanto a lei un giovane dai capelli castani… Gli occhi di lui sono grandi, neri come la notte, languidi… Solo le palpebre superiori sono abbassate in un modo così strano da far sembrare che gli occhi siano a doppio fondo.

Un raggio di sole li colpisce e illumina le grosse labbra carnose, di un rosso brillante, con baffetti neri come lancette, lucenti e arricciati.

La ragazza col vestito rosa non riesce a staccare gli occhi dal giovane… Lui le parla di amore eterno, di rituali inutili e fuori moda senza i quali la gente vive bene lo stesso, di impegno reciproco, di…

A questo sogno ne seguì un altro…

Una strada rumorosa della capitale affollata, la luce azzurra dei lampioni elettrici. Lei, ferma davanti ad un albergo di lusso, guarda verso le finestre.

E lì, attraverso i vetri a specchio, si vedono delle coppie volteggiare in un valzer. In mezzo a loro compaiono i familiari occhi doppi e i baffetti ben curati sopra le labbra di un rosso brillante. Ha lo stesso sorriso, lo stesso sguardo adulatorio che aveva nel giardino.

Lei ricorda uno sguardo completamente diverso…

I suoi occhi avevano iniziato a cambiare già nel vagone, lungo la strada verso la capitale dove  loro due, seduti in uno scompartimento separato, andavano a cercare, come diceva lui nel giardino, “il lume della conoscenza, della verità e dell’impegno”.

Sempre più spesso da allora, questo sguardo cominciò a sostituire quello affettuoso di prima e il tono della voce divenne inizialmente sprezzante e poi sgradevole…

Solo una volta, da quando arrivarono nella capitale, lei rivide il sorriso e lo sguardo di un tempo.

Quel giorno, la medaglia d’oro, il dischetto giallo nella scatoletta che tutti i presenti nell’aula magna le avevano invidiato, lui gliela portò via e la sera riapparve in un elegantissimo completo nero. Poi prese a lasciare la stanza la mattina per tornare di notte…

Da suadente si fece irrimediabilmente altezzoso, inaccessibile, cattivo. Ottenne un posto da segretario presso un ente di beneficenza. Lei invece restava nella stanza tutto il giorno da sola con indosso un nero abito logoro  …

Non si sentiva bene… Non era in grado di uscire ormai da molto tempo…

Lui la trattava sempre peggio …

Lei piangeva per giorni interi …

Da casa ricevette solo una lettera da parte della sorellina Sonja, in cui c’era scritto che il padre l’aveva maledetta.

Poco dopo l’arrivo della lettera, il giovane dai capelli castani la lasciò…

Prima le parlò a lungo della vita nella capitale e di ciò che comportava, delle passioni della gioventù, della carriera di un personaggio pubblico e infine disse:

– Noi non siamo fatti l’uno per l’altra, le nostre strade sono diverse… Vai a casa da tuo padre e io…

E da allora non si videro più.

Come attraverso una nebbia, vede una vecchietta incanutita che si prendeva cura di lei, malata; si ricorda di un dolore atroce, come se la stessero facendo a pezzi, poi il calmo e beato torpore nel quale, come una musica celestiale, sente il dolce vagito di un bambino…

Poi una fredda notte d’autunno, lei sola, completamente sola per la strada e poi la folla, la luce elettrica, una splendida festa da ballo, coppie che volteggiano sulle note di un valzer e quel sorriso familiare.

– Lo sposo, lo sposo! – si sente tra la folla quando lui appare alla finestra…

Lei vuole vedere la sposa a tutti i costi… Ha i piedi gelati, trema tutta per il freddo, ma resta lì e non  stacca gli occhi dai vetri. Ecco che infine lui si avvicina alla finestra e guarda teneramente la sua dama con i familiari occhi languidi…

Poi sognò un grande ponte con il parapetto di ferro, il fischio del vento, una tenebra impenetrabile, il nero abisso di un fiume che si infrange sui pilastri di pietra.

Più volte sale e scende dal parapetto sull’assito di legno del ponte ascoltando lo sciabordio delle onde…

Poi le balenano davanti volti sconosciuti, trojke che corrono fuori città, bisbocce e bevute cui segue un pesante risveglio.

