“Non aspettarti troppo dalla fine del mondo”: disumanizzazione, cinismo e volgarità. L’ultimo film di Radu Jude

Giusi Sipala

 

Quando pubblica per la prima volta i suoi Myśli nieuczesane wszystkie (“Pensieri spettinati”, 1957), lo scrittore polacco Stanislaw Jerzy Lec doveva già essere convinto che la fine del mondo non sarebbe stata il grande evento traumatico da tutti tragicamente atteso, ma piuttosto un evento di banale routine quotidiana. Sopravvissuto a due guerre mondiali, fuggito da un campo di concentramento nazista travestito da soldato, vissuto in una città assediata prima dall’esercito tedesco e poi da quello sovietico, i suoi aforismi lo avrebbero reso uno degli umoristi più noti della letteratura europea moderna.

Nu aştepta prea mult de la sfârşitul lumii (“Non aspettarti troppo dalla fine del mondo”, 2023) titolo dell’ultimo film di Radu Jude, uscito nelle sale cinematografiche rumene lo scorso ottobre, cita proprio uno degli aforismi di Lec, preannunciando così l’ironia e la disillusione che ne colorano lo stile.

Il film è frutto di una co-produzione tra Romania, Lussemburgo, Francia e Croazia (sono stati importanti i contributi di Ada Solomon e Adrian Sitaru, tra i produttori più conosciuti nell’ambiente rumeno e finanziatori di molti dei grandi successi del cinema rumeno degli ultimi decenni), ha ricevuto il plauso della critica e il Premio Speciale della Giuria al 76° Locarno Film Festival ed è stato selezionato lo stesso anno per rappresentare la Romania, nella categoria Miglior Film Internazionale, agli Academy Awards.

Link al trailer: https://www.youtube.com/watch?v=w0uh5i-SEW8


Colori e citazioni sono due termini importanti e utili per descrivere questo film: oltre ad essere costellato di numerose citazioni – che spaziano da Alexandre Kluge a Don De Lillo passando per Baudelaire e Steinhardt – il film di Jude, infatti, dialoga con quello di Lucian Bratu intitolato Angela merge mai departe (“Angela va avanti”, 1981) grazie all’alternanza di colore delle scene.

Angela Răducanu, protagonista della storia, si muove attraverso la Bucarest di oggi in scene in bianco e nero, mentre Angela Coman, protagonista del film di Lucian Bratu, guida il suo taxi in una Bucarest ormai scomparsa in scene a colori.

Ad accomunare le due Angela sono le numerose ore passate in macchina da una parte all’altra della vitale capitale rumena. Angela Răducanu, interpretata magistralmente da Ilinca Manolache, è assistente di produzione per una multinazionale austriaca che le affida ogni genere di servizio, costringendola a lavorare senza sosta per 12-14 ore al giorno, mentre Angela Coman, interpretata da Dorina Lazăr, è una tassista che si muove per la città incontrando uomini di ogni genere.

Ad attirare l’attenzione dello spettatore, però, sono elementi diversi tra una pellicola e l’altra, che raccontano un mondo diverso sia nella sua realtà quotidiana sia nel suo modo di rappresentarla.

Angela Răducanu è ripresa spesso in ambienti chiusi, quasi sempre nell’abitacolo della sua macchina, e importanti sono i suoi gesti, la musica che ascolta, le conversazioni che intrattiene al telefono o con gli altri personaggi che incontra durante le sue giornate, le barzellette che racconta ai suoi clienti o ai commessi dei negozi. I suoi dialoghi e le sue battute sono pieni di riferimenti agli eventi di cronaca mondiale che sentiamo ogni giorno in TV o sui social, come la guerra in Ucraina, l’abuso di armi negli Stati Uniti o le conseguenze della pandemia. Importante è anche Bobiţă, il personaggio di TikTok creato dalla stessa Angela grazie a un filtro della piattaforma e attraverso il quale si fa gioco della mascolinità tossica e del linguaggio volgare e violento di cui si sente parlare, ad esempio, in riferimento ai fatti di cronaca legati al nome di Andrew Tate, esplicitamente citato dalla protagonista e ormai conosciuto anche al di fuori del contesto sociale rumeno.
Angela Coman, invece, attira l’attenzione perché riporta lo spettatore a un tempo in cui le strade di Bucarest erano ancora larghe e spaziose, tutti lavoravano (comprese le donne) e il lavoro non imponeva una corsa continua al guadagno, almeno per come la dittatura voleva che apparisse agli occhi del popolo. Lucian Bratu è stato addirittura decorato dall’Ordine della Stella della Repubblica Socialista Rumena per i suoi meriti culturali nella costruzione del socialismo: i suoi film erano considerati un perfetto esempio di film di propaganda. A guardar bene, però, Bratu raccontava anche, sullo sfondo alle spalle di Angela e del suo taxi, la realtà quotidiana degli abitanti della capitale, come, ad esempio, le code per il cibo e i beni di prima necessità o i tram sovraffollati. Potrebbe quindi essere considerato un regista rivoluzionario, così come appare anche agli occhi di Jude. L’abile regista rallenta perciò intenzionalmente le inquadrature del film di Bratu proprio nelle scene in cui si vedono sullo sfondo le file o i tram, grazie all’uso dello zoom e dello slow motion. Jude sembra quindi invitare a riflettere su quanto sia diversa la rappresentazione della realtà rispetto alla realtà stessa, che rimane spesso solo sullo sfondo rapido e sfuggente dell’immagine cinematografica, e sembra chiedere allo spettatore di trasporre la sua riflessione da un’epoca all’altra, da un’Angela all’altra.

