“Dio mio una volta avevo una vita. La vivevo e la amavo.” Il reportage da Odessa di Elena Kostjučenko

Introduzione di Maria Castorani

Traduzione di Martina Mecco e Riccardo Mini

 

Abstract:

“Holy God, once I had a life. I lived and loved it.” Reportage from Odessa by Elena Kostyuchenko

This paper contains a brief introduction to Elena Kostyuchenko’s activity in the Russian periodical “Novaya Gazeta”, before its publication was forcibly stopped due to the beginning of the Russian large-scale invasion of Ukraine. The Italian translation of Kostyuchenko’s reportage “Holy God, once I had a life. I lived and loved it” follows. It is one of the four reportages written by the reporter in the time of her stay in Ukraine during the first war phase, originally published in a censored version by “Novaya Gazeta” on the 5th of March 2022 and, subsequently, in the uncut version, by “Meduza” on the 30th of May.

 

In tempi recenti il Roskomnadzor, il servizio federale per la supervisione delle comunicazioni, della tecnologia dell’informazione e dei mass media in Russia, non ha visto di certo scemare la propria mole di lavoro. 

Da fine marzo “Novaja Gazeta”, forse la più nota testata giornalistica indipendente russa, attiva ormai da trent’anni e con due Premi Nobel e sei giornalisti assassinati alle spalle, ha sospeso la copertura degli eventi bellici e la versione cartacea del giornale fino alla fine “dell’operazione militare speciale” in Ucraina. Dopo qualche mese e svariati richiami dei censori, gli stessi responsabili del controllo dei banner delle organizzazioni di divulgazione costrette ad autodefinirsi “agenti stranieri”[1], “Novaja Gazeta” è stata privata dello status di media il 22 dicembre 2022 nelle aule della Corte Suprema, che ne ha dichiarato la cessazione delle attività anche nella versione digitale per due casi di mancata menzione dell’etichettatura di agente straniero. 

L’udienza si è svolta nello stesso mese in cui il presidente russo, durante il Congresso dei magistrati, ha ribadito l’inviolabilità della libertà dei cittadini e la necessità di evitare approcci superficiali e accusatori durante le inchieste processuali.

Su “Novaja Gazeta”[2] i pezzi di Elena Kostjučenko (1987 -) sono più di seicento, pubblicati in diciassette anni di inchieste e reportage fitti di realia dello spazio-tempo post-sovietico. Contrariamente a quanto affermato da un filone del giornalismo d’inchiesta particolarmente in voga in Russia, Kostjučenko utilizza una narrazione descrittiva senza accampare pretese trasformative sulla realtà. 

Una diapositiva segue l’altra a ritmo sostenuto, in inchieste che hanno raccontato, senza filtri editoriali e rompendo il silenzio dei media, le proteste kazake del 2011 nella città di Žanaozen e il relativo massacro di diciassette operai che chiedevano migliori condizioni di lavoro nelle piattaforme petrolifere, il trauma dei parenti dei bambini vittime dei terroristi ceceni a Beslan, l’inizio del caso Pussy Riot. 

Quella di Kostjučenko è una penna che si muove con balzi ampi, allontanando così il rischio di rimanere invischiati in un solo centro tematico e appiattire, perciò, il discorso giornalistico indipendente e critico nel paese. 

Durante l’inchiesta sulla catastrofe ambientale a Noril’sk, ad esempio, dopo il versamento di più di ventimila tonnellate di gasolio per il collasso di una cisterna del colosso minerario Nornikel’, sul soggetto originario del lavoro si è innestato anche il caso della scomparsa della popolazione dei Nganasan nella Penisola di Tajmyr[3]; rimasti in circa settecento individui, decimati per ragioni varie, compreso il suicidio, con i risultati degli abusi di potere della dirigenza Nornikel’ i Nganasan hanno dovuto rinunciare alla pesca e alla caccia delle renne, che hanno rimodulato le proprie rotte migratorie a causa del gasolio.

La veridicità e l’ampiezza del raggio d’azione dei reportage di Kostjučenko, inclusa l’attenzione alle conseguenze ambientali della mala gestione delle grandi industrie, restituiscono una cronaca tangibile e priva di generalizzazioni.

Ai conflitti sul territorio ucraino Kostjučenko aveva già dedicato diversi pezzi.
Nel marzo 2015 “Novaja Gazeta” aveva pubblicato una sua intervista a un soldato buriato di vent’anni che, nell’autunno dell’anno precedente, aveva preso parte a un’operazione militare di fatto segreta nei pressi di Debal’tseve e ne era uscito gravemente ferito. Si trattava di una delle prime testimonianze della presenza di truppe russe nell’oblast’ di Donec’k e in quella di Luhans’k, negli stessi mesi in cui il governo russo continuava a negare.

Dopo il 24 febbraio 2022 Kostjučenko ha trascorso circa un mese in diverse città dell’Ucraina meridionale, periodo tradottosi poi in una manciata di reportage che ci restituiscono i lineamenti dei luoghi e delle persone nei primi giorni del conflitto.

L’articolo su Odessa è stato pubblicato su “Novaja Gazeta” il 5 marzo 2022.  Ancora oggi, quasi un anno dopo, la città e gli altri tre porti sul Mar Nero conservano un forte significato economico, tattico e simbolico. Odessa in particolar modo, con ancora ben tangibile il lascito del 2 maggio 2014 e l’incendio della Casa dei Sindacati dopo gli scontri tra i sostenitori dell’Euromaidan e quelli dell’anti-Maidan.

A marzo 2022 i primi giorni di guerra si dispiegano sui sacchi di sabbia ammassati attorno alla statua di Richelieu, alla sommità della scalinata Potëmkin o davanti al Teatro dell’Opera. I sacchi vengono riempiti dai volontari con la sabbia delle spiagge di Otrada e Černomorka e ammucchiati in barricate.

Nei centri di raccolta per gli aiuti umanitari e negli hub di distribuzione dei pasti avvocati e manager danno struttura ai processi gestionali; un ragazzo di vent’anni, “quasi” programmatore, si arruola volontario. Una signora di 85 anni sceglie quale delle sue vecchie foto portare con sé nel rifugio antiaereo in caso di allarme.

L’articolo originale è reperibile al link: https://meduza.io/feature/2022/03/30/bozhe-moy-u-menya-kogda-to-byla-zhizn-ya-ee-zhila-i-lyubila?fbclid=IwAR37gf_3BvFVYeE5Ocl4kTrLQkhdYGpXRLkqbq6a-QZLe-g7z3pOwy7sHe8. Oltre alla traduzione del reportage si riporta anche l’introduzione scritta dalla testata “Meduza” che inseguito alla chiusura di “Novaja Gazeta” ha ripubblicato i reportage di Elena Kostjučenko sul proprio sito. Altri due pezzi della reporter, Noi ora siamo come nella Polonia del 1939 e Cherson, sono stati tradotti in italiano all’interno di un progetto curato da Andergraund Rivista e Russia In Translation lo scorso anno.

 

Dio mio, una volta avevo una vita. La vivevo e la amavo.
Reportage da Odessa dell’inviata speciale di “Novaja Gazeta” Elena Kostjučenko

di Elena Kostjučenko

Elena Kostjučenko, corrispondente di Novaja Gazeta, si trova in Ucraina dall’inizio dell’invasione russa. A seguito dell’introduzione della censura militare in Russia i suoi reportage sono stati pubblicati su Novaja Gazeta in versione ridotta, altri ancora sono stati eliminati dalla redazione a causa della minaccia di denuncia penale. Novaja Gazeta il 28 marzo ha ricevuto dal Roskomnadzor un secondo avvertimento scritto per la menzione di una ONG come agente straniero senza corrispondente etichettatura. La redazione ha deciso di sospendere la propria attività fino alla fine “dell’operazione speciale sul territorio ucraino”. La redazione di Meduza esprime la propria solidarietà per i giornalisti della testata.