Ecco che vede il palco dell’albergo; sulla scena un coro femminile nei sarafan di broccato, lei ne indossa uno uguale…

Il pubblico ascolta divertito una canzone audace:

Sono nuovi i bigliettoni,

venticinque  bei soldoni…

Ma di nuovo la tenebra inonda il palco splendente, la canzone allegra si trasforma gradualmente in voci rauche e ubriache, fuse con i gemiti del violino e il suono del clarinetto, il cozzare di bicchieri e bottiglie…

Al posto del palco splendente le appare una stanza dal soffitto basso, illuminata da due lampade sospese, operai ubriachi, donne imbellettate…

Una di loro viene picchiata e spinta fuori in strada…

Sognò lo scompartimento separato del vagone… Il treno sfreccia… il vagone dondola leggermente con ritmo cadenzato, lui la guarda con lo stesso sguardo affettuoso di allora, le parla di amore eterno, di impegno reciproco… Lei sente freddo… Lo prega di chiudere al più presto il finestrino da dove soffia un vento gelido.

E il vagone continua a dondolare leggermente facendola scivolare in un sonno sempre più profondo…

Nella cella alla stazione di polizia entra una grassa guardia.

– Chi altro hanno portato? – chiede al poliziotto…

– Una sgualdrina… E questo è il suo biglietto giallo, era nel calzino…L’hanno raccattata in un’osteria a Bezymjanka… È stata trascinata qui con la forza, la slitta era piccola, c’erano i cumuli di neve, il cavallo non ce la faceva…

Sul pavimento bagnato della cella, le braccia distese e gli occhi chiusi, giaceva una donna con un abito di lana verde sbiadito… Il suo viso pallido e segnato dall’alcol mostrava i segni delle percosse. La guardia diede un’occhiata al biglietto giallo che gli aveva dato il poliziotto.

– Ah, una vecchia conoscenza, Kat’ka Kazanova… Eh, ci ha preso gusto! Avanti, rinchiudila…

La guardia uscì. Dietro di lui scattò il pesante chiavistello della cella…


Per una introduzione a Vladimir A. Giljarovskij

Vladimir Alekseevič Giljarovskij (26.11 (8.12) 1853, tenuta boschiva del conte Olsufjev nel governatorato di Vologda – 01.10.1935, Mosca, cimitero Novodevič) fu giornalista, prosatore e poeta.

Giljarovskij nacque nella famiglia di un funzionario: il padre Aleksej Ivanovič portò a termine il seminario teologico e lavorò come aiutante dell’amministratore della tenuta boschiva. La madre, Nadežda Petrovna, era figlia di un discendente dei cosacchi dello Zaporože, amava la letteratura e scriveva poesie. “La mia stessa nascita fu un’avventura – scrisse Giljarovskij nei frammenti autobiografici – nacqui in una stalla dove mia madre era andata per mungere la sua mucca preferita e, tutto coperto di neve,  fui portato in cucina tra i lembi del vestito”. Dell’educazione del ragazzo si occupò inizialmente il cugino del nonno, il marinaio fuggitivo Kitaev, che aveva vissuto a lungo in Cina e Giappone, un uomo forzuto e buono, che insegnò a Giljarovskij il nuoto, la ginnastica, la lotta e la tecnica del jujitsu. Dopo la morte della madre, Giljarovskij venne cresciuto dalla seconda moglie del padre, la nobildonna di antico lignaggio Maria Il’inična Raznatovskaja, “buona, affettuosa, istruita” (parole di Giljarovskij). Lei gli insegnò il francese e cercò di educarlo alle buone maniere.

