Certi ragazzi, certe ragazze: note queer dalla Jugoslavia

Marco Jakovljević

 

Certi ragazzi…:

Dalla prima metà degli anni Settanta in Jugoslavia si assiste ad una vera e propria rivoluzione culturale. La gioventù, stanca dei dogmi di partito e sempre più apolitica e indifferente riguardo ai miti e ai temi imposti dal regime socialista fin dalla sua salita al potere, è in cerca di nuovi stimoli, di nuovi modi per divertirsi e, soprattutto, per esprimere i propri sentimenti, la propria rabbia o semplicemente i propri pensieri riguardo un sistema indubbiamente dominato da una classe politica ormai vecchia e ancora ancorata al passato. Finito il tempo dei film sulla guerra partigiana, delle brigate di lavoro volontario giovanili, dell’interminabile glorificazione della Jugoslavia quale esempio unico nel Mondo, socialista e non, nel paese balcanico, per citare la canzone Kad si mlad (“Quando sei giovane”) del gruppo croato Film incisa nel 1980, “adesso è il momento di agire in città”. Nel 1974 nascono i Bijelo Dugme, gruppo sarajevese destinato a diventare il più popolare nella scena musicale jugoslava, e portano un rock nuovo, ben prodotto, suonato da musicisti capaci e navigati. I Bijelo Dugme rappresentano una spaccatura nella cultura jugoslava dell’epoca. Se prima la scena musicale jugoslava era dominata più che altro dal cantautorato, adesso inizia a farsi strada un interesse sempre più forte per il rock. Tuttavia, i Bijelo Dugme, pur essendo rivoluzionari dal lato strumentale della loro produzione, non portano temi nuovi, non hanno ribellione nei loro testi. I critici musicali zagabresi etichettano la musica dei Bijelo Dugme come pastirski rock (rock da pastori) perché i temi e le ambientazioni sono sempre gli stessi: un piccolo villaggio o un quartiere isolato di una qualsiasi città e un amore non ricambiato o doloroso oppure allusioni alla sfera sessuale del tutto superficiali. La vera svolta avviene tra il 1976 e il 1977. In Jugoslavia arriva il punk, che dà il via a un movimento culturale e sociale conosciuto come Novi Val, “Nuova Onda”. A Fiume nascono, nel 1976, i Paraf, succeduti l’anno dopo dai lubianesi Pankrti. Entrambi i gruppi rappresentano una novità vera e propria, più grande rispetto a quella portata dai Bijelo Dugme. Suoni sporchi e duri si accompagnano a tematiche di denuncia e alla crudezza del linguaggio. A loro si uniscono dei ragazzini alle prime armi, destinati a loro volta a diventare popolarissimi, soprattutto nella loro nativa Croazia, che a malapena, per loro stessa ammissione, sanno suonare gli strumenti che portano in mano: i Prljavo Kazalište. Come già detto, i membri del gruppo non sono altro che ragazzini, ma proprio in questo sta la formula del loro successo. Nei temi da loro affrontati si possono identificare i loro coetanei, perché per la prima volta nelle loro canzoni si fa ironia sul crescere durante il socialismo, si parla di alcol, delle preoccupazioni che il Mondo della Guerra fredda dava, ma anche e soprattutto di sessualità. È nel 1979, all’apice della loro ascesa, che i Prljavci fanno uscire una canzone destinata a fare storia come la prima canzone in Jugoslavia a parlare di omosessualità: Neki dječaci (“Certi ragazzi”). 

Semplice e diretta, energica e dolorosa, Neki dječaci vede il cantante Davorin Bogović immedesimarsi in un ragazzo omosessuale che si rivolge al suo amato, rimproverandogli di nascondere la loro storia e, anzi, di vessarlo insieme alla sua compagnia di amici, ma confessandogli allo stesso tempo il proprio amore.

