La ciclicità del trauma generazionale narrata attraverso uno sguardo femminista in “Montagna di sabbia” di Joanna Bator

Eleonora Smania

Un recente romanzo meritevole di maggiore attenzione è senz’altro Piaskowa Góra (“Montagna di sabbia”), opera di Joanna Bator pubblicata in Polonia nel 2009 e successivamente edita in Italia nel 2022 da Voland Edizioni con la traduzione di Barbara Delfino.

Link al libro: https://www.voland.it/libro/9788862434799

Montagna di sabbia - Joanna Bator


Joanna Bator è una scrittrice femminista e giornalista nata a Wałbrzych nel 1968. Il primo lavoro pubblicato dalla scrittrice è il saggio Feminizm, postmodernizm, psychoanaliza (“Femminismo, postmodernismo, psicoanalisi”) del 2001, nel quale l’autrice esplora i principali punti teorici della teoria femminista in relazione alla disciplina della psicoanalisi e alla narrazione postmodernista. Considerata una delle voci più interessanti del panorama letterario europeo, ha ottenuto nel 2013 l’ambito premio letterario polacco “Nike” per la pubblicazione di Ciemno, prawie noc (“Scuro, quasi notte”).

Lo sguardo femminista di Bator è chiaramente percepibile in Piaskowa Góra, il cui titolo richiama il nome dell’omonimo quartiere dove si svolge la vicenda. Il romanzo racconta infatti la vita della famiglia Chmura, composta dal marito Stefan, la moglie Jadzia e la figlia Dominika. La famiglia Chmura (che ad occhio esterno potrebbe essere considerata felice e serena), mostra con l’avanzare della storia un equilibrio precario, minacciato dalle tensioni interne, dai rimpianti e dalle ferite passate mai rimarginatesi del tutto.

La straordinarietà del romanzo è innanzitutto data dalla tecnica narrativa utilizzata dall’autrice. La narrazione – non scandita da alcun titolo introduttivo per ciascun capitolo – è costituita da un vero e proprio flusso di coscienza, che si prolunga fino alla fine del romanzo. Appare del tutto assente qualsiasi forma dialogica e interazione tra i vari personaggi presentati. Altro aspetto tecnico e tematico che rende ancor più particolare la tecnica narrativa impiegata è il costante cambiamento del punto di vista attraverso il quale vengono raccontate le vicende accadute nella periferia di Wałbrzych. Si potrebbe persino affermare che tale flusso di coscienza unisce tutti i membri delle generazioni della famiglia Chmura, rappresentando l’unico elemento che accomuna un membro famigliare all’altro. L’alternanza dei punti di vista dei diversi personaggi, per l’appunto, contribuisce a far risaltare in maniera netta le differenze caratteriali tra i vari membri famigliari, i quali esprimono la propria percezione di sé stessi e degli altri, fortemente influenzata dalle aspettative sociali.

Le differenti visioni – dovute non solo a pressioni sociali, ma anche a esperienze traumatiche affrontate –  di vita portano a tensioni e incomprensioni tra mogli e mariti e scontri generazionali tra madri e figlie, complicando inevitabilmente la dimensione affettiva e causando una costante condizione di incomunicabilità. Stefan Chmura è chiaramente ossessionato dal desiderio di ricoprire il ruolo di capofamiglia che provvede al benessere e alla ricchezza del nucleo familiare e, allo stesso tempo, avverte il disperato bisogno di essere amato e desiderato. La disperata ricerca di  amore, causata dagli abusi subiti in giovane età dallo zio, lo spinge a riempire il vuoto che sente dentro di sé cercando l’intimità fisica con Jadzia, volente o nolente che sia la moglie.