Importante, in questa parte di film a colori, è anche la corsa del taxi di Angela per strada Arionoaiei, nel quartiere ormai scomparso Uranus, interamente distrutto da Ceaușescu per fare spazio al suo palazzo, oggi sede del Parlamento rumeno.

Jude fa dialogare i due film alternandone le scene, ma, attraverso l’intreccio narrativo della storia di Angela Răducanu, le due donne si incontrano in diverse scene che diventano chiave di svolta della vicenda e che ci proiettano verso la parte finale del film. Angela assistente di produzione deve trovare, infatti, tra i dipendenti della multinazionale per cui lavora, quelli disposti a recitare in un breve clip in cui, su compenso pecuniario, si addossano la colpa di un incidente sul lavoro subìto. Angela tassista è la madre di Ovidiu, un dipendente in sedia a rotelle scelto dalla compagnia per filmare il videoclip e che nei trentacinque minuti finali del film, con il suo discorso in cui racconta l’incidente, farà da chiusura comica e paradossale del film.

L’attrice che interpreta Angela Coman è la stessa, ormai invecchiata e in pensione, e proprio nel momento in cui le due donne si incontrano, nelle parti di film in bianco e nero, gli spezzoni del film di Bratu si fanno molto rari, mentre le scene diventano a colori e si concentrano sulle inquadrature dello staff della multinazionale su Ovidiu e la sua famiglia. Ovidiu tenta ripetutamente di raccontare la verità sull’incidente che lo costringe sulla sedia a rotelle, ma i suoi tentativi saranno inutili e lo renderanno quasi comico agli occhi dello spettatore; per questo motivo il finale del film risulta tragicamente paradossale, invitando ancora una volta a riflettere sul binomio tra la realtà e la sua rappresentazione.

Nu aştepta prea mult de la sfârşitul lumii combina black comedy e road movie, parodia e critica sociale, ma è anche un film in cui il regista riunisce immagini e ricordi del suo passato personale e professionale: Radu Jude ha infatti lavorato per diverse multinazionali e uno dei suoi colleghi di allora morì in seguito a un incidente stradale causato dalla stanchezza per i massacranti turni di lavoro. Di notevole impatto emotivo è per questo anche la sequenza senza sonoro con le immagini delle croci lungo la strada in ricordo dei morti negli incidenti stradali. Radu Jude stesso compare, in una brevissima scena, come rider di Glovo nella hall degli uffici di un grosso palazzo alla periferia di Bucarest. A precedere i titoli di coda ci sono poi alcuni cartelli scritti a mano con diverse citazioni e poesie haiku, insieme all’elenco delle canzoni ascoltate da Angela in macchina durante il film.

Dopo il successo del film che lo ha preceduto, Babardeală cu bucluc sau porno balamuc (“Sesso sfortunato o follie porno”, 2021), vincitore dell’Orso d’Oro al festival di Berlino, con quest’ultimo film Radu Jude si conferma uno dei registi più innovativi e originali della cinematografia europea.

Superata la Nuova Onda, lo stile con cui abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare i registi rumeni dei decenni passati e con cui lo stesso Jude si è confrontato, la sua ultima produzione mostra come la sua creatività abbia moltissimo da raccontare agli spettatori di oggi: la sua libertà espressiva, a parer mio, non è solo sperimentale e di avanguardia dal punto di vista cinematografico, ma anche frutto di una ricerca antropologica che invita poi lo spettatore a osservare le immagini con coscienza critica senza però pregiudicarne il giudizio.