“Deserte visioni” di Milan Nápravník, variazioni lirico-saggistiche sulle sorti della contemporaneità

Martina Mecco

Deserte visioni (in ceco Příznaky pouště, 2001) è un’opera di Milan Nápravník pubblicata lo scorso anno dalla casa editrice Vocifuoriscena all’interno della collana “i Ciottoli”. Grazie alla traduzione di Antonio Parente si aggiunge così un altro tassello alla ricezione italiana dell’autore, di cui sono già state edite la raccolta di saggi La magia del Surrealismo e la raccolta di poesie Il nido del buio presso la casa editrice Mimesis. Ad arricchire l’edizione, inoltre, è presente una prefazione di Ladislav Fanta.

Link al libro: https://www.vocifuoriscena.it/catalogo/titoli-deserte_visioni.html 

Deserte visioni - Milan Nápravník - Libro - Vocifuoriscena - I ciottoli | IBS


Milan Nápravník (1931-2017) è autore poliedrico. A lui si deve non solo la realizzazione di opere poetiche e in prosa ma, con la sua attività, ha indagato anche il campo delle arti visive, in particolare la pittura, la scultura e la fotografia. La vita di Nápravník si divide, come nel caso di molti altri intellettuali cechi della sua generazione, in due fasi, il cui spartiacque corrisponde all’invasione dell’allora capitale cecoslovacca da parte delle truppe del Patto di Varsavia, evento che decretò la fine della Primavera di Praga e l’inizio dell’occupazione sovietica. Gli anni trascorsi a Praga si rivelano fondamentali in riferimento a tutta la sua produzione successiva, in particolare la sua attiva partecipazione – non solo da un punto di vista creativo ma anche teorico – al gruppo surrealista fondato da Vratislav Effenberg nel secondo dopoguerra. All’indomani della fine del Pražské jaro, Nápravník decide di emigrare prima a Berlino Ovest e, successivamente, a Parigi, luogo prescelto anche da altri intellettuali cechi che avevano aderito a loro volta al Surrealismo, come Věra Linhartová o Petr Král.

Definire un’opera come Deserte visioni non è un’operazione semplice, soprattutto per la forma in cui questa si presenta, ovvero come un insieme di brevi prose tra loro sconnesse, disposte senza un ordine prestabilito. A questo proposito, in una lettera al traduttore riportata in apertura al volume Nápravník confessa di aver lui stesso disposto i vari paragrafi secondo un ordine del tutto casuale. La costruzione dell’opera si regge, dunque, su un principio di casualità, dove a dominare è l’assenza di ogni principio logico:

Intende scrivere alcune note sulla vita, che non siano collegate a nessun tipo di concomitanza, pur se insignificante. Non vuole creare invano l’illusione di una sequenza logica di eventi, come cercano di fare da quasi due secoli i romanzieri, i quali credono irremovibilmente […] in un tipo di causalità naturale dei fenomeni del mondo.” (p. 99)

Nápravník muove così una critica diretta alla letteratura intesa in senso tradizionale, individuandone l’errore principale nel rifiuto di costruire trame dominate dal principio di casualità. Il procedimento messo in atto dall’autore in Deserte visioni è, infatti, basato sulla progressiva decostruzione della tradizionale struttura del romanzo sia da un punto di vista tematico che stilistico. Per quanto riguarda, infatti, la dimensione tematica è possibile osservare come essa sia frastagliata e dominata da impulsi differenti. Tuttavia, sarebbe erroneo sostenere in questo modo che l’opera manchi, in maniera assoluta, di una sua organicità di fondo. Attraverso una prosa profondamente sperimentale Nápravník tenta di indagare i paradigmi concettuali della contemporaneità, cogliendola tanto da un punto di vista totalizzante, quanto nelle sue sfumature. Problematizzare la contemporaneità e muovere una critica ad essa significa porsi in un atteggiamento critico nei confronti di quegli automatismi che animano la quotidianità. L’autore realizza quest’indagine attraverso i procedimenti più disparati. Si trovano infatti esempi riusciti di automatismo psichico, situazioni in cui il soggetto – che varia in continuazione, l’io è alternativamente narrante e narrato, singolo e collettivo – viene immerso in una dimensione onirica non sempre conscia. Questa critica alla dimensione del reale è possibile in quanto Nápravník è ben conscio di due aspetti. In prima battuta, il fatto che l’uomo si trovi a vivere una vita-artefatto e, in seconda battuta, la consapevolezza del fatto che non tutte le percezioni a cui egli è sottoposto siano realmente tangibili. Il soggetto cangiante di queste brevi prose fuoriesce dal reale attraverso quegli espedienti che si sono citati pocanzi, una fuoriuscita indispensabile al raggiungimento di una comprensione – o a una parvenza di quest’ultima. A legare le singole prose concorre anche il riproporsi di alcune immagini, quali quella della donna – le cui rappresentazioni sfociano quasi sempre in un erotismo ricco di elementi particolarmente forti – o quella del deserto:

I travestimenti desertici sono improvvisi, lunghi, delicati e perigliosi. Quando il venti cala e l’aria si alleggerisce delle nuvole di polvere opaca, nella notte selenica dalla sabbia sporge qua e là mezza statua capovolta, un curioso pezzo di un bastone cavo, sprofondato di scorcio nel terreno, guardiano dimenticato.” (p. 53)

A popolare Deserte visioni sono tanto i riferimenti a questioni esoteriche e quanto esseri mostruosi che anelano del buio. Lo spalancarsi del mondo onirico nápravníkiano viene enfatizzato dall’inserimento, all’interno dell’edizione, di fotografie scattate dall’autore stesso. Queste immagini, realizzate attraverso uno sfruttamento originale del principio di simmetria, originatno da un soggetto naturale – elementi come alberi o pietre – e lo mutuano, inserendolo così in un nuovo ordine di realtà. L’inanimato prende, in questo modo, vita. Chiara è la tendenza dell’autore a personificare non solo ciò che per natura è immobile, ma anche ciò che non è tangibile, come il silenzio che giace con la schiena sulla sabbia dura, con testa, mano e gambe distese nei cinque punti cardinali come una stella marina. Sogna la notte, la notte più lunga della sua vita.” (p. 85)

Considerando ora lo stile, affascinante è la scelta di impiegare un linguaggio complesso e stratificato – tipico di molti testi surrealisti –, nonché ricco di concetti densi di significati esoterici. Aspetto che rendere ancor più interessante lo sforzo traduttivo di Parente, che è riuscito nel rendere in lingua italiana un testo che racchiude stimoli che sfociano in modo diretto sul piano emozionale. A questo carattere esoterico del linguaggio impiegato da Nápravník si aggiunge il complesso sistema retorico su cui poggia l’opera, ovvero un uso di figure in cui i termini di paragone vengono posti in sei parallelismi a tratti estremi. Inoltre, ciò che colpisce è la natura stessa dei 115 passaggi che si possono leggere in Deserte visioni. Anche da questo punto di vista, infatti, ricondurne la catalogazione ad un unico genere si presenta come un processo riduttivo. A colpire nella lettura è la capacità dell’autore di alternare momenti profondamente lirici ad altri più riflessivi, di impronta quasi saggistica. Proprio in questa compensazione si manifesta un’ulteriore decostruzione della linearità del romanzo, che sfugge dunque in toto alle categorie tradizionali.

In conclusione, è fondamentale chiedersi a cosa tenda la riflessione di Nápravník all’interno di Deserte visioni. Sebbene non sia possibile fornire una risposta univoca al quesito, dalla lettura emerge quella che è una tendenza è sottesa a tutta l’opera. Innanzitutto, nonostante siano presenti molte immagini oniriche o esoteriche il riferimento è, come si è detto, la dimensione del reale. A questo proposito, non mancano anche citazioni dirette di luoghi cari all’autore, come siti parigini o praghesi. La tensione che emerge maggiormente è quella di volersi divincolare dalla condizione di decadenza a cui l’uomo sembra essere condannato, per anelare a una condizione di libertà, che può essere raggiunta solo in corrispondenza di una predisposizione conscia da parte del soggetto stesso. Se il raggiungimento di questa libertà sia davvero possibile non viene svelato. Tuttavia, l’autore indica con sicurezza che l’unico modo per emanciparsi dalla degradazione del contemporaneo è fuoriuscirne. Lo sforzo è dunque quello di indagare la materia dell’esistenza seguendone le continue variazioni, cogliendone le sfumature. In questa ricerca, attuata attraverso lo strumento letterario, Nápravník tiene fede a ciò che egli stesso afferma:

Ogni libro, il cui scopo non è solo quello di essere dilettevole, nel XX secolo dovrebbe essere giustificabile unicamente a patto di una immersione davvero profonda nello stato dell’esistenza.” (p. 301)

Bibliografia:

Anja Tippner, Permanentní avantgarda? Surrealismus v Praze, Academia, Praha, 2014.

Sitografia:

http://vocifuoriscena.blogspot.com/2021/09/antonio-parente-la-traduzione-di.html (ultima consultazione: 8/01/2022)

 

Apparato iconografico:

Immagine di copertina: https://www.galerieubetlemskekaple.cz/static/gallery/katalog-1611/main-2148napravnik-6104.jpg 

Immagine 1: Copertina del libro

Immagine 2: https://www.originalarte.com/images/9e/art-main-9e742a6fd60e75dc558956a0bc274233.jpg