Siamo convinti che nelle condizioni attuali i reportage di Elena Kostjučenko sulla guerra debbano essere accessibili ai russi. Per gentile concessione di Novaja Gazeta, del suo caporedattore Dmitrij Muratov e dell’autrice pubblichiamo i reportage in versione integrale.

Arrivo a Odessa in treno da L’viv. Il treno è mezzo vuoto. Il mio vicino nello scompartimento – Roman, sottotenente della riserva dell’esercito ucraino – arriva da Szczecyn, Polonia. La sua famiglia è rimasta là. Si aspetta di prendere parte alla guerra. “Prima proverò nella mia zona. Spero mi prendano, sono pur sempre un soldato qualificato.” Roman chiama la madre e dice che ha un pacchetto pieno di cibo, ma che non può mangiare, può solo bere caffè.

I finestrini del treno sono coperti da delle tende spesse: blackout, la luce si accende solo alle fermate. Mancano le lenzuola, sono state tolte da tutti i treni ucraini per darle all’esercito.

Odessa sta aspettando lo sbarco e l’assalto.

L’assalto non sta avvenendo: nel Mar Nero c’è una tempesta. Le navi stanno tornando indietro.

Al mare non si può andare. La spiaggia di Luzanovka – poco profonda e la più comoda per lo sbarco – è stata minata. Lungo la riva hanno eretto delle fortificazioni. Solo i residenti possono accedere ai quartieri residenziali sul mare.

Il controllo sulla città viene svolto dalla teroborona, un’unità di volontari formata nell’esercito ucraino. Li hanno reclutati il secondo giorno di guerra. Un’ora dopo hanno chiuso il reclutamento e ora gli odessiti fanno leva su “tutti i contatti” per entrare nella divisione. Poi iscrivono chi lo desidera. Nel caso di attacco alla città verranno chiamati. La teroborona tiene d’occhio i punti strategici, controlla i documenti ai passanti, cerca i sabotatori e i “ricognitori del nemico”, arresta i saccheggiatori. I saccheggi su larga scala, contrariamente a quanto si temeva, non sono avvenuti, ma quelli che ci sono sofisticati: indossano l’uniforme da poliziotto, si fingono agenti di polizia. Di solito i saccheggiatori vengono legati con del nastro adesivo ai lampioni.

I membri della teroborona portano una fascia gialla di nastro adesivo sul braccio destro. Giovani, un vecchietto con la barba grigia, alcuni nascondono il viso, fa freddo. Mentre l’esercito russo avanza, la teroborona passa alla guerra partigiana. “Siamo pieni di sorprese”.

Il combattente della teroborona Andrej Vladimirovič. Elena Kostjučenko / “Novaja Gazeta”

Andrej Vladimirovič, ex poliziotto e ora combattente nella teroborona, dice:

“Sono odessita di nascita. Sono nato a Odessa. Sto parlando con voi nella pura lingua russa. Ma qui nessuno ha mai offeso la lingua. Ja rozmovljaju čudovoju ukrain’skoju movoju[4]. Amo le due lingue, ma amo di più la mia lingua ucraina, perché è la lingua del mio paese. Sono cresciuto in una famiglia russofona e parlo russo. Qui nessuno ha mai offeso i diritti della popolazione russofona. Nessuno e mai. Io in un certo senso ho vissuto nella Federazione Russa, in Siberia, là gli ucraini sono trattati peggio di come noi trattiamo i russi qui. Le dicono che qui da noi ci sono i banderivci[5]? Io non buv[6] uno di loro, ora lo sono vže[7] diventato.

L’altro ieri ho arrestato personalmente un sabotatore che si spacciava per un senzatetto. Stava frugando dentro a questo cestino della spazzatura. Il secondo giorno è andato a dare un’occhiata a uno dei nostri punti strategici. Si è semplicemente presentato con un volto ideale, pulito. Con i denti dritti e bianchi. Aveva detto di essere un senzatetto. Portava delle normali scarpe da ginnastica, in caso avesse dovuto scappare. Il suo passaporto era una carta d’identità nostra, ucraina. Fresca fresca, rilasciata a dicembre. Quando i nostri ragazzi si sono avvicinati si sono messi a controllarlo. Dicono “Olegovič?” Lui: “Aleksandrovič!” Ma sul passaporto c’era Vladimirovič. Poi gli abbiamo preso i documenti. È venuto fuori che aveva un documento militare. Specialità: cecchino. Lo hanno affidato al controspionaggio.

Il primo giorno di guerra hanno fatto saltare in aria un magazzino sulla Promšlennaja, vicino alla divisione ‘Štrom’. Non si è trattato di un attacco aereo ma di un’esplosione da terra. Ma hanno fatto saltare in aria il magazzino sbagliato, in quel magazzino non erano conservate né armi né munizioni, ma in passato c’erano. L’informazione era vecchia.

Spero che Putin sia abbastanza intelligente da non bombardare Odessa. Per quale motivo? Perché questa è l’unica tra le città in Ucraina che credono sia stata fondata dai russi. Un motivo semplicemente morale, ma la coscienza non basta. È ciò che Caterina II ha costruito. Odessa per loro è una sorta di luogo sacro, credo. Perché, dopotutto, per loro in teoria è un luogo sacro! Tutto il mondo conosce gli odessiti. Come uccidere gli odessiti? Con il senso dell’umorismo. Come? Non gli entra proprio in testa. Come possono farlo? Semplicemente vai a uccidere dei russofoni come lo sono loro.

Non vogliono bombardare Odessa, né lo stesso Putin, né i generali. Fanno finta di aver attaccato Odessa. Guardi. Ieri sera un aereo militare ha bombardato. Ha sorvolato Odessa e ha sparato due razzi sopra Odessa. Oltretutto ha bombardato Krasnoselka, dove c’è un distaccamento militare. Ha lanciato due razzi. Nell’estuario. Un razzo è finito nell’estuario e anche il secondo nell’estuario, e non hanno ucciso nessuno, zero morti. Così il pilota ha completato la missione. Ha completato la missione? L’ha completata. Ha bombardato un distaccamento militare? L’ha bombardato. Beh, l’ha semplicemente mancato. Sono tutti felici, nessuno è turbato. Ha eseguito l’ordine. Per questo credo che Odessa rimarrà intatta.

E Putin, o finirà all’Aia oppure lo ammazzeranno i suoi. Ecco, vede, ha solo due opzioni. Non morirà nemmeno di morte naturale.”

***

Sui pennoni delle case di Odessa ci sono le bandiere ucraine. Sembra ci sia stata una festa. Le bandiere vengono issate la mattina e abbassate con il coprifuoco, si teme che di notte le bandiere possano essere rubate dai sabotatori o dai saccheggiatori. Proteggono le bandiere. Riguardo alla rimozione notturna delle bandiere hanno dovuto dare delle spiegazioni perché quando le hanno tolte la prima volta in molti hanno chiamato spaventati.

Il deposito dei tram produce ricci cechi fatti coi binari. Allo Yacht Club si tessono delle reti mimetiche. In due spiagge, l’Otrada e la Černomorka, si aspettano i volontari: mettono la sabbia nei sacchi, i sacchi di sabbia rafforzano le barricate e i posti di blocco. “Sulla spiaggia” hanno lavorato in molti in questi giorni, “ci si distrae bene dai pensieri”.

Praticamente tutti i giovani prendono parte alla difesa. La gente gira per i bar chiusi, raccoglie bottiglie e olio di semi di girasole. Stanno cercando l’insulina per i diabetici: non è abbastanza. Aiutano i rifugiati a raggiungere il confine. I tatuatori hanno deciso che l’intera tariffa base per un tatuaggio (100 dollari) sarà trasferita alle forze armate ucraine.

L’importazione è vietata. La Deribasovskaja è ricoperta di sacchi di sabbia, tavolini da esterno, blocchi di cemento. Si controllano i documenti. Un tizio con la barba e gli occhi verdi prende il mio passaporto:

“Ah, una russa.”