“Quando aveva visto per la prima volta Jadzia Maślak per la prima volta, all’inizio aveva sentito il ventre rimbombare, e solo dopo aver avuto l’impulso di portarla a letto e leccarla dalla testa ai piedi come un lecca-lecca. […] Si era inebriato dell’aroma di gelatina di stinco e di salsa roux appena fatti che Jadzia emanava, consapevole di aver trovato la donna della sua vita e di aver ottenuto con lei la chiave di una dispensa piena di leccornie, che considerava irrimediabilmente perdute.” (pp. 18-19)

Jadzia, più introversa, pragmatica e ossessionata dall’idea di pulizia e ordine imposta sin dalla giovane età dalla madre, è molto diversa dall’estroverso e vivace sognatore Stefan. Incoraggiata dalle attenzioni di Stefan e con la speranza di trascorrere una vita coniugale felice e serena, decide di sposarlo. Tuttavia, con il passare degli anni, diventa sempre più distante e insofferente nei confronti del marito, frustrato dai diversi tentativi falliti di fare carriera e concentrato a soddisfare il suo appetito sessuale. Tale appetito costringe più volte Jadzia ad abortire clandestinamente, rischiando più volte la salute. L’aborto, seppur pericoloso e faticoso, permette alla donna di stabilire una forma di controllo sul proprio corpo e di delimitare l’azione di Stefan. I momenti di intimità vengono malvolentieri condivisi con il marito e diventano sempre più frequenti i litigi e le incomprensioni. La distanza gradualmente formatasi tra Jadzia e Stefan porta a un deterioramento del rapporto.

Particolarmente complessa e travagliata è la relazione tra Jadzia e Dominika, sopravvissuta a un tragico parto gemellare. La nascita della figlia non rappresenta infatti un momento felice per la madre, ma un evento estremamente doloroso e traumatico, reso tale dall’incompetenza del personale medico (inconsapevole della presenza di due feti nel grembo della madre). Il momento del parto viene descritto in maniera molto grafica e cruda, senza orpelli o imbellettature stilistiche di alcun tipo.

“Quando il dolore, maggiore rispetto a quella di destra e di sinistra, era diventato insopportabile, sulla sua onda due cose avevano raggiunto Jadzia: la buona notizia che per la prima volta dopo anni la sua mano si era stretta in un pugno senza problemi, e quella cattiva che dopo tre giorni di stitichezza, di colpo avrebbe cagato senza poterci fare nulla. Quando le era sembrato che l’umiliazione avesse raggiunto il culmine, le avevano mostrato qualcosa di rosso, una terrificante cosa che le apparteneva sotto una luce fredda come uno specchio, come il ghiaccio.” (pp. 95-96)

Il rapporto tra madre e figlia, oltre ad avere un inizio turbolento, si rivela complicato anche per altre ragioni. Dominika e Jadzia incarnano dei modelli di femminilità diametralmente opposti: Dominika è indipendente, ribelle e desidera viaggiare per il mondo; Jadzia concepisce il proprio ruolo di donna e madre secondo un’ottica più tradizionale, ragiona secondo quanto le è stato insegnato e non intende deviare dal suo stile di vita abitudinario. Le chiare differenze tra madre e figlia vengono ulteriormente evidenziate dall’aspetto fisico, particolare sofferto dalla prima. Jadzia tenta di rendere la figlia più simile a lei sia caratterialmente che fisicamente, ovviamente senza successo e senza capire perchè Dominika sia così diversa da lei. D’altro canto, Dominika non vuole in alcun modo somigliare alla madre e sfida quest’ultima, perché decisa a cercare la felicità a modo suo.

“Ogni tiro di fune lacera qualcosa dentro di loro, gli strappi si riempiono di sangue come laghetti che luccicano nell’oscurità. Jadzia vuole che Dominika rimanga la stessa e la distanza crescente alimenta la rabbia che cova in lei.” (p. 185)

Montagna di sabbia è un romanzo da leggere perché racconta senza romanzare e servendosi di un linguaggio vivido il tema del trauma generazionale nel contesto famigliare, riconoscendo le conseguenze che comporta nell’individuo e, allo stesso tempo, mostrare come sia possibile spezzare il ciclo di infelicità e sofferenza trasmesso da generazione in generazione.  

 

Apparato iconografico

Immagine di copertina: https://www.polityka.pl/tygodnikpolityka/kultura/2184622,1,joanna-bator-dla-polityki-nie-wierze-juz-w-ludzkosc.read