Il diario segreto sentimentale di Miron Białoszewski

Giulio Scremin

 

Miron Białoszewski (1922-1983), noto al pubblico italiano ed internazionale per il suo Pamiętnik z powstania warszawskiego (“Memorie dell’insurrezione di Varsavia”, 1970), racconto in prima persona dei sessantadue giorni dell’insurrezione della capitale polacca contro la dominazione nazista, è stato uno dei principali poeti polacchi del Secondo Dopoguerra, nonché drammaturgo e attore teatrale.

Miron Białoszewski (primo da sinistra in basso) con Stanisław Swen Czachorowski e compagni di studio durante l’occupazione (1942)

La prosa di Białoszewski riprende in larga parte i temi e le forme della sua poesia. Tutta la sua prosa, a cominciare dal Pamiętnik, è caratterizzata da un linguaggio volutamente trascurato, quotidiano, che sembra riprendere le forme e gli idiomi tipici del parlato, quasi come se riportasse fedelmente i discorsi ascoltati o i propri ragionamenti interiori. Secondo Silvano De Fanti, in prosa come in poesia, Białoszewski mette al centro del suo universo “tutto ciò che si trova a portata di mano”: gli spazi, gli oggetti privati, le persone vicine. Non è un caso che tutte le sue opere in prosa sono a carattere autobiografico e spesso assumono la forma di diario, e che l’ultima sua fatica, pubblicata postuma quasi quarant’anni dopo la sua morte, sia il suo “diario segreto”: il Tajny dziennik (“Diario segreto”, 2012), risultato di appunti, memorie e racconti improvvisati davanti a un registratore, raccolta di tutta la vita dell’autore, di tutte le sue “avventure”, dove per avventure l’autore stesso intende relazioni sessuali occasionali con uomini. 

Ma se l’intera prosa di Białoszewski dopo il Pamiętnik z powstania warszawskiego, compreso lo stesso Pamiętnik, aveva assunto la forma di diario, di raccolta di testimonianze e memorie proprie e di altri, a che scopo dunque un Tajny dziennik? Nella prefazione al saggio Człowiek Miron (“L’uomo Miron”, 2012), pubblicato in contemporanea con il dziennik, il critico e biografo dell’autore Tadeusz Sobolewski fornisce la risposta: “Se fosse vissuto a Parigi o a New York, nessuno gli avrebbe chiesto con chi andasse a letto, a che ora si alzasse o come si vestisse. Lui (Miron) però viveva nella Varsavia della PRL”. I fatti personali raccontati da Białoszewski sono infatti particolarmente intimi e “scomodi” per l’ambiente estremamente conformista della Repubblica Popolare di Polonia. Soprattutto i passaggi in cui racconta senza censure la sua “educazione sentimentale” e le sue “avventure” risultano controversi persino nella Polonia di oggi. La sua omosessualità non trova spazio nei manuali scolastici e viene tenuta nascosta nelle biografie, nonostante l’autore non ne abbia mai fatto segreto, come testimoniato dalla sua produzione poetica.

Nel racconto che porta la data della sera di mercoledì 19 maggio 1982, l’autore ripercorre lo storico dei suoi rapporti d’amicizia e sentimentali, a cominciare dalla scoperta della sua omosessualità. L’adolescente Miron comincia ad avere “avventure” con uomini, spesso adulti, a un’età molto precoce. All’inizio, quando aveva quindici o sedici anni, considerava questa sua attrazione verso gli uomini come un qualcosa di passeggero, ma col tempo arriva ad accettarsi per quello che è. Quindi presenta a uno a uno in elenco tutti gli uomini della sua vita: Zdzisio S., la sua prima cotta tra i banchi di scuola; Stanisław “Swen” Czachorowski, poeta e attore, che compare anche nel Pamiętnik, il suo “primo vero amico”; lo “scandaloso e attraente” Ludwik e ancora Janek di Częstochowa, la sua prima relazione seria; Leszek Soliński che sarà poi il suo compagno di vita; Lech Emfazy Stefański e molti altri, fino all’ultima, drammatica relazione con Adam. Tutto raccontato per filo e per segno, poiché l’autore, per sua stessa ammissione, “non vuole mezze verità”.

Il brano scelto, tratto dal Tajny dziennik, è estratto dall’ Antologia polskiej literatury queer (“Antologia della letteratura queer polacca”, 2021) a cura di Alessandro Amenta, Tomasz Kaliściak, e Błażej Warkocki.

Miron Białoszewski nel 1960

 

Non voglio mezze verità

da Miron Białoszewski, Tajny Dziennik

Mercoledì 19 maggio 1982, sera.