Negli anni ‘60 dell’Ottocento la famiglia si trasferì a Vologda dove Giljarovskij iniziò il ginnasio. Qui i suoi precettori furono gli amici del padre: esiliati implicati nel caso giudiziario di Černyševskij, coinvolti nella rivolta polacca del 1863 e studenti dell’università di Pietroburgo, sotto la cui influenza si formò il rapporto col mondo di Giljarovskij. Senza aver concluso il ginnasio, Giljarovskij scappò di casa col desiderio di “servire il popolo oppresso” e per dieci anni (1871-1881) vagò per la Russia. Fu trascinatore di battelli, facchino, soldato volontario, vigile del fuoco, operaio in una fabbrica di biacca, artista di circo, attore in teatri di provincia, vagabondo senza documenti, esploratore cosacco nella guerra russo-turca del 1877-78, per cui ricevette la croce di “San Giorgio” al valore militare. Già in questi anni Giljarovskij cercò di rappresentare ciò che aveva visto: scrisse le poesie Facchino e Trascinatori di battelli sui nativi della regione del Volga legati alle professioni fluviali, il reportage sulla vita degli operai I condannati (pubblicato su insistenza di G. Uspenskij nel 1885) e le memorie della sua vita d’attore Deliri di Vladimir Sologub (Sologub è lo pseudonimo teatrale di Giljarovskij). Per la prima volta Giljarovskij fu pubblicato nell’antologia del ginnasio di Vologda (1873) con la poesia Foglio.

Dal 1881 si stabilì a Mosca dove, con la pubblicazione della poesia Sempre sogno l’ampia Volga, firmata “Vladimir Giljarovskij”, nella rivista “Budil’nik”, iniziò la sua attività letteraria. Giljarovskij scrisse versi durante tutta la sua vita. Le fonti della sua poetica si possono riscontrare nelle opere di N. A. Nekrasov, I. S. Nikitin, S. L. Drožžin e altri. Al centro delle poesie di Giljarovskij c’è il tema del  popolo: il poeta ne narra le disgrazie (Al nord, Vladimirka – La grande strada), la sete di libertà (Kuz’ma – l’Aquila), la lotta secolare per la felicità (I cosacchi della Zaporože, il poema Sten’ka Razin (1888), dei cui due capitoli pubblicati M. Gorkij disse: “Razin è magnifico e bello!”). Il primo libro di poesie di Giljarovskij, Il quaderno dimenticato, uscì nel 1864. Prima della Rivoluzione d’Ottobre furono pubblicati la sua raccolta di poesie Il sarto Jeroška e gli scarafaggi – storia vera in versi (1901) e tre libri sulla guerra: Cosacchi. Anno 1914 (1914), L’anno della guerra. Riflessioni e canti (1916), L’anno terribile (1916); dopo l’Ottobre uscirono la versione integrale di St’enka Razin, il poema Pietroburgo (entrambi nel 1922), le poesie L’avvenire, Campo e altre. Giljarovskij fu un famoso maestro dell’improvvisazione letteraria in rima e di epigrammi, nei quali si manifesta il suo talento satirico. Per esempio, allo spettacolo tratto dal dramma teatrale Il potere delle tenebre di L. N. Tolstoj reagì con i versi: “In Russia ci sono due disgrazie: / In basso il potere delle tenebre, / e in alto le tenebre del potere.” Per un certo periodo, negli anni ‘80 dell’Ottocento, Giljarovskij collaborò con le riviste umoristiche “Zritel’”, “Budil’nik” e “Razvlečenie”, dove si avvicinò ad A. P. Čechov, diventando suo amico per molti anni.

Tra le opere letterarie di Giljarovskij precedenti alla Rivoluzione, il maggiore interesse fu suscitato dall’antologia di racconti Gente dei bassifondi (1887). Su disposizione della censura zarista la tiratura fu bruciata e si conservarono solo singoli esemplari. A. P. Čechov disse che questi, nell’insieme, trasmettevano “una sensazione di cupezza” perché vi si racconta che “tutto muore” e vivacemente si mostra “come muore” (cfr. Giljarovskij Mosca e i moscoviti). Giljarovskij fu precursore di M. Gorkij nella rappresentazione   di quelle persone finite nei tuguri, non a causa della propria indolenza, ma perché “non si adattavano alle condizioni della vita”. Giljarovskij non idealizzava i suoi “straccioni” e il “fascino dei bassifondi”, ma mostrava che “i bassifondi non sono un luogo amato, bensì un luogo inevitabile… Qui è il punto estremo del degrado, di un degrado senza ritorno”.