Ti ideš sa svojim društvom
prelaziš preko ulice
upireš prst u mene, smiješ se

Znaš da me to strašno boli
jer ako te netko voli,
pa to sam ja!

Ti ideš sa svojim muškim društvom
i loviš prljave žene,
a ja te čekam vjerno kao pas

Znam da me praviš ljubomornim
jer koliko si mi utta
na klupi u parku znao reći

Ja sam za slobodnu mušku ljubav!
Ja sam za slobodnu mušku ljubav!
Ja sam za slobodnu mušku ljubav!
Ja sam za slobodnu ljubav!

Vai [in giro, N.d.T .] con la tua compagnia
attraversi la via
punti il dito verso di me, ridi

Sai che ciò mi fa un male terribile
perché se c’è qualcuno che ti ama,
beh, quello sono io!

Vai in giro con i tuoi amici maschi
vai a caccia di donne sporche
e io ti aspetto fedelmente come un cane

So che mi rendi geloso
perché quante volte
sulla panchina al parco mi hai detto:

Io sono per l’amore libero tra uomini!
Io sono per l’amore libero tra uomini!
Io sono per l’amore libero tra uomini!
Io sono per l’amore libero!

Col ritornello finale il cantante (e quindi il gruppo intero) esprime la propria visione riguardo la sessualità e la libertà che in essa deve esserci. La frase che l’amante del protagonista pronunciava riacquista significato (dopo averlo perso a causa del comportamento ambiguo di chi l’ha pronunciata) e diventa un motto. Bogović prende, al posto dell’amante senza nome, coraggio davanti ad un intero paese e grida il suo supporto all’amore libero.

Altrettanto famosa, ma diversa nel messaggio, è Retko te viđam sa devojkama (“Raramente ti vedo con le ragazze”) dei belgradesi Idoli, uscita nel 1981. Come Neki dječaci, questa canzone vede due persone (una eterosessuale e una omosessuale) parlare tra di loro. Quel che esce fuori non è, però, un inno all’amore libero, ma un grottesco e subdolo detto-non detto tra una persona che tenta di nascondere il proprio orientamento sessuale e un’altra che implicitamente la minaccia di far sapere a tutti il suo segreto. 

Retko te viđam sa devojkama
a viđam te svaki dan
retko te viđam sa devojkama
ipak nikad nisi sam

Oko tebe su dečaci
fini su, al.’ ipak znaj
glasine se brzo šire
a kad puknu tu je kraj!

Retko me viđaš sa devojkama
a viđaš me svaki dan
retko me viđaš sa devojkama
ipak nikad nisam sam

Devojke su meni drage
fine su, al.’ ipak znaj
snalazim se teško s njima
jedan susret, tu je kraj!

Veruj mi, veruj mi!

Raramente ti vedo con le ragazze
e ti vedo tutti i giorni
raramente ti vedo con le ragazze
e comunque non sei mai solo

Intorno a te ci sono dei ragazzi
sono carini, ma comunque sappi:
le voci girano velocemente
basta un attimo ed è la fine!

Raramente mi vedi con le ragazze
e mi vedi ogni giorno
raramente mi vedi con le ragazze
e comunque non son mai solo

Le ragazze mi sono care
sono carine, ma comunque sai,
con loro non riesco a stare
un incontro ed è la fine!

Credimi! Credimi!

L’intento degli Idoli è quello di mettere in luce una mentalità gretta e chiusa, che, nonostante il progresso sociale della Jugoslavia dell’epoca, è ancora presente, perché prevale ancora una mentalità fortemente patriarcale, tipica di un contesto fino a poco tempo prima prettamente rurale, agricolo, isolato dal mondo esterno.

