“Dove i cani abbaiano in tre lingue”: il romanzo-casa per riabitare l’infanzia

Giusi Sipala 

 

… quando camminavo per le vecchie strade della città in cui sono nata, le case mi si mostravano con molte forme, ma avevano sempre un volto umano. Casa nostra era nata nella mia stessa città. Abitavamo insieme su via Vladimir Majakovskij, un nome che nessuno sapeva scrivere in modo corretto.” (p. 11)

La voce ingenua di una bimba di quattro anni invita a entrare nella casa di via Majakovskij come la voce melanconica della scrittrice Ioana Pârvulescu invita a entrare nella sua infanzia nella città di Braşov. Dove i cani abbaiano in tre lingue (“Inocenții”, 2016) è un romanzo-casa in cui il ricordo della città transilvana si mescola al ricordo dell’infanzia della scrittrice, proprio come la Storia si mescola al racconto di una famiglia rumena degli anni Sessanta. 

Il romanzo di Ioana Pârvulescu, saggista e critica letteraria di grande raffinatezza, docente di letteratura rumena all’università di Bucarest, è stato pubblicato nel 2023 dalla casa editrice Voland nella traduzione di Anita Paolicchi.

Link al libro: https://www.voland.it/libro/9788862435352

                                       



Il titolo originale del libro (Inocenții, it. Gli innocenti) richiama l’età ingenua e innocente della voce narrante della storia, Ana, che ne caratterizza anche il lessico e le scelte linguistiche. Il testo infatti è costellato di filastrocche e modi di dire, come anche di giochi di parole e scherzi verbali causati soprattutto dai fraintendimenti di Ana nei confronti del mondo e delle faccende degli adulti. Il titolo della traduzione italiana, invece, richiama il titolo dell’edizione tedesca (“Wo die Hunde in drei Sprachen bellen”) legandosi non solo al desiderio di raccontare la multiculturalità della città di Braşov, in cui le identità rumene, ungheresi e sassoni hanno convissuto per secoli, ma anche alla molteplicità di provenienza dei membri della famiglia di Ana. 

Tutti gli adulti della casa dicevano che si è tante persone quante lingue straniere si conoscono, e tutti erano almeno tre o quattro persone, diverse fra loro perché le lingue conosciute erano diverse, ma il romeno, il tedesco e l’ungherese apparivano nel repertorio di ciascuno. […] Un amico ripeteva spesso che a Brasov anche i cani abbaiano in tre lingue!” (p. 29)

La questione linguistica assume una valenza simbolica anche dal punto di vista educativo dei bambini che vivono insieme ad Ana nella casa in via Majakovskij, cioè il fratello e i suoi due cugini, perché le lingue si fanno simbolo di un’ampia comunità civile in cui le differenze etniche e culturali vengono superate e le barriere linguistiche abbattute. Non è un caso, quindi, il richiamo all’esperanto, la lingua artificiale di cui i nonni, nei lunghi pomeriggi insieme, parlavano ai ragazzini provando a insegnare loro anche qualche parola o espressione.

A quel tempo eravamo tutti bambini cosmici, per i quali ogni cosa nella vita era ancora all’insegna della possibilità e dell’uguaglianza.” (p. 30)

A caratterizzare, poi, l’intero sottotesto della narrazione sono i numerosi riferimenti alla storia recente della Romania, che non sempre sono colti dalla piccola Ana, come non lo sarebbero stati dal lettore italiano senza la mediazione della traduttrice. Nella nota che scrive a conclusione dell’edizione italiana, infatti, Paolicchi esplicita alcune delle scelte linguistiche spiegando di non avere voluto appesantire il testo con note a piè pagina, che avrebbero rovinato il tono ingenuo e infantile con cui Ana ci mostra il mondo, ma piuttosto facendo delle piccole aggiunte al testo che hanno lo scopo di orientare il lettore senza inficiarne lo stile.

Episodi e vicende storiche accadute negli anni dell’infanzia dell’autrice continuano poi ad essere raccontate insieme agli episodi della quotidianità di Ana e della sua famiglia: i primi passi dell’uomo sulla Luna su un televisore in bianco e nero, la deportazione del vicino di casa in un gulag del Donbas, quella del prozio in Siberia, il periodo comunista e gli alberi della collina di Tâmpa a formare la scritta ‘Stalin’. Insieme a questi anche le escursioni in montagna, i pomeriggi estivi alla piscina dell’albergo di fronte casa, i giochi infantili e i primi amori adolescenziali della cuginetta più grande.

Tra le pagine del romanzo, Ana racconta i suoi giorni in compagnia del fratello e dei cugini come parti di un’avventura colorata in cui ogni evento  appare divertente, anche quelli tristi, e in cui la città stessa, come anche la sua casa, diventano personaggi del racconto. Braşov è la città delle campane, che sono quindi la voce attraverso cui sentirla parlare: ascoltandole con attenzione si possono distinguere le une dalle altre, proprio come si possono distinguere le persone ascoltandone la voce. Le strade, le torri, la Cattedrale, non sono solo lo scenario sullo sfondo del quale Ana vive i suoi giorni, ma sono luoghi viventi come lo è la sua casa in via Majakovskij; subiscono anche loro gli eventi della Storia esattamente come succede alle persone che interagiscono con Ana. Braşov, per esempio, non si è sempre chiamata così e anche il suo nome poteva essere pronunciato in lingue diverse: durante gli anni del regime comunista venne rinominata “Città di Stalin”, in onore del leader sovietico, e ancora oggi si può chiamarla in ungherese Brassò o in tedesco Kronstadt.

Luoghi e tradizioni della società rumena fanno inoltre la loro apparizione nel corso della narrazione: i tetti rossi di Braşov, le sarmale preparate per le festività, i maestosi boschi rumeni, il ponte sul Danubio a cui fanno da guardia le statue dei soldati, e così molti altri oggetti e situazioni che invitano il lettore a calarsi nello scenario rumeno più tipico.

Mano a mano che la narrazione avanza, anche Ana cresce e il mondo degli adulti diventa sempre meno ermetico per la piccola. Si sciolgono i giochi di parole e le metafore per la bambina incomprensibili diventano gli strumenti della scrittrice che abita ora una nuova casa, quella della donna matura. Gli ultimi capitoli del romanzo, infatti, sono quelli in cui la comica ingenuità della bimbetta delle prime pagine della narrazione prevale sulla nostalgia della scrittrice verso un mondo, quello dell’infanzia, che non è più possibile abitare. Sono pagine in cui la visione estremamente personale dell’universo della piccola Ana diventano poetica della narrazione della scrittrice Ioana, concludendo così un racconto per nulla banale di un’epoca tanto storica quanto personale. 

 

Apparato iconografico:
immagine di copertina: https://dilemaveche.ro/sectiune/regimul-artelor-si-munitiilor/povestea-e-cea-care-da-coerenta-lumii-interviu-2230894.html

Immagine 1: https://www.voland.it/libro/9788862435352