Vengo chiamata tovarišča[8].

“Hanno bombardato Char’kov da “Gradov”. Proprio ora. Io sono azero, capito? Questo non verrà dimenticato né perdonato. Non saremo mai dalla vostra parte. Mio figlio ha 15 anni. Farò di tutto affinché non abbia mai a che fare con voi!”

Alle sue spalle degli studenti riempiono i sacchi di sabbia e coi sacchi ci costruiscono una barricata.

Il teatro dell’opera, il cuore di Odessa, è circondato dalle barricate.

Nelle vicinanze, sulla Rišel’evskaja, c’è un centro di volontari. Non è l’unico, ma il più grande. Nei due centri si preparano piatti caldi e secchi, si organizzano aiuti per anziani, bambini, rifugiati e insulino-dipendenti. Molti gruppi di volontari sono nati dalle chat di Telegram e ora sono sportivi, scacchisti, madri con molti figli, avvocati a consegnare il cibo, ad accompagnare le persone al confine, a raccogliere i medicinali al confine (al confine moldavo è consentito il trasferimento di medicinali). Sulla Rišel’evskaja vengono anche raccolti e distribuiti aiuti alla teleborona, alla polizia e all’esercito. Prima qui c’era il Gorodskij centr edy, un food market all’aperto, un posto alla moda. Le persone indossano gilet arancioni e gialli, fanno tutto di fretta. Oggi qui lavorano 80 persone.

Volontari odessiti. 4 marzo 2022. Scott Peterson / Getty Images

Inga dice:

“Semplicemente ci bastano le forze per far tutto. Qui abbiamo un solo team di top manager e imprenditori super efficienti che ci hanno inviato le loro migliori risorse per organizzare la logistica, l’accettazione, la spedizione, la verifica degli ordini, il controllo delle spedizioni, la conferma delle consegne. Per questo motivo possiamo, per così dire, riuscire a prendere un grosso numero di ordini, verificarli ed effettuarli.

Lavoriamo seguendo turni e cambi programmati perché, insomma, è un lavoro piuttosto duro, tutto il giorno. Siamo tutti quanti sotto stress in questo momento: stiamo cercando di cambiare le persone. Abbiamo anche uno psicologo a tempo pieno a cui abbiamo chiesto di stare qui. Beh, può capitare anche a me, nel corso della giornata, di cedere. Quando mi domandano: «Ma chi eravate prima della guerra?» E tu pensi: «Dio mio, una volta avevo una vita, la vivevo e la amavo».

Il primo giorno abbiamo anche addestrato volontari su come fornire assistenza medica, perché non sai mai quando potrebbe capitarti di aiutare il tuo compagno e salvargli la vita.

Sono un’avvocata, membro della compagnia di avvocati Departments [in caratteri latini nel testo N.d.T]. Una vita fa, come si dice.

Primo giorno di guerra. Mi ha chiamata una ragazza del mio team e io, sfortunatamente o fortunatamente, ho il sonno pesante e le esplosioni non sono riuscite a svegliarmi, perché non sento nulla, ma lei mi ha chiamato in preda al panico dicendo: «Inga, non so che fare», era in lacrime. Mi fa: «Me ne vado, i miei genitori sono nel panico, vengono con me». E nulla, è iniziata. Sa, è un bel contrasto quando ricordo che quella mattina c’era un bel sole, la luce tra le tende, quel bagliore e da un momento all’altro il panico al telefono: «Ci hanno colpiti, una bomba è caduta vicino a casa, non so che sia!» Semplicemente non lo sai… e quando vedi tutto questo e sei semplicemente assonnato, provi quell’effetto di surrealismo. Beh, perché, come dire, è terrificante.”

“Lei non voleva scappare?”

“Scappare? Il primo giorno ho avuto questo pensiero. Sono vicina all’Ucraina occidentale. Là vicino i miei genitori che mi hanno chiamato nel panico «Vieni da noi, muoviti!». Ma ci ho riflettuto, sono tornata in me e ho detto: «Sorri, non vengo». C’è bisogno di me qui, sono altamente qualificata. Sono un’avvocata, una brava manager, lavoro bene, ho il mio posto e non posso lasciarlo proprio ora. Farò tutto il possibile affinché non arrivi l’occupante russo.”

Inga. Elena Kostjučenko / “Novaja Gazeta”

Per la città ci sono delle bancarelle che vendono caffè. La teroborona e i poliziotti lo bevono gratis. Dei ragazzi di 15 anni con delle sciarpe nere che gli coprono il naso si avvicinano a una donna:

“Scusi, vediamo da Donec’k. Abbiamo viaggiato a lungo. Ci faccia chiamare nostro fratello. In vivavoce!”

La donna gli porge il telefono e se ne sta tranquilla in disparte. Prende il resto e lo dà dai ragazzi. La venditrice guarda con gli occhi spalancati e non appena i ragazzi si sono allontanati dice:

“Guai a lei, sono gente del posto, dei nostri. Questa settimana mi hanno rubato una busta, me l’hanno strappata dalle mani! Lei non le deve dare via così il telefono. E non deve dargli soldi.

“Compreranno del cibo e lo mangeranno”, dice la donna. “Se la vita fosse buona non mentirebbero così.”

Al centro commerciale Galereja Afina c’è una vecchina. Nadežda Michajlovna, 76 anni. Si inginocchia piagnucolando:

“Signore, abbi pietà di noi. Signore, dacci la pace in terra.”

Le danno dei contanti. Deve fare la spesa prima che scatti il coprifuoco.

Nel negozio c’è una gentilezza isterica. Tutti si scontrano gli uni con gli altri, “scusi”, “grazie”, “buona giornata”. Manca la farina, il pane sta finendo, il cibo in scatola è stato spazzolato tutto. C’è della frutta, della verdura, il kolbasa. I primi giorni si compravano pacchi di sale e fiammiferi. Ora va via tutto, il cibo si compra per un giorno o due. Un uomo prende 10 bottiglie di cognac, da domani la vendita di alcolici è vietata in tutto l’oblast’ di Odessa. “Da alcuni negozi li hanno già tolti. Si immagina? Li hanno anche tolti dagli scaffali. Se li lasciassero, gli sbaverebbero dietro.”

In coda si discute: introdurranno sanzioni contro la produzione di alcol artigianale?

* * *

All’ufficio di arruolamento militare ci sono dei sacchi di sabbia e una fila ordinata. Un uomo con il naso storto si presenta:

“Dunger Sergej Stepanovič. Nato in un ospedale di maternità di Odessa, il settimo. Vivo sulla Krasnova, numero 7, appartamento 22. Come ho scoperto che era iniziata la guerra? Ci accompagna dal 2014 e continua ancora oggi. Quindi oggi mi sono offerto volontario. Il Nol’[9] del primo marzo 2022. Il primo giorno di primavera sono andato a combattere.

Perché i miei fratelli vengono messi in ginocchio. Sebbene anche la Russia sia nostra sorella. Ho famiglia là. Ma pure qui ho dei parenti, la mia famiglia. Non dobbiamo combattere. Perché litighiamo, non lo so. Ecco, io non sono un politico. Penso che una guerra politica del genere sia disumana.

Fin dove arriveranno, non voglio saperlo. A proposito. Sa, come si suole dire, «Dio dà – Dio toglie».

La mia stessa sorella. Non voleva farmi andare. Mi ha preso tutto: telefono, documenti. Tutto. Ma sono stato accettato per i miei contatti. Lei mi ha preso tutto. E ha detto: «Non andrai da nessuna parte! Sei sotto chiave». Mi ha chiuso in casa. Ma ho forzato tutte le serrature. E per la cronaca, senza fare casino. Glielo dica! Tutte le serrature! Sono uscito come una persona per bene. E le finestre le ho lasciate tutte intatte, a dire il vero. Perché non si preoccupi.”