Ho marinato la scuola, per giunta senza essere scoperto, soltanto una volta. Con un amico, giusto per provare. Abbiamo preso il sole sul prato a Służewiec, vicino alla fermata del tram. Prendere il sole mi ha sempre annoiato. Questa fuga era noiosa e bisognava fare qualcosa, il che mi metteva ansia. Preferivo impiegare la mia clandestinità nella scrittura di romanzetti e racconti semisegreti, commediole scolastiche. E in precocissime avventure sessuali. Queste ultime sono andate avanti in segreto per molti anni, le mie avventure sessuali con uomini. Trattavo i miei bisogni omosessuali come qualcosa di passeggero, che forse un giorno avrei normalizzato. A quindici o sedici anni mi chiedevo quando. Forse passerà da un giorno all’altro? No. Pertanto bisognava accettarsi così come si è. Stabilito ciò, ho smesso di turbarmi e ho continuato le mie avventure con la consapevolezza che ero fatto così. Tutti i vari epiteti e nomignoli che si sentono su questi gusti non mi preoccupavano particolarmente. In questo modo ho formato la mia testardaggine e la mia impermeabilità. Nel sesso e nella scrittura. Non preoccupandomi della critica o del riconoscimento altrui. È stata un’ottima ed efficace autoformazione.

Mettevo alla prova l’intelligenza di mamma con firme false, caramelle e uscite con gli amici. Ora, la mamma sospettava di qualcosa. Il che non mi preoccupava troppo. Non sospettava che in città frequentassi uomini adulti.

Mi lasciai prendere inutilmente dalle emozioni. Un mio compagno di scuola, Zdzisio S., mi aveva provocato più e più volte a interessarmi a lui. Non avevo il coraggio di andare fino in fondo. Nelle avventure ci andavo con gli adulti, con Zdzisio mi comportavo in modo romantico. Lo tenevo per mano, gli tiravo i capelli. Qualche anno dopo cercai di ottenere di più, ma le resistenze crebbero. Riuscii a superare queste resistenze, ma il costo fu troppo elevato. A volte Zdzisio si arrendeva. Si era interessato a una certa signorina, questo già all’inizio dell’occupazione. Alla fine, rinunciai a lui. Mi fu d’aiuto l’amicizia improvvisa con Swen, ricca ma priva di erotismo, per lo meno da parte mia. Sembrava che anche nei rapporti di amicizia ci fossero drammi. Non avevo fratelli e avevo desiderato a lungo una grande amicizia, le amicizie prima di Swen erano state parziali, incomplete. Con lui per la prima volta c’era una sincerità completa, uguali gusti omosessuali e la stessa passione per la scrittura e per l’arte. Tutto ciò aveva da subito riempito la mia vita. Non c’era quindi bisogno di amore. Bastavano le avventure e avere qualcuno con cui parlarne. Conobbi Ludwik, Staszek Prószyński, anche loro parte della comunità omosessuale, ma di nuovo privi di erotismo, per lo meno da parte mia. Ludwik aveva tredici anni più di me. Le sue opinioni mi scandalizzavano molto ma allo stesso tempo mi attraevano. Ma gli dedicavo poco tempo. Passavo molte ore tutti i giorni in compagnia di Swen.

Avevamo anche altri amici del nostro ambiente, il che mi offriva molta libertà mentale e maturità. Grazie alle avventure riuscivo ad intrattenere conversazioni con interessanti persone più grandi di me. Persone con esperienza, dall’umorismo pungente e dall’acuta sagacia. Spesso artisti.

Questi salti di età, censo e frequentazioni erano come attraversare la strada in diagonale. Erano come una scuola per scorciatoie.

Dopo la guerra arrivò il tempo di parlare di me ai miei genitori. Dovevano accettare la cosa. E poi agli amici non di quel tipo e ai conoscenti.

La mia prima relazione sentimentale seria, con Janek di Częstochowa, iniziò subito prima dell’insurrezione. Dopo l’insurrezione Janek mi venne a prendere a Oppeln e organizzò per me e per mio padre la fuga clandestina a Częstochowa.

Dal maggio 1945 abbiamo abitato insieme a Varsavia. I rapporti tra mio padre e Janek si erano fatti ostili. Mio padre era un faccendiere di un certo livello, quasi un idealista. Janek aveva un debole per la frode più primitiva. Col tempo imparò, gli vennero delle idee e riuscì a realizzarle. Raggirò un suo amico per far sì che, con la sua vista corta, stesse dietro Janek alla commisione militare. In questo modo Janek fu congedato, indossava gli occhiali come copertura, glieli avevano imposti. Io fui in qualche modo costretto a dare al posto suo l’esame di ginnasio, da privatista. Con non poca fatica, ci riuscii. Col diploma Janek si iscrisse all’Accademia di arte drammatica. Secondo me non aveva un talento speciale, né presenza scenica. Ma imparò. Arrivò in teatro, dopotutto aveva recitato per tutta la vita. Il suo motto era “attore secondario di provincia, purché attore”.

Negli anni successivi la sua vita si contorse. Mi tradì. Sapeva mentire bene. Non davo peso ai tradimenti più piccoli, ma quelli più grossi mi mandavano in bestia. Non immediatamente. Quanto ho sopportato! Finché la fatica non superò la volontà. Ruppi con lui bruscamente e mi sentii subito libero. Persino stordito. Com’è bello non essere geloso, non dover tenere d’occhio qualcuno, non andargli dietro. La mente era libera ed ero pronto ad aprirmi al mondo. Avventure, scrittura, amicizie. Finché non incontrai Leszek. Un impegno di moltissimi anni. E infine un’altra rivoluzione improvvisa. Mi gettai nell’amicizia con Ludwik e l’amore per Leszek si trasformò in una grande amicizia. E così fino ad ora. Con ostacoli. Perché entrambe queste amicizie si rivelarono piene di difficoltà e benefici. Nel frattempo arrivò inoltre la proficua amicizia con Lech Emfazy, che riempì molti anni della mia vita. E direi principalmente in senso buono. Non sarebbe potuto capitare niente di più difficile e niente di meglio.