Giljarovskij divenne celebre come “ras dei reporter moscoviti” (parole di A. Čechov). Lavorò principalmente nei quotidiani “Moskovskij listok” (1882-83), “Russkie vedomocti” (1883-89 e in seguito), “Russkoe slovo” (1900-13). I lettori apprezzavano i reportage di Giljarovskij per la veridicità, l’efficacia, la ricchezza di informazioni dettagliate e sfaccettate sugli eventi della vita moscovita, dagli incendi e gli omicidi fino alle novità della vita teatrale. Il Giljarovskij reporter scriveva sugli avvenimenti politici che scuotevano la Russia: l’incendio della fabbrica Morozov a Orechovo-Zvujevo (1882), il disastro ferroviario alla stazione Kukuj (1883), la condizione degli operai delle fabbriche di fiammiferi (1883), l’epidemia di colera (Don, 1892), i ladri dell’intendenza militare durante la guerra contro il Giappone ed altro. Giljarovskij fu l’unico che fece in tempo a pubblicare la dura verità sulla tragedia di Chodynka durante l’incoronazione di Nicola II (1896). Tra il 1889 e il 1902 diresse la sezione moscovita del giornale pietroburghese “Rossija”, a capo del quale vi erano A.V. Amfiteatrov e V.M. Doroševič. Qui furono pubblicati i suoi materiali, che rivelavano i veri motivi dell’attentato al re di Serbia Milan Obrenović. […] L’audacia, l’erculea forza fisica e la parola implacabile resero il lavoro di Giljarovskij eccezionale e lui stesso uno dei maghi del giornalismo. I suoi reportage sulla vita teatrale e letteraria, tra i quali la recensione allo spettacolo tratto dal dramma di M. Gorkij I bassifondi (1902) e messo in scena al Teatro d’Arte di Mosca (MchAT), ottennero notorietà in tutta la Russia. Giljarovskij collaborò in parte alla realizzazione del dramma: avvalendosi delle sue conoscenze portò Stanislavskij e l’artista Simov tra i bassifondi del mercato Chitrov; questo fornì loro materiale per l’allestimento dello spettacolo. […]

Le principali opere letterarie furono scritte da Giljarovskij subito dopo l’Ottobre. Si tratta di libri di memorie del suo tempo, di una vita vissuta tempestosamente, ricca di esperienze, conoscenze e amici. Questi libri costituirono la sua trilogia autobiografica. Nel primo libro, I miei vagabondaggi (1928), si narra della sua vita da nomade negli anni giovanili. Il secondo, Gente di teatro (1935, pubblicato nel 1941), racconta dei famosi attori della capitale e della provincia e dei tecnici di teatro: falegnami, copisti di pièce e parti, che abitavano stipati nei dormitori della Chitrovka e tutti coloro che vivevanodi teatro. […] Il terzo libro è La Mosca dei giornali (1934, pubblicato nel 1960). Qui Giljarovskij rappresenta il mondo del giornalismo prima della Rivoluzione: gli editori, il cui interesse principale era quello di aumentare le vendite dei giornali e fare profitto, gli intrighi dietro le quinte, la vita quotidiana della fratellanza giornalistica.

Giljarovskij fu, a suo modo, una sorta di attrazione moscovita. Grazie al suo aspetto singolare da
tipico cosacco della Zaparože “baffi bianchi, un po’ ironico, occhi penetranti, con un colbacco grigio di astrakan e un caftano corto” (descrizione di K. G. Paustovskij che vide Giljarovskij da vecchio), ispirò più di qualche volta artisti e scultori. […] Giljarovskij fu attratto dalle libere comunità cosacche e viaggiò molto per l’Ucraina, a lui spetta il merito di aver determinato la data e il luogo esatto della nascita di N. V. Gogol’ (l’articolo Tra i filogogoliani, 1900; il libro Sulle orme di Gogol’, 1902). Fu per molti anni membro del Sodalizio artistico moscovita “Sreda”. Giljarovskij raccontò delle sue numerose conoscenze con artisti nei libri Amici e incontri (1931, pubblicato nel 1934), Racconti e saggi (1934) e soprattutto in Mosca e i moscoviti (1935), a cui lavorò dal 1912 fino al 1931. […]

Giljarovskij raccolse e conservò per le generazioni future le storie più curiose sulla città stessa e i suoi abitanti. Lui stesso fu parte di Mosca. “Riesco più facilmente ad immaginarmi Mosca senza la sua campana e il suo cannone piuttosto che senza di te!” gli scrisse A. I. Kuprin.

 

Apparato iconografico:

Immagine in evidenza: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Gilarovsky.jpg