“ASSA”: il fenomeno della Perestrojka

Anna Mangiullo

 

Trascorsi 17 mesi e 7 giorni ecco che l’arca si fermò sulla vetta dei monti Ararat e dopo che il terzo colombo tornò con un ramoscello d’olivo nel becco, Noè spalancò le porte dell’arca, fece un passo sull’erba aprì le mani al cielo e disse ad alta voce ASSA.

‘ASSA’

‘ASSA’

Queste furono le uniche parole portate per noi da tempi remoti, che trasmisero a qualcuno di noi la propria forza e purezza.

Copertina del cd con le colonne sonore di Assa. Autore: Mitja Solov’ev, figlio del regista del film, Sergej Solov’ev

Con queste parole sibilline si apre il film Assa, uscito nelle sale cinematografiche di Mosca nel 1987. Assa apparve per la prima volta al cinema “lacerando la coscienza” di un’intera generazione e diventando, fin da subito, un fenomeno culturale, lo Zeitgeist della Perestrojka, un vero e proprio capolavoro, in quanto unica testimonianza cinematografica di quel periodo, in cui arte e realtà confluiscono insieme. Assa non è semplicemente un film, ma l’espressione artistica propria degli anni Ottanta: essa prende vita e si manifesta sul grande schermo in una ricca composizione intrisa di storia, pittura, musica e letteratura che, come un rizoma, si dirama fino ai meandri estremi della (sub)cultura sovietica e che, per la prima volta nella storia dell’URSS, vedeva la luce in superficie.

Una scena del film: il Ragazzo Bananan e Alika testano The communication Tube (Kommunikacionnaja Truba, il Tubo di comunicazione)

La trama di Assa, di per sé, è la cosa meno importante ma, volendo restare canonici, va detto che Assa è ambientato a Jalta, nella metà degli anni Ottanta. Qui, le vite di un giovane musicista dal nome alquanto stravagante, Bananan (Segej “Afrika” Bugaev), e di una semplice infermiera, Alika (Tatjana Drubič), sono destinate a incrociarsi: prima di partire per Jalta da Odessa, Alika affitta una stanza nell’appartamento di Bananan, incontrato poco prima ad un suo concerto. Bananan è il classico rocker sovietico che ha subìto l’influenza della musica occidentale in seguito alla progressiva apertura culturale verso ovest; Alika, di indole più tranquilla, è fidanzata con un uomo più grande di lei, Andrej Krymov (Stanislav Govoruchin), arricchitosi dalla sua proficua attività di fuorilegge che porta tutt’ora avanti. Essendosi ritrovati successivamente a Jalta, i due giovani iniziano a trascorrere sempre più tempo insieme tanto da alimentare la gelosia e l’ira di Andrej. Quest’ultimo, nel frattempo, incontra in città un suo vecchio amico, Albert, un cantante affetto da nanismo con cui un tempo era solito fare affari. Albert pare essere rimasto in debito con qualcuno e per questo chiede aiuto ad Andrej, che però non è disposto ad aiutare nessuno senza ricevere nulla in cambio. Albert, da parte sua, ha deciso di chiudere completamente con la vita criminale, a tal punto da decidere che forse, in simili circostanze, la soluzione più semplice da prendere è anche quella più estrema: uscire definitivamente di scena. Accanto a questa preoccupazione, Andrej continua a sorvegliare i due giovani, il cui rapporto diventa sempre più intimo, fino a quando non riuscirà più a stare al suo posto: un orecchino fatto a mano, tanto insignificante quanto particolare, sarà la goccia che farà traboccare il vaso. Parallelamente alla storia dei due giovani ambientata nel presente, la narrazione segue un Leitmotiv storico: la narrazione è infatti intervallata dal racconto degli ultimi giorni dello zar Pavel I (1754 – 1801), Assassinato nella notte tra l’11 e il 12 marzo (secondo il calendario giuliano) per una congiura di corte, adombrando, probabilmente, il finale della vicenda dei due giovani.

Al di là delle vicende raccontate, per capire Assa è necessario conoscer bene il contesto artistico culturale che lo ha creato. Infatti, prima ancora di diventare un film, Assa è stato un vero e proprio movimento, nato del tutto spontaneamente a cui presero parte la maggior parte degli artisti del periodo, tanto di Mosca quanto di Leningrado, direttamente o meno.

Il film è intriso di opere d’arte, alcune dichiarate più apertamente, altre invece più celate. La prima cosa che colpisce in Assa è la costante presenza di canzoni, inserite quasi per completare e incorniciare le vicende in un contesto più ampio, lasciando un commento al margine. In tutto il film si possono ascoltare ben otto canzoni diventate quasi tutte iconiche ancora oggi in Russia, tracciando la colonna sonora dei figli della Perestrojka. In virtù anche del fatto che furono quasi tutte composte ed eseguite da alcuni dei gruppi simbolo del rock sovietico come, ad esempio, gli Akvarium, Žanna Aguzarova o i Kino. Altri ancora in Occidente decisamente meno famosi come, ad esempio, il gruppo Va-Bank’’, formatosi nel 1986 e attivo fino alla metà degli anni Duemila, legato inoltre alla figura di Aleksandr Skljar le cui canzoni più famose sono Мarshruty Moskovskye, (“Percorsi Moscoviti”), e Vesna, (“Primavera”). L’idea di Sergej Solov’ev, regista già alquanto noto in patria ma che ottenne definitivamente la fama internazionale proprio grazie ad Assa, era quella di creare un vero e proprio musical condito di elementi da film giallo che avrebbero dovuto ricordare Tirate sul pianista di Francis Ford Coppola, il tutto unito a una straziante storia d’amore “alla Čechov”.