 

… Certe ragazze:

Similmente a quanto prodotto dai Prljavo Kazalište e dagli Idoli, un altro gruppo, stavolta lubianese, nella cornice di una produzione basata sullo scandalo e sulla provocazione (a partire dal nome stesso della band), si dedica – anche più dei propri simili zagabresi o belgradesi – a tematiche riguardanti la sessualità: i Videosex. L’amore narrato dai Videosex e dalla suadente voce della all’epoca giovanissima Anja Rupel è la celebrazione delle sensazioni mentali e corporee, è erotismo, è libertà, ma in certi casi anche sofferenza. Un esempio è la canzone Ana:

Ana, ti dobro znaš,
to što mi radiš je zabranjeno kod nas
Ti dobro znaš,
to što mi radiš je zabranjeno za nas

Ana, tu sai bene
che quel mi fai è vietato qui da noi
Tu sai bene
che quel che mi fai è vietato per noi

A questa consapevolezza di non poter vivere l’amore saffico con libertà, si unisce quella della voce narrante di essere vittima, ma anche complice – vedasi le parole citate poc’anzi – della chiusura mentale del contesto di appartenenza e quindi di essere detestata dalla propria amante, perché impotente sembra accettare lo stato delle cose:

Ana, ja dobro znam
kad si sama ti mrziš
[…]”

Ana, io so bene
che quando sei sola mi odi
[…]”

 

All’ombra di erbe esotiche:

I Videosex parlano non solo di omosessualità. U sjeni exotičnih trava (“All’ombra di erbe esotiche”) è uno dei primi esempi, in Jugoslavia, di musica affrontante la tematica transgender. La provocante Anja Rupel, stavolta, si rivolge ad un uomo che ama vestirsi con abiti femminili, non solo per gusto personale o per fini erotici, ma per trovare e dunque esprimere al massimo il proprio lato femminile:

Kad obućeš njeno rublje
sreća se nasmjehne
zaurliću sirene tijela
i ženu tražiš, ženu
[…]”

Quando indossi il suo [di lei, N.d.T.] intimo
la felicità ti sorride
squillano le sirene del tuo corpo
e cerchi una donna, la donna
[che è in te, N.d.T.] […]”

La voce narrante empatizza, sì, con questa persona e con la sua ricerca intima, personale del proprio essere, ma allo stesso tempo ammonisce, perché in privato è lecito sognare, ma la realtà è un’altra:

Ipak, ipak se sakrij,
jer ti si on, jer ti si o-on!

E comunque, nasconditi
perché tu sei un Lui, sei un Lui!

Non è permesso cercare sé stessi in quella Jugoslavia degli anni Ottanta, persino nell’avanzata e civile Slovenia, bisogna nascondersi e mantenere la facciata, perché l’uomo è uomo, la donna è donna. Con una voce apparentemente frivola Anja Rupel critica e scimmiotta, con l’intento di prenderla in giro, la società che la circonda.

Hello night person, Red Ban on the air, you’re listening to the radio ‘W SEX’, are you ready to enjoy your folk sex music written by Vuk Karadžić?”. Così inizia, invece, la canzone Sve su seke jebene (“Tutte le ragazze sono fottute”) del re del cross-dressing, della provocazione tutta transgender (pur essendo, in realtà, una sola provocazione e non la vera identità del soggetto in questione) e dello scandalo: Oliver Mandić. Particolare, talentuoso, dalla voce sensuale e accattivante, il cantante serbo è stato il primo in Jugoslavia, assieme al regista Stanko Crnobrnja, a portare in televisione uno show, Beograd noću (“Belgrado di notte”), dove a farla da padrone erano lo stile androgino dello stesso Mandić e del resto del cast, la libertà, la frivolezza, il tono provocatorio, ma anche la sensibilità nel parlare di sesso e sessualità in generale, il tutto accompagnato da giochi di colori e luce, dagli sgargianti vestiti dei partecipanti e da effetti video all’avanguardia per l’epoca. Altro scopo dello show era quello di sdoganare l’idea secondo la quale il sesso sia solo un mezzo per procreare. Diverse furono le reazioni, più che altro di scandalo. In generale, però, Mandić fu apprezzatissimo dalla gioventù dell’epoca, per la sua abilità musicale e, soprattutto, per la novità che portò nel campo delle arti e della cultura, per il suo coraggio, per il suo modo senza dubbio originale di provocare. 