Cinque giorni fa Valentyn ha compiuto vent’anni:

“Mi sono arruolato come volontario, di casa ne ho solo una, non ne ho altre. Solo l’Ucraina. Sapevo della situazione là nel Donec’k e nel Luhans’k. Tra l’altro giovedì, il 24, non ho dormito per tutta la notte. Quando ho ascoltato quel discorso dove Putin diceva che aveva iniziato sta merda di specoperacija ed erano iniziate le esplosioni, io…. Ho detto una cosa del tipo: «Sto figlio di puttana!» Devo portare i miei al sicuro. Nasconderli. Andare a combattere. Ho portato i miei al villaggio. E ci sono andato.

‘Nsomma, in passato di solito avevo un atteggiamento negativo verso il servizio militare. Fino a quel momento. Poi ho capito. Ho chiesto a una che lavora con me, una ragazza single: «Hai amici che sono andati a combattere?» Dato che la situazione è critica, tutti dicono che la questione è o l’Ucraina o niente. Lei ha detto: «No, non è andato nessuno». E le ho fatto: «No, ** [si fotta] tua madre. Nessuno vuole, nessuno può». E ho pensato «Perché no?» Beh, io penso di andare, quando tutto questo sarà finito riceverò il grado di ufficiale. Affinché io possa essere pronto a tutto se, Dio non Voglia, si ripetesse di nuovo una cosa del genere.

Già, è terribile. E dove andare? Ho un appartamento in centro. In uno scontro in strada mi metterebbero semplicemente in un sacco nero e mi manderebbero a riposare coi miei antenati. Perciò ho pensato che se bisogna morire meglio farlo resistendo. Dovessi invece cavarmela, mi seppelliranno in una enorme radura come si fa normalmente.

Cosa provo nei confronti dei cittadini russi? Rabbia. Collera. E il rifiuto del fatto che non vogliano combattere per la loro libertà. Queste persone hanno paura del manganello, delle multe, della prigione. Allo raga! Io ho 20 anni e ora faccio il volontariato. Anch’io ho paura di morire! Ma questa è casa mia! E là è casa vostra! E in 20 anni non vi siete mai accorti che stavate finendo nella merda! La vostra economia non cresce, non fa altro che recedere. E non siete nemmeno in grado di difendere la vostra opinione.

Tre mesi non mi sono bastati per finire gli studi da programmatore. Per questo Putin mi ha rubato anche il mio sogno. Ma penso che sopravviverò. E finirò gli studi. E che l’Ucraina entrerà a far parte dell’Unione Europea. Non credo molto in Dio. Credo in un Kalašnikov e nel gruppo Anonymous [hacker].

Mia madre dice: «Vai. Ti sostengo, meglio vivi che morti.» E mia sorella: «hihi, haha»… Eravamo al posto di blocco, non lasciavano passare la macchina. Mia sorella ride. Io dico: se non faccio in tempo ad andare all’ufficio di registrazione e arruolamento militare, allora ci andrò a piedi…. In qualche modo l’hanno fatta passare. Piangerà per la strada. Siamo gemelli. Anche lei ha 20 anni.

Che dire, ho paura di morire. Siamo tutti gente comune, normale. Abbiamo tutti paura di morire. Lo stesso vale per un programmatore che per un po’ ha aiutato a creare un paio di siti russi. Se gli occupanti arriveranno verrò di sicuro represso.”

***

Vicino all’ufficio di arruolamento militare, in fondo al parco di Kulikovo pole emerge nera l’umida Casa dei sindacati. Putin nel suo discorso, giustificando la guerra, ha ricordato quel 2 maggio 2014. Il 2 maggio 2014 a Odessa si sono verificati scontri armati tra tifoserie, i sostenitori dell’Euromajdan e dell’ “anti-Majdan”. Gli oppositori al Majdan si erano ritirati dall’accampamento di Kulikovo pole all’interno della Casa dei sindacati, che è stata incendiata con dei cocktail di molotov. In totale, quel giorno a Odessa sono morte 48 persone.

Boris Javorskij è un esperto del reparto della scientifica di Odessa. Conosceva tre dei morti e ha esaminato tutti i corpi. Per molti anni, assieme alla giornalista di “Ukrainskaja Žizn’” [La vita ucraina] Taysyia Najdenko, ha indagato sui fatti accaduti quel giorno. Boris e Taysyia hanno opinioni politiche contrapposte: “Ci compensiamo molto bene l’un l’altro.”

“Dopo questo per poco non sono andato io stesso a combattere nel Donbas”, ha detto Boris. “Dal mio punto di vista, i fatti del 2 maggio costituiscono uno degli snodi fondamentali, che hanno contribuito ad infiammare la regione di Donec’k. Molti miei conoscenti dopo Odessa sono andati volontari nel Donbas. Ed ecco dopo questi fatti la regione si è incendiata.

“In seguito sono avvenuti dei sequestri nelle amministrazioni in tutta l’Ucraina Orientale, dunque a Odessa tutti erano in grande agitazione, poiché temevano che potesse succedere anche qui”, dice Taja. “Tutto è dunque successo per via di questo stato di isteria. L’isteria derivava da questo. A marzo ci sono stati tentativi di sequestrare l’amministrazione odessita. Giravano inoltre folle con i manifesti «Noi con Putin», si spostavano per Odessa con icone, con ritratti di Putin. Da una parte sfilavano colonne con le bandiere ucraine, e incontro a loro colonne con il nastro di San Giorgio. Noi dicevamo ancora che Odessa era una città straordinaria. Lì sfilano con le icone e con Putin, e dall’altra parte con le bandiere ucraine, ed è tutto normale. Poi è arrivato il 2 maggio. E si è scoperto che, per certi versi, non eravamo una città così meravigliosa.”

“L’incendio alla Casa dei sindacati. 3 maggio 2014. Andrej Borovskij / TASS”
L’incendio alla Casa dei sindacati. 3 maggio 2014. Andrej Borovskij / TASS

“Ero lì al momento dei sequestri. Scattavo foto. In realtà c’erano 50 persone da una parte e 50 persone dall’altra. Per la maggior parte vecchine con le icone. Sono stato lì dall’inizio alla fine e posso dire che non c’è stata nessuna dispersione. Si è lentamente risolto da sé. Hanno bruciato un paio di bandiere dall’una e dall’altra parte, come atto dimostrativo, si sono presi a parole e poi si sono dispersi, perché iniziava a fare sera e a diventare freddo.”

“Sì, fino al 2 maggio era tutto molto tranquillo.”

“E da entrambe le parti c’era una certa eccitazione, quasi benevola, ecco, probabilmente si sbraitavano cose a vicenda.”

 “Il 2 maggio doveva esserci una partita di calcio importante. Non ricordo chi dovesse giocare con chi, non sono un grande fan del calcio. E nella piazza della Cattedrale…”

“Si sono riuniti i supporter, i tifosi. Prima di questa partita di calcio i tifosi sfilavano in colonne, come sempre. E considerando gli eventi in corso, la sottrazione della Crimea e tutto il resto, questi tifosi marciavano ornati, in particolari, di simboli nazionalisti. Sono, questi tifosi, naturalmente, ragazzi grossi e sportivi, come tutti i tifosi, raramente tra di loro c’è qualcuno con idee precise. Camminavano lungo la Soborka, di lato…”

“A esser precisi, andavano giù per la Grečeskaja.”

“Dovevano andar di lì, e attraversando pochi isolati sarebbero arrivati allo stadio. È, in generale, una cosa piuttosto normale: i tifosi si radunano, urlano qualcosa, vanno in giro in gruppo. Poi dallo stadio tornano indietro, penso accada dappertutto. Ogni tanto si pestano, anche questo accade dappertutto.”

“Un certo idiota, o un provocatore, da Kulikovo Pole ha portato la sua, diciamo così, squadra, ed è andato incontro agli altri, gridandogli qualcosa.”

“Hanno iniziato a prendersi a parole e a tirarsi delle pietre.”