Capitare. A caso. Anche se questa casualità aveva richiesto cure e trattamenti. C’erano attriti, ambizioni, conseguenze reciproche. Questioni di teatro, scrittura, pittura.

La mia terza relazione romantica e di convivenza fu con Adam. Noiosa, drammatica. Adam aveva un’intelligenza brillante, con momenti di genialità. Ma beveva. Mi stancai di lui in modo atroce. Alla fine fuggii. Viveva con la madre a Breslavia. Alla fine. La madre pensava che l’avrebbero salvato, anche se era sopraffatta da cattivi presentimenti e cattive esperienze. Adam tentò varie volte il suicidio. L’ultimo tentativo, con sonnifero e gas, ebbe successo. Successe al di fuori di me, non ne sapevo nulla. Anche se quando lasciai Adam ero malconcio al punto da non sentirmi nemmeno abbattuto. Mi sentivo come un evaso che è riuscito a scappare. Qualcuno mi scrisse della morte di Adam e Leszek, come al suo solito, guardò la mia posta. Aprì la lettera, la lesse e mantenne il segreto. Solo un anno dopo mi disse la verità. Pensava che fosse necessario poiché sia noi, sia Ludwik, sia tutti gli altri nostri amici letterati fummo convocati per essere interrogati.

La morte di Adam l’avevo intuita. Leszek mi implorò di non scrivere ad Adam, perché era assolutamente inappropriato. Una volta mi chiese di lui al passato e lì mi alzai subito in piedi. Non credevo alle mie orecchie. Quando poi gli chiesi perché avesse parlato di Adam al passato, Leszek disse che fu una cosa involontaria. La notizia della morte arrivò dalla cognata di Roma Oliwowa. Questa cognata viveva a Breslavia, andava a scuola con Adam, si ricordavano l’un l’altra da Otwock, quando insieme ad Adam ero andato a Oliwa. Di solito Adam preferiva aspettare tra i pini, ma qualche volta stava con me nella casa di Roma e Witek. Nel periodo in cui stavo capendo che Adam non stava bene, feci a Roma questa domanda, mentre lei mi dava le spalle intenta a lavare i piatti in cucina.

“Hai saputo qualcosa da tua cognata? Come sta Adam?”

Roma smise di lavare, le tremarono le mani. Rispose solo dopo qualche istante.

“No.”

Poi ammise che si era sentita in un grande imbarazzo. E io le dissi:

“Beh, ti ho facilitato la cosa. Te l’ho chiesto mentre eri di spalle e stavi lavando i piatti.”

 Reprimere i sentimenti per Adam mentre era ancora in vita. Questa fu un’altra grande liberazione. Calcolai che, considerando l’età, questa sarebbe stata la mia ultima relazione seria. Non potevo permettermene altre, troppa fatica. Per cosa, poi? Molto meglio le avventure in libertà. L’amore ha delle pretese, consuma le forze. Adam morì nel 1966.

So di ripetere alcune cose. Ma in altre ambientazioni, in luoghi remoti. Ma il testimone della mia vita, il lettore postumo, certamente confonde le belle esperienze, i nomi, le date.

Perché un tale testimone debba esistere non lo so di preciso. Non so bene perché scrivo tutto ciò. Mi sono lasciato prendere dallo slancio. Non voglio mezze verità.

Bibliografia:

Miron Białoszewski, Tajny dziennik, Kraków, Wydawnictwo Znak, 2012, in Alessandro Amenta, Tomasz Kaliściak, Błażej Warkocki (a cura di), Dezorientacje. Antologia polskiej literatury queer, Warszawa, Wydawnictwo Krytyka Polityczna, 2021, pp. 468-471.

Miron Białoszewski, Memorie dell’insurrezione di Varsavia, Milano, Adelphi, 2021(trad. L. Bernardini).

Silvano De Fanti, Dal 1956 al nuovo secolo, par. 2.2. “La prosa della memoria”, in Luigi Marinelli (a cura di), Storia della letteratura polacca, Torino, Einaudi, 2004, p. 465.

Sitografia:

Tadeusz Sobolewski, introduzione a Człowiek Miron, Kraków, Wydawnictwo Znak, 2012. https://culture.pl/pl/dzielo/tadeusz-sobolewski-czlowiek-miron. (ultima consultazione: 10/06/2021)

Apparato iconografico:

Immagine di copertina: https://cdn.zendalibros.com/wp-content/uploads/bialoszewski.jpg

Immagine 1:

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Miron_Bia%C5%82oszewski_Stanis%C5%82aw_Swen_Czachrowski_1942.jpg

Immagine 2: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Miron_Bia%C5%82oszewski_1960.jpg