Moï Dumky Tychi (My Thoughts Are Silent) di Antonio Lukič

Viktor Toth

 

Regia: Antonio Lukič

 

Sceneggiatura: Valerija Kal’čenko, Antonio Lukič

Fotografia: Illja Jehorov

Montaggio: Oleksandr Čornyj

Produttore: Alla Bjelaja, Dmytro Suchanov

Produzione: Toy Cinema

Distribuzione: Arthouse Traffic

Origine: Ucraina

Lingua: Ucraino, Ungherese, Inglese

Formato: 1.78:1

Durata: 104’

Genere: Commedia, Drammatico, Dramedy

Link al Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=RPyCUrLqA4M

Link a cui reperirlo: https://www.takflix.com/en/films/my-thoughts-are-silent

Antonio Lukič (1992 -) ha studiato all’Università di Cinema e Teatro Karpenko-Karyi di Kyïv. Il suo cortometraggio di laurea “U Mančesteri jšov došč” (It was showering in Manchester) ha ottenuto il premio per il miglior cortometraggio al festival del Cinema di Odessa nel 2016. Il suo lungometraggio di debutto, “Moï Dumky Tychi”, ha ottenuto il premio della Giuria nella sezione “East of the West” al festival di Karlovy Vary, in Repubblica Ceca. Nel 2021 è stato insignito dell’Onorificenza Nazionale per il Merito Artistico. Il suo secondo lungometraggio, “Luxembourg, Luxembourg”, è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2022.

 

Trama: Vadym è un giovane ingegnere del suono specializzato nell’acquisizione di effetti speciali sonori per conto di un’azienda di videogiochi canadese, a cui viene proposta la possibilità di lavorare all’estero se fosse riuscito a registrare il verso di un uccello rarissimo e mai registrato prima. Per farlo, Vadym deve tornare alla regione d’origine e fare i conti con il rapporto complesso con la propria madre.

 

Interpreti:

Andrij Lidahovs’kyj – Vadym Rott

Irma Vitovs’ka – Halyna Rott

 


Sebbene questo venga spesso ritenuto un film appartenente al genere comico, il regista Lukič rifiuta questa definizione per il suo cinema. Se è vero che nei suoi lungometraggi si riscontra l’ampia presenza di una intenzionale comicità dirompente, questa è da attribuire ad un senso di sarcasmo innato nella personalità del giovane regista, che si trasmette in modo naturale nella sua opera.

Lukič ha affermato durante la promozione di Luxembourg, Luxembourg, che “la vita è il susseguirsi di momenti cringe”. Così, i vari episodi comici che avvengono nel corso di Moï Dumky Tychi, più che essere uno strumento comico indicano il disagio dell’esistenza umana. La statura esageratamente alta di Vadym incarna la sensazione di inadeguatezza dell’ambiente rispetto alle sue aspirazioni, indica le sue mire di abbandonare l’Est in favore delle possibilità offerte dall’occidente.

Centrale è la contrapposizione tra Est ed Ovest, rappresentato da un occidente idealizzato, dal “sogno americano” – che però include l’Europa Occidentale –. Sia Vadym che sua madre aspirano all’emigrazione, ma entrambi devono fare i conti con l’inevitabilità degli eventi che possono influenzare drasticamente il loro percorso. Non solo le aspettative sull’occidente eccedono la realtà, ma si può addirittura riscontrare una velata critica al divario economico che divide i due spazi, in particolare allo sfruttamento che l’Ovest perpetra sull’Est: Vadym stesso è sfruttato nel suo impiego, e la piuma del volatile che compare nella scena finale del film è simbolo di questo squilibrio.

Al fattore economico si accosta una contrapposizione mentale, dettata dal passato, che viene attribuita ai comportamenti degli animali: lo sviluppatore canadese del videogioco ha richiesto la registrazione dei versi degli animali ucraini in quanto ritiene che siano più “tristi” degli animali occidentali, mentre la madre si chiede se le mucche occidentali sono in grado di “guardare in alto”, in quanto ritiene che quelle dell’Est non ci riescano. Il film quindi delinea ironicamente una mentalità pessimista diffusa all’Est, che si contrapporrebbe ad un ottimismo occidentale di fondo. In tal senso acquisisce ulteriore senso il prologo del film, in bianco e nero ed apparentemente slegato dalla trama principale, ambientato nel 1526, poco prima della battaglia di Mohács che avrebbe segnato il destino del Regno d’Ungheria e l’occupazione Ottomana dell’Europa sud-orientale per i secoli a venire. In questa vignetta, nella quale un mercante cerca di vendere a due frati una reliquia (un dente da latte di Cristo), si suggerisce lo scontro tra speranza e inevitabilità degli eventi che poi caratterizzerà l’intera trama del film. Anche la rarità del volatile il cui verso è centrale per il film va fatta risalire a ragioni storiche, com’è suggerito da un falso documentario di repertorio che descrive la complicata storia della riserva naturale, passata di mano in mano tra le varie nazioni che coesistono nella regione di confine da cui Vadym proviene.

Il percorso che Vadym fa verso i suoi sogni lo riporta alle sue origini, alla sua città natale. In una scena, egli cerca di sintetizzare il verso del volatile in base ad una notazione trovata in un museo, e si rende conto che le onde sonore corrispondono alla forma degli alberi e del loro riflesso nel lago in cui l’animale si trova: il mezzo che gli permetterebbe di percorrere il proprio futuro si identifica nella sua terra d’origine. Egli procede così a scrivere una canzone basandosi sul verso, a trasformare il suo mondo in una forma d’arte, un po’ come Lukič stesso fa con il suo lungometraggio.

Il rapporto tra madre e figlio caratterizza gran parte della seconda metà dell’opera, un rapporto complicato che non si risolve in una catarsi e che ne enfatizza l’aspetto drammatico. Lukič ci inserisce aspetti autobiografici (non a caso anche Vadym, come l’autore, viene da Užhorod). Se la catarsi non avviene all’interno del film, è il film stesso che sembra avere un valore catartico, o perlomeno terapeutico ed introspettivo per il suo regista. A tal proposito è lecita la comparazione con il suo secondo lungometraggio, Luxembourg, Luxembourg, nel quale invece egli esplora il rapporto con il padre, così da formare quasi un dittico con Moï Dumky Tychi. Le due opere non sono solo accomunate dai due argomenti complementari, dalla persistente presenza della contrapposizione tematica tra oriente ed occidente, il ritorno della comicità legata alla corporatura – qui invece espressa in gag legati alla bassa statura dei due gemelli protagonisti – ma anche da vari dettagli comuni: entrambi i protagonisti hanno problemi medici, entrambi sono incompresi dalla propria società, entrambi soccombono all’inevitabilità degli eventi, seppur in maniera opposta.

Proprio questo è il tema più centrale di Moï Dumky Tychi: l’inevitabilità. Il tema viene introdotto da un odontoiatra durante una visita dentistica ad inizio film – riguardo alla sicura rovina dei denti se non trattati –, ma si riscontra implicitamente già nel prologo, che presenta un evento che precede di poco una fatale disfatta militare, come anche il concatenarsi degli eventi che nel terzo atto porta Vadym verso un epilogo da lui non desiderato. Il fatalismo è ciò che rende amara la comicità di Lukič, l’ineluttabilità dell’esistenza umana che deve fare i conti con fattori esterni che la modellano continuamente.