“E poi all’improvviso qualcuno ha sparato a uno della compagnia dei patrioti. [Andrej, sostenitore del Majdan] Birjukov è morto per primo. Ancora adesso non si sa chi abbia sparato. Non c’è l’arma da cui è partito il colpo, perfino la direzione non è chiara.”

“E in sostanza dopo che il primo sangue è stato versato, tutti sono impazziti, e hanno iniziato a picchiarsi e uccidersi sul serio.”

“Quella volta era iniziata una rissa, proprio di fronte alla cattedrale. In seguito, qualcuno aveva gridato: «Andiamo a Kulikovo», tutti sapevano perché a Kulikovo pole… ricordavano, in sostanza, che a Kulikovo pole c’erano «i nemici».”

 “Ora del 2 maggio a Kulikovo pole era rimasta una manciata di svitati di città, pensionati, pikejnye žilety e così via, poiché tutta la ciurma anti-Majdan era in post sbronza, dato che il giorno prima c’era stato un barbecue condiviso tra pro-Majdan e anti-Majdan. E in pratica, gli svitati, i fanatici religiosi e i poeti incompresi, si sono trovati sulla strada di quella folla inferocita dal sangue.”

“È interessante, l’uomo comune è semplice, capisce facilmente che, scaldandosi in una zuffa, in una discussione, potrebbe arrivare al punto di sgozzare la sua cara moglie, no? Con la quale ha vissuto per 20 anni. Ecco lo stesso può accadere tra due gruppi di persone, e per qualche ragione nessuno se ne capacita.”

“Dicono: «ci sono stati dei provocatori!». Ma sì certo, ma perché mai i provocatori? Semplicemente le persone vedono il sangue e prendono a picchiarsi. E gli altri picchiano in risposta.”

“Perché l’uomo di oggi tende a negare l’irrazionale. Se qualcosa accade, c’è un disegno. Se qualcuno muore, c’è sempre un colpevole, le persone non muoiono di punto in bianco.”

 “Le persone a Kulikovo all’inizio hanno cercato di combattere e urlare ingiurie, ma poi si sono ritirate nella Casa dei sindacati.”

 “Dalla Grečeskaja a Kulikovo è arrivata solo una piccola parte dei tifosi, poiché avevano capito che là non c’era nulla di buono. Era accorsa solamente una piccola parte, ma aveva contribuito a creare il panico, e i pensionati avevano afferrato le loro icone con le candele ed erano corsi all’interno della Casa dei sindacati.”

 “Si erano barricati. Beh, come si erano barricati? Semplicemente ammucchiando dei pezzi di legno all’ingresso. Avevano semplicemente ammucchiato all’ingresso alcuni tavoli, questo è stato il loro «barricarsi».”

“E poi hanno iniziato a lanciarsi a vicenda bombe molotov. I più giovani tra quelli che si erano barricati si arrampicavano sul tetto e dal tetto lanciavano molotov sulla folla. E quelli che erano tra la folla le gettavano in alto, contro l’edificio. Ma non capiamo, almeno un pochino, come funziona la fisica? E che bruciare una persona che sta in piedi in mezzo alla strada, nella folla, è molto più difficile che bruciare un edificio…”

 “Non solo l’edificio, ma anche le barricate di legno all’ingresso, i mobili di legno accatastati.”

 “Questi mobili hanno preso fuoco, e da essi tutto il rivestimento interno dell’edificio, e poi…”

“E poi all’interno era tutto coperto, come al solito, contro tutte le regole, di una sorta di rivestimento in polietilene…”

 “E, cosa più importante, banale fisica, la rampa di scale centrale, per via dell’incendio in basso, si è immediatamente trasformata in un enorme camino e aveva una tale potenza che lì, in pratica, nel giro di pochi minuti, forse una decina, scorreva un flusso di aria mostruosamente incandescente. Ecco perché tutti coloro che in quel momento si trovavano sulle scale… sulle rampe o nelle immediate vicinanze, sono morti all’istante, a causa di quest’aria incandescente, per ustione delle vie respiratorie. Uno o die respiri, e uno ci rimane secco.”

“Nessuno degli assalitori è entrato nell’edificio. Entrare nell’edificio era impossibile. Nell’edificio c’erano migliaia di sopravvissuti; erano sopravvissuti quasi tutti coloro che non si trovavano vicino alle rampe e non erano saltati dalle finestre. Le persone più giudiziose erano salite a poco a poco di sopra, si erano concentrate sul tetto dell’edificio, dove erano state poi accolte dagli sbirri.

E poi su Facebook sono comparsi dei messaggi, secondo i quali i morti nella Casa dei sindacati erano guerriglieri dalla Russia e dalla Transnistria. E tutte le testate ucraine e la maggior parte di quelle russe lo hanno ripubblicato come dato di fatto. Ma io, in quanto esperto, ho visto i documenti. Tra i morti vi erano solo due non residenti: uno dell’oblast’ di Nikolaev, l’altro di Vinnicyja. Tutti gli altri erano abitanti di Odessa e dell’oblast’ di Odessa. Ma questa bugia ha scatenato una reazione assolutamente mostruosa: è iniziato lo scherno. Era davvero disgustoso. E non l’evento in sé, bensì lo scherno, è stato per molti ucraini occasione di comprendere che non si trattava di controversia nella visione del futuro, ma che si trattava già di odio e inimicizia, di un desiderio di morte l’uno dell’altro. Si era già andati oltre i limiti della contrapposizione ideologica e si era passati allo scontro mortale. E molti odessiti, dopo questi fatti, sono andati da Odessa nel Donec’k. Tra i miei conoscenti più vicini sono andati in dieci. Sono molte, dieci persone. E adesso qualcuno di loro si prepara ad andare verso Odessa insieme all’esercito russo.

Ma questa è la guerra. Risultato della sensazione che la situazione fosse cambiata è stata la forte polarizzazione della società. Come risultato di ciò che è accaduto sembra in effetti svanito lo scontro tradizionale, che è durato otto anni, tra i supposti pro-Majdan e gli anti-Majdan. A quanto pare era tutto inaspettato anche per loro, hanno messo da parte questo senso di antagonismo e ostilità nei confronti l’uno dell’altro di fronte a un avversario, per così dire, più rilevante.”

“Semplicemente funziona”, dice Taja “Puoi dire, come molti amano fare: «Sì, questa è la politica, non ci capiamo niente, tutti mentono, tutto è chiaro». Ma soltanto quando ti vola sopra qualcosa dal cielo, e vedi edifici residenziali che esplodono, capisci, tutto diventa piuttosto chiaro.

 Da noi quelli che fumano la pipa vengono chiamati trubokury[10]. Qui da noi a Odessa, nel club odessita dei fumatori di pipa, ci sono operai e patrioti, che hanno combattuto nell’ATO[11], e businessman odessiti, un doganiere, un medico legale, un giornalista di “VATA”, beh, c’è gente di tutti i tipi. Lì c’è uno spaccato molto…un pubblico molto interessante, poiché quelle persone sono accomunate solo dal fatto di fumare la pipa.

Ecco lì puoi trovare molte persone diverse con opinioni molto diverse, e ho capito che nel club Odessita le persone davvero attive sono circa quaranta. E ora, a quanto ho capito, abbiamo escluso uno di loro da tutte le chat, perché elogiava regolarmente Putin. E quando i ragazzi gli hanno detto: «Serega, ora rispondi. Ora sei pronto ad ammettere che questa è una guerra, che è una cosa seria?» In risposta Serega ha scritto: «Non è tutto così chiaro… Non sappiamo chi ha ragione, chi ha torto, ragazzi.» In risposta lo hanno cancellato da tutte le chat, poiché in queste chat si discutono, tra le altre cose, informazioni di guerra, certe informazioni tattiche. Poi ci sono tre-quattro persone, che «***** [accidenti], tutti voi non mi piacete per niente.» Ci sono tre-quattro persone che «voi non mi piacete, ma quando bombarderanno, difenderemo Odessa». E tra tutti i restanti c’è chi già combatte, chi si prepara a combattere, chi va a iscriversi alle forze di difesa territoriale. Insomma, ci puoi trovare uno spaccato della media degli uomini odessiti. Ed è molto vario, ripeto, perché ci sono età diverse, condizioni economiche diverse, le persone sono cioè unite da un parametro casuale, molto casuale. È un campionamento molto casuale, e dunque particolarmente interessante.

Ed è particolarmente divertente leggere, in questo contesto, che a Odessa ci sarebbero tre fascisti, e che il resto degli odessiti starebbero aspettando che questi vengano e li salvino da tutta questa oscenità.”

Anche il sindaco di Odessa Gennadij Leonidovič Truchanov sfila con un nastro giallo sulla manica. “Io ogni cinque anni, prima delle elezioni, sono o un separatista, o un banderista, o non è chiaro che cosa.” Dal momento dell’introduzione della legge marziale la città è stata messa sotto controllo militare. Il sindaco si è spostato con la sua squadra nell’ex ufficio di partito, ma praticamente non è mai lì, va in giro per la città:

“Le esplosioni. Con quelle si è capito, si è percepito che la guerra era iniziata. Perché nonostante molti già prima parlassero di guerra, finché non senti tremare la terra sotto i piedi e gli spari notturni, finché non li vedi… Ecco allora si è compreso, si è divenuti consapevoli che era cominciata la guerra. Era il 24, avevano bombardato la stazione di ecolocalizzazione, si capiva che si stava mettendo male, si era sentito molto bene.

Tutto alla vecchia maniera, di notte. È una tattica militare: quelli di guardia di notte sono già allo stremo delle forze, e quelli di turno al mattino non sono ancora arrivati. Dunque, si tratta di tattica militare, saggezza militare, se si può chiamare saggezza; attaccare nel momento in cui le persone sono più calme e indifese.

Mi sono vestito e sono immediatamente andato al lavoro, ho riunito tutto il consiglio e abbiamo iniziato a lavorare.

In quella settimana siamo riusciti a fare molto, con un buon ritmo. In primo luogo, siamo stati in grado di riconvertire le nostre aziende pubbliche al lavoro in funzione del tempo di guerra. Sembra facile, ma è molto difficile. È necessario che il personale, durante il coprifuoco, vada al lavoro, torni a casa e così via. Garantire l’uscita dei veicoli comunali, dei veicoli di emergenza, i sistemi di riscaldamento, poiché possono verificarsi sia rotture che incidenti. Tutto questo d’accordo con i militari, che già pattugliavano la città, e con le persone già in nevrosi, che cercano in ogni macchina nemici camuffati sotto mentite spoglie. Da un lato li capisco, poiché gira voce che qui operino gruppi di sabotaggio, e i primi tempi tutti sorvegliavano con grande agitazione, ogni persona sospetta sembrava essere un nemico, e allora si iniziava a sparare senza motivo. E le persone stesse non capivano perché ciò accadesse. Io stesso una volta vedo uno con lo zaino, gli fanno: «Dove sta andando?» Risponde: «Vado a casa». Gli dicono: «Si fermi». Dice: «Vado a casa, abito là». Ci sono stati spari, litigi, scandali, la gente si è indignata per il fatto che si sia arrivati a tanto. Ora è in qualche modo comprensibile.

Ho un cane, la mattina vado al parco. La gente si avvicina, e capisco che potrei diventare in un certo senso un bersaglio, letterale e figurato. Ma quando le persone mi vedono, e principalmente a passeggiare sono donne, dicono: quando la vediamo uscire col cane, significa che ci sarà un altro giorno di normalità. Se siete qui significa che andrà tutto bene.

Mia moglie è qui. Mia figlia coi nipoti, ieri quasi a forza, con le lacrime… sono ora al confine. Ecco io ora spero che non si giri e non ritorni. Tutti in lacrime, io ho detto: «Coraggio, tre giorni di là e poi tornerai».

Cammino nel parco, vengono da me e mi chiedono: «Avete visto cosa hanno fatto vicino all’Opera?» Chiedo: «E cosa han fatto vicino all’Opera?» Hanno messo due blindati. Non capivo. Sono andato da loro e gli ho detto: «Ragazzi, avete messo due blindati di fianco a un monumento architettonico. Doveste contrattaccare con attrezzatura militare, potrebbero colpire l’Opera». Loro gentilmente tacevano. Dopo sono iniziate le barricate. Ho pensato: che fare. Perché le barricate vicino all’Opera? Li lasceremo entrare in città? Succederà?

Non c’è sciacallaggio. Voglia il cielo che si continui così. Sapete, in generale da noi, a quanto pare, girano storie sulla nostra città, si dice che «a Odessa ti derubano, è una città di ladri»… Stronzate. 

Abbiamo 353 rifugi antiaereo. Di questi 85 sono proprietà comunale, dei quali quindi sono io il responsabile. Ho messo in ordine tutti gli 85 rifugi antiaerei nel 2014-2015. L’unica cosa che non ho potuto cambiare è stato il sistema di ventilazione. Ci sono grandi filtri di produzione sovietica. Già nel 2014 avevo scritto una lettera al primo ministro in cui dicevo: capite, è una fregatura, le persone qui non rimangono. Cambiate, per favore, i filtri nei rifugi antiaerei. Siamo nel 2022 e non è stato fatto nulla.”

“Quindi nel 2014 avevate previsto che sarebbe potuta scoppiare una guerra?”

“Ascolti, allora tutto si stava muovendo in quella direzione. A Odessa c’erano esplosioni, si muovevano gruppi di sabotaggio. Due tre volte a settimana saltava in aria qualcosa.”

Barricate sulle vie di Odessa. Petros Giannakouris AP/ Scanpix / LETA

“In città dicono che ho il passaporto russo. Non ho il passaporto, non ho la cittadinanza. Ci sono persone col passaporto russo, ma sono persone completamente normali, nella norma, ma ecco il passaporto russo equivale a una condanna di qualche tipo. Era il 2014, prima del voto dicevano di ritirarmi dalle elezioni. Mi sono rivolto al consolato russo, come da manuale. La risposta ufficiale, la risposta del consolato generale, è stata: non ho la cittadinanza russa.

Io rimango saldo sui miei principi e ci rimarrò, sfilerò il 9 maggio, vado alla chiesa del patriarcato di Mosca. Ma non ho intenzione di cambiare la chiesa in cui vado, e il padre da cui mi confesso, perché a qualcuno non piace. Io non possono vedere che lui serve fedelmente Dio e la sua causa. E hanno iniziato a ricordare che non è quello che ho detto. Era il 2015, sono andato alla parata del 9 maggio, indossavo il nastro di San Giorgio. Sono corsi da me, hanno iniziato a interrogarmi. Gli ho detto che per me il nastro di San Giorgio non è simbolo del nemico, è valore militare, gloria. In ogni paese si onorano i propri soldati. Poi iniziano a chiedere della Crimea. Non amo le situazioni in cui tutti sono così aggressivi. Gli rispondo: «quello che so lo dico. Potrebbe non piacervi. Avevamo lì delle truppe, dei distaccamenti della marina. Non ho sentito un solo colpo. D’altra parte, sento dichiarare che il parlamento si è riunito e ha votato. Non so se sotto minaccia o meno. Cosa volete sentire da me?»”

“Volevo anche chiederle del 2 maggio. Conosco personalmente due persone, delle quali una è un soldato dell’esercito russo, ferito durante il cortocircuito della battaglia di Debal’cevo, e l’altra è un volontario che era andato a combattere nel Donbass, e ritengono la tragedia del 2 maggio il motivo principale per cui sono andati a combattere.”

“Per Odessa questa è una ferita aperta, in una città così pacifica e amichevole non c’era mai stato niente di simile, un omicidio di massa. E non solamente un omicidio, un cinico omicidio, quando hanno dato il colpo di grazia a quelli che erano già caduti, rompendosi le gambe; li hanno uccisi. Questa è barbarie. A loro non piace quando glielo dico, perché pensano di aver combattuto contro i nemici dell’Ucraina. Sul 2 maggio posso raccontare moltissimo, perché ho fatto di tutto perché non accadesse. A Kulikovo Pole c’erano 14 grandi tende. Fino al 2 maggio ero stato in grado di condurre i negoziati e avevo chiesto che 7 tende fossero rimosse.

Ero andato a Kulikovo Pole, gli avevo detto: vedete, eccomi qui. Voi dite che io mi nascondo da qualche parte. Ma poi venite da me e mi spiegate quello che fate in città. Capite, che state spingendo le persone a morire? Contro cosa combattete? «Corruzione e stipendi bassi»; le solite cose. Io dico «ok, ragazzi, state combattendo bene, solo che a Majdan hanno esattamente le stesse richieste. La differenza è che loro stanno sotto la bandiera ucraina, e voi sotto altre diverse, tra cui la russa. Guardate le richieste del Majdan e le vostre, sono simili, solo i modi sono completamente diversi. Siete molto giovani, vi inganneranno come stupidi, incapperete in guai molto seri. Come minimo per questo vi metteranno in prigione due anni, e avranno tutto il diritto di farlo. Togliete le tende. Non avete macchine, né un generatore, vi darò tutto. Ma togliete le tende. Ed ecco sette tende prendono e se ne vanno. La seconda parte è più radicale. Ok, parlerò con loro. Vengono con me tutte le emittenti televisive, arriva il capo della polizia. Andiamo a Kulikovo pole, ci sono le tende rimaste. Vi chiedo: «sgomberate tutto, Così non va. Sono venuto da voi in modo pacifico, ecco il mio numero di telefono». Arrivano i negoziatori: «Se voi ci date una mano con gli spostamenti». Dico: «Bene, vi aiuterò». E ci accordiamo che il 2 maggio dopo la partita di calcio avrebbero portato via tutto.

E voglio fare una domanda a quelli che si espongono tanto e raccontano della tragedia del 2 maggio: quando la Russia dice «verremo e li puniremo per il 2 maggio», gli vorrei solo rispondere: «cominciate a punirli lì da voi». Dmitrij Fučedži [ex vicecapo della milizia di Odessa] è ora in Russia, dispensa interviste; era responsabile dell’ordine pubblico. Avrebbe dovuto mettersi in mezzo alle due fazioni combattenti con degli agenti di polizia. Indossava l’uniforme di ufficiale di polizia, non aveva dove nascondersi, lo avevano ferito alla mano; avrebbe bisogno di guardare quei film sulla guerra, in cui le persone combattono senza una mano, e le persone ferite alla testa vanno avanti a combattere e sparare, senza mano. Lo hanno ferito alla spalla e lui è uscito dalla battaglia.

Il pompiere [Vladimir] Bodelan [ex capo del dipartimento regionale del GSČS[12]], che ora è funzionario in Crimea, potrebbe rispondere: perché non ha spento l’incendio? Dov’erano i nostri pompieri, mentre le persone bruciavano. È uscita solo una macchina, è stata trattenuta, basta? Da noi a Odessa la squadra dei vigili del fuoco consiste in una macchina? Si sono spaventati? Non bisognava aver paura, era il suo dovere. Doveva uscire e salvare le persone che stavano bruciando. Io lì loro non li ho visti. Se è un vigile del fuoco, deve spegnere gli incendi. Deve essere sul campo nelle situazioni critiche. Da loro ho sentito: «non abbiamo ricevuto l’ordine». Ma che ordine serve se un edificio brucia e le persone muoiono? Se sei davvero un uomo d’onore e dedito al lavoro sali in macchina e vai a salvare le persone. E ora rilasciano interviste. Magari prima vi scuserete di non aver compiuto il vostro dovere. Per questo il governo vi pagava, vi aveva dato dei titoli. È così facile chiedere, ma invece cercano chi castigare qui. Sì, il sistema dovrebbe lavorare in modo più efficiente, la procura dovrebbe… Sono sicuro che un giudizio legale in ogni caso ci sarà.”

“Non c’è stato un procedimento penale?”

“Il procedimento penale c’è stato, solo che non ha spostato nulla. Ci si ricorda del 2 maggio solo prima delle elezioni. Quando il partito che si occupa di questa faccenda si attiva particolarmente per raccogliere i voti degli odessiti. È di un tale cinismo, un’offesa. Non so come altro definirlo.

Esigono che io vada alla telecamera e dica: nave russa, vai a *** [farti fottere]. Ma io per principio queste cose non le dico. Chiederanno di consegnare la città? Bisogna prima chiedere l’opinione dei cittadini. Non accetteremo di consegnare la città. In primo luogo, credo nel valore delle nostre forze armate, non consegneranno la città. E gli abitanti – pure. Sapete, è giusto una qualche cazzata, non so come altro dire… che Odessa verrà presa dai russi, dall’esercito russo. Nessuno si può immaginare questo, nemmeno in teoria. Col pretesto di liberarci da qualcuno, di aiutarci, puniscono secondo la legge coloro che hanno causato il 2 maggio.

***

Sulla Sobornaja ploščad’ in un padiglione coperto dei tipi giocano a scacchi. Due tavoli: scacchi veloci, a tempo, e lenti. Fa freddo, ma non se ne accorgono. Mancano ancora due ore al coprifuoco, c’è tutto il tempo.

“Vado all’avventura con l’alfiere. Di chi dovrei aver paura?”

Sulle tavole bianconere si svolgono battaglie incruente.

“Cosa ti offende, Semen? Io avrei già perso. In casi estremi mi arrenderei e basta.”

“Che mossa è, che mossa è? Chi sa, che mossa è?”

“Andiamocene. Si chiama: che cazzo. Che cazzo, è in Africa che cazzo.”

Le conversazioni sulla guerra mentre si gioca a scacchi sono proibite.

“Perché gioco così da schifo?”, dice Lenja “è la terza partita che gioco col nero e faccio stronzate. Perché l’ho preso, non ho visto cosa c’è sotto il cavallo?”

“Dai con la terza pedina.”

“Non te la darò.”

“Spilorcio.”

“Deve ancora ticchettare”, dice Lenja e porta via l’alfiere sotto tiro.

“La recinzione è bruciata, è bruciata anche una chata!”

“Sono venuti qui e non mi hanno nemmeno chiesto se fosse possibile.”

Allarme aereo. La sirena urla. Gli uomini continuano a giocare a scacchi, accelerano le loro mosse. Ma alla fine ripongono le statuette in un sacchetto.

Le persone corrono nel sottopasso. “Non è sotterraneo, ma comunque.”

La sirena suona e risuona. Lena, nove anni (occhiali, treccia), calma il cagnolino Asja. Asja è tra le braccia della madre di Lena. Ogni volta che la sirena prende una nota alta, il cane alza la testa e ansima. “Asečka, non aver paura”, dice Lena. “Sei un cagnolino, non aver paura.” Lena prende Asja tra le braccia e il cane, affondando nella spalla, si calma. Asja è un terrier a pelo ruvido, la mamma gli taglia il pelo ispessito, fa vedere: “bisogna tosarlo qui.”

L’allarme si attenua. La mamma vuole camminare ancora, Lena, con fare da adulta, dice: “Non cammineremo più oggi, non c’è motivo.”

“La Pjataja stancija l’hanno bombardata per bene.”

Gli uomini trascinano le panchine dei bar che avevano portato nel sottopasso.

“Credete in Dio?”, mi chiede la guardia. “Scendete.”

Il tempio inferiore della cattedrale della Trasfigurazione del Salvatore è diventato il più grande rifugio antiaereo di Odessa. Pareti dorate, colonne tortili, scure figure di santi. Sul pavimento piastrellato, vicino alle pareti, ci sono dei tappeti, sui quali sono stese delle coperte. Sulle coperte, le persone. Nella cattedrale non sono ammessi gli animali domestici, ma le persone portano i gatti dentro le borse.