L’esperimento di Mandić non si limita al citato show televisivo, perché anche le sue canzoni (tra cui quella citata poco sopra) prendono miti (come la produzione del celeberrimo letterato e linguista serbo Vuk Karadžić), convenzioni e canoni e li ribaltano completamente. La stessa Sve su seke jebene riprende il titolo della poesia Sve su seke jebane, mentre all’interno di essa vengono citate Crven Ban (“Il Bano rosso”, dove “bano” sta ad indicare un titolo equivalente a quello di un governatore di provincia), “[…] Crven Ban, koji jebe svaki dan”, “[…] Il Bano rosso che fotte ogni giorno”, e, infine, Djevojci (“Ad una ragazza”). Le parole di quest’ultima (“[…] kad ti vidim sise tvoje/ dreše mi se gaće moje”, “[…] quando vedo le tette tue/ fremono i pantaloni miei”) vengono direttamente citate alla fine della canzone, alternate a respiri profondi e ad un esplicito ansimare che l’ascoltatore, nonostante tutto, non si aspetta. 

Con Mandić o i Videosex non si esauriscono gli esempi di come furono affrontate in Jugoslavia le tematiche queer, ma bastano per comprendere un fenomeno del tutto particolare per il contesto di appartenenza. Complice la poca durezza del regime dell’epoca, impegnato con problemi ben più gravi, come ad esempio la poca unità nel partito e nel paese e l’instabilità economica, in Jugoslavia, paradossalmente, fu più facile affrontare tematiche come l’omosessualità, il cross-dressing o i transgender. In seguito al disfacimento della federazione, alle guerre e quindi all’ondata di nazionalismo e alla riscoperta dell’identità religiosa di alcuni dei paesi (gli esempi più paradigmatici sono il cattolicesimo in Croazia, il cristianesimo ortodosso in Serbia e l’islam in Bosnia-Erzegovina), la situazione è cambiata. Il ritorno a valori ancestrali dimenticati da tempo ha portato la società a fare dei passi indietro considerevoli, perché non solo i temi queer sono praticamente un taboo che crea uno scalpore che durante la Jugoslavia socialista non c’era (o comunque, non era così estremo), ma addirittura c’è una glorificazione di certi ideali e di un immaginario che, visti da fuori, non sono nient’altro che primitivi. Affrontare temi queer significa rischiare di offendere la buona famiglia cristiana o musulmana, nonché le autorità religiose, che non mancano mai di intervenire negli affari della società come se Croazia, Serbia, Bosnia o Slovenia fossero teocrazie. Per quanto l’esperienza jugoslava sia stata colma di errori e per quanto la società fosse lontana dall’uscire dal suo stato di arretratezza socioculturale, era presente, per lo meno tra i più giovani, la consapevolezza che nell’arte tutto fosse lecito e, soprattutto, che non c’era modo migliore se non l’usare l’arte, in qualsiasi delle sue espressioni, per causare scandalo, per provocare, ma anche per sensibilizzare. Anja Rupel non intima al signore sconosciuto di stare attento perché è lui ad esser sbagliato, ma perché sbagliata è la concezione rigida che la società ha della sessualità, che obbliga chi vuole scoprire apprezzare il proprio vero Io a nascondersi “all’ombra di erbe esotiche”. Lo stesso discorso vale per gli Idoli, che sembrano dire agli ascoltatori che essi non sono tanti diversi da quell’interlocutore sconosciuto che stuzzica, guarda dall’alto in basso e che non vede l’ora, nella sua ignoranza, nella sua arretratezza, di scagliare il colpo finale e divertirsi alle spese di una persona, che, alla fine dei conti, è un Lui e non gli è permesso essere altro.

Apparato iconografico:

Immagine di copertina:
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Immagine 1:

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