È proprio una delle prime canzoni del film a presentare il protagonista, affidandogli il soprannome: Zdravstvuj, mal’čik Bananan (“Ciao, ragazzo Bananan!”): pare, infatti, che Zdravstvuj, mal’čik Bananan dovesse anche essere il nome originale del film, idea poi abbandonata, dal momento che avrebbe messo troppo in risalto solo un unico personaggio. L’autore di questa canzone era Vladimir Mateckij, che, al tempo, componeva un rock’n’roll piuttosto sui generis per quelli che erano gli standard musicali dell’URSS e che, nel 1983, pubblicò insieme a Jurij Černavskuj l’album Bananovye ostrova (“Le isole di banana”): il nome eclettico di questo disco e il ritmo di un rock’n’roll spontaneo, dal riff incalzante e facilmente assimilabile, ne assicurarono il successo, grazie anche e soprattutto ad Assa.

Accanto alla canzone del “ragazzo Bananan”, un’altra melodia inconfondibile ed emblematica è quella di Gorod zolotoj (“La città dorata”), canzone associata al leader degli Akvarium, Boris Grebenščikov. In effetti, la canzone nel film gli appartiene, in quanto esecutore, ma le origini sono da ricercare in ritmi pseudo-rinascimentali: pare infatti che la melodia si basi su una composizione del liutista e chitarrista Vladimir Vavilov che, nella sua raccolta Suite per liuto: Canzone e Danza propone una serie di composizioni ispirate alle melodie del XVI -XVII secolo, da lui eseguite e registrate. Questa melodia risulta associata a un certo Francesco da Milano, sebbene il vero autore dell’opera fosse lo stesso Vavilov. Inizialmente, il testo di Gorod Zolotoj nasce come una poesia di Anri Volochonskij (1936-2017), poeta che, dagli anni Settanta in poi, visse tra Israele e Germania, dove ha lavorato nella redazione di Radio Svoboda (Radio Liberty), intessendo varie collaborazioni con artisti e poeti (tra questi, ad esempio, celebre quella con Leonid Fëdorov, cantante del gruppo AukcYon). Nel 1972 Volochonskij, insieme ad Aleksej “Chvost” Chvostenko, altra importante figura della scena musicale sovietica, compose una poesia dal titolo Raj (“Il paradiso”):

Над небом голубым eсть город золотой
С прозрачными воротами и с яркою стеной
А в городе том сад всё травы да цветы
Гуляют там животные невиданной красы

Одно как рыжий огнегривый лев
Другое вол преисполненный очей
Третье золотой орёл небесный
Чей так светел взор незабываемый

 А в небе голубом горит одна звезда
Она твоя о Ангел мой она всегда твоя
Кто любит тот любим кто светел тот и свят
Пускай ведет звезда тебя дорогой в дивный сад

Тебя там встретит огнегривый лев
И синий вол преисполненный очей
С ними золотой орёл небесный
Чей так светел взор незабываемый.

Sopra un cielo azzurro c’è una città dorata
Con porte diafane e una stella luminosa.
Vi è un giardino in questa città, con piante e fiori
Ci sono lì animali di una rara bellezza:
 

Un leone dalla criniera infuocata,
Un bue con infiniti occhi;
Con loro vi è una celestiale aquila d’oro,
Il cui sguardo luminoso è indimenticabile.

E nel cielo azzurro arde una stella;
è tua, angelo mio, tua per sempre.
Chi ama è amato, santo è chi splende
che la stella ti conduca nel giardino incantato

Lì troverai un leone dalla criniera infuocata
E un bue azzurro con infiniti occhi;
Insieme a loro ci sarà una celestiale aquila d’oro
Il cui sguardo luminoso è indimenticabile.

А Grebenščikov la canzone piacque a tal punto che nel 1984 decise di inserirla nel suo repertorio, ma con una piccola alterazione nel testo, comportando un cambiamento prospettico non da poco: il paradiso, anziché posizionarlo in alto nel cielo (nad nebom), nella versione proposta da Boris veniva ora a trovarsi qui, sulla terra. Nel film, infatti, viene cantato Pod nebom golubym (“Sotto un cielo azzurro”) ed è questa la versione destinata a fare la storia: la melodia, infatti, risuona nella sequenza del film in cui i due protagonisti salgono sulla funicolare, da cui si osservano gli scorci di una Jalta spoglia e grigia, colorata e animata solo dai primi piani di Tat’jana Drubič, (tra l’altro ai tempi moglie del regista Sergej Solov’ev), e dall’apparizione di qualche guglia: il quadro di due mondi paralleli, quello desiderato rapportato con quello che è realmente, espresso sotto forma di musica, di poesia. Grebenščikov, tra l’altro, avrebbe dovuto ricoprire anche il ruolo di primo protagonista del film, cosa che rifiutò di fare e che portò, di conseguenza, a scegliere Sergej “Afrika” Bugaev.

Quando Sergej si trasferì da Novosibirsk a Leningrado non tardò molto ad inserirsi nell’ambiente artistico del periodo, entrando presto in contatto non solo con Grebenščikov e tutto l’ambiente musicale, ma anche con la cerchia artistica orbitante intorno al pittore Timur Novikov, uno dei massimi esponenti dell’arte non conformativa sovietica, nonché massima figura del gruppo Novye Chudožniki (I nuovi artisti). Fra questi, in particolare, vi era anche il regista Evgenij (Georgevič) Jufit, fondatore del nekrorealizm (necrorealismo), corrente artistica principalmente legata al cinema e nata negli anni ‘80 a Leningrado, che indirizzava la propria ricerca nella rappresentazione