Il figlio maggiore di Cristina, otto anni, sta facendo un puzzle, ha appena cominciato, e non si vede cosa rappresenta. Il più giovane, ne ha quattro, guarda il telefono. È il terzo giorno che la famiglia di Kristina passa nella cattedrale.

“Viviamo sulla Sofievskaja, casa nostra non ha il seminterrato. Sulle porte hanno appiccicato dei volantini con gli indirizzi in cui si trovano i rifugi antiaerei; dicevano che ci si può riparare in tutti gli ospedali. Ho girato due ospedali sulla Pastera, sulla Dvorjanskaja… niente da nessuna parte. Dicono che si è trattato di disinformazione. Sulla Targovaja, al 20, il rifugio c’è, ma ci sono i residenti locali: «Lo abbiamo preparato per noi, per il cortile, vi faremo entrare se avanzeranno posti». E come correremo lì sotto allarme? Come faremo a sapere se ci sono posti oppure no?”

Per alcuni istanti Kristina piange. I figli non se ne accorgono.

“La mattina vai a casa. Prendi il cibo per il giorno e per la notte. Parli coi parenti sparsi qua e là, chi è vivo, chi non è vivo. Ti lavi. E poi di nuovo qui.”

“Qui c’è una certa aura, è più tranquillo qui”, dice Kristina, “non pensi al peggio, in qualche modo tutto si rasserena.”

“Aura?”, esclama un ragazzo scalzo lì vicino. “No, non bombarderanno la chiesa. Sono credenti.”

“E le case le bombardano?”, dice una donna in un angolo. “Credono? In cosa?”

“Non voglio parlare di politica”, dice Kristina, “vorrei chiedere perché. Ma non so a chi.”

“Chiedi ai russi”, dice la donna nell’angolo.

“I parenti di mio padre sono in Russia. Li ho tagliati fuori. Hanno la loro verità, noi abbiamo la nostra. La stiamo vivendo.”

***

Vika prepara la kaša di miglio e cuoce le uova. È una cameriera, ma il suo bar è chiuso. Oggi si è procurata il drenaggio per l’avocado. Lo ha fatto crescere dal nocciolo. Ha bisogno di ciottoli, ma al momento non può scendere in spiaggia, è minata. Vika fa germogliare avocado e limoni. Scende nell’appartamento di sotto, da Vera Grigor’evna. Vera Grigor’evna ha 85 anni. Dall’inizio della guerra legge Agatha Christie, tutto il giorno, libro dopo libro. Non ci sente quasi del tutto.”

Dice:

“Che Putin conquisti questo paese! La libertà a costo della vita, non mi piace. Sapete, quanto è dura vivere in uno stato che odi? Tremo addirittura per quanto non mi piace. L’Ucraina deve stare con la Russia. L’ho detto alla pattuglia: sono una spia. Di chi? Dei russi. Mi ha guardato così male! Hanno chiuso la stolovaja che dava da mangiare ai pensionati. Che ci teneva a galla. E c’è stata la fame, la repressione, e ora, voglio comunque stare coi russi. In molti la pensano così, ma hanno paura. Di cosa hanno paura? Beh, i paurosi sono abituati ad avere paura. L’Ucraina? È inutile per tutti: è misera, misera.”

“Bombardano Kiev, Vera Grigor’evna”, dice Vika.

“Bombardano? Kiev? Non ti credo, Vika.”

Vera Grigor’evna si siede a mangiare. Vika le si siede accanto. Vika ha 17 anni, ha ombre rosate sulle tempie. È di Možnjakovka, nella regione di Luhans’k. Suo padre ora è a Char’kiv, sotto i bombardamenti. Sua madre, nella Repubblica Popolare di Luhans’k.

“Ho troppi parenti. 20 persone, in tutto il paese. L’istituto di Starobel’sk, dov’ero iscritta, è stato bombardato. Ora mi addormento solo al mattino. Non dirò quello che penso. Sono cresciuta a Možnjakovka. Lì abitano 1500 persone. Cammini per strada e ti chiedono: Russia o Ucraina? Se dici «Russia» ti menano. Se dici «Ucraina» ti menano. Bisogna indovinare a chi dire cosa. Io preferisco stare zitta.”

Vera Grigor’evna mangia. Vika pettina il gatto.

“Che cosa sognate?”

“Niente di buono, solo cose brutte.”

“Vale la pena ricordare il sogno in cui volavate sopra Odessa”, dice Vika. “Dopo posso prendere in prestito Agatha?”

“Naturalmente, perché lo chiedi”, dice Vera Grigor’evna.

Vera Grigor’evna con la fotografia di suo marito. La donna seleziona le foto che salverà in caso di allarme aereo. Elena Kostjučenko / “Novaja Gazeta”

Vika lava i piatti. Vera Grigor’evna va nella stanza accanto e tira fuori le buste con le foto. Le buste cadono a pezzi per l’usura. Riportano le scritte “mamma”, “amici”, “matrimonio”, volti tranquilli in bianco e nero. Vera Grigor’evna sceglie meticolosamente i morti che porterà in salvo con sé nel rifugio antiaereo.

 

Apparato iconografico:

Tutte le immagini inserite sono state prese dal reportage di Elena Kostjučenko, riportando anche i credits indicati dalla reporter. L’immagine di copertina “Odessa, 14 marzo 2022”, è stata scattata da Scott Peterson ed è proprietà di Getty Images.

Note:

[1] La legge di riferimento è quella ratificata dalla Duma nel 2012 ed esacerbata a fine 2019. A ONG, media e persone fisiche che ricevono, direttamente o indirettamente, finanziamenti esteri, vengono imposti i requisiti per la registrazione, la contabilità e l’etichettatura delle proprie pubblicazioni in qualità di agenti stranieri. In caso di inottemperanza si rischiano fino a due anni di reclusione.

[2] Nonostante l’accesso al sito in Russia sia bloccato, i materiali e i lavori della testata circolano e vengono ripubblicati sia sulla piattaforma europea della stessa che su molte altre pagine online.

[3] Penisola nel nord della Siberia centrale che si trova oltre il circolo polare artico.

[4] In ucraino in originale: “Parlo la meravigliosa lingua ucraina.” Nella traduzione si è deciso di traslietterare le frasi e le espressioni in lingua ucraina, così da mantenere la differenza che esiste in originale. La medesima scelta è stata operata anche per i toponimi e i realia ucraini. Si è scelto di non tradurli ma di traslitterarli e, nel secondo caso, di fornrie una spiegazione in nota.

[5] I banderivci (бандерівці) sono i membri dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (Organizacija ukajins’kich nacionalictiv, OUN).

[6] In ucraino in originale: “ero”.

[7] In ucraino in originale: “già”.

[8] Il termine tovarišča, “compagna”, presenta un’accezione specifica, tovarišč, “compagno”, è infatti l’epiteto che veniva usato in epoca sovietica dai comunisti e dai membri del Partito per rivolgersi ad altre persone.

[9] In russo Den’ “Nol’ diskriminacii” o Den’ bor’by s diskriminaciej è lo Zero Discrimination Day, celebrato annualmente dagli stati membri dell’ONU ogni 1° marzo a partire dal 2014 per iniziativa di UNAIDS (Programma delle Nazioni Unite per l’HIV e l’AIDS).

[10] Il termine trubokur, da kurit’, “fumare”, e trubka, “pipa”, indica, nel linguaggio colloquiale russo, colui che fuma la pipa.

[11] La sigla indica l’“Operazione antiterrorismo” (Antiteroristična operacija in ucraino, Anti-terrorist Operation in inglese), e denota una serie di azioni militari intraprese dagli ucraini nelle regioni di Donec’k e Luhans’k, controllate dalle forze russe o dalle forze separatiste filorusse.

[12] La sigla indica il Sistema statale ucraino per le situazioni di emergenza (Gosudarstvennaja služba Ukrainy po črezvyčajnym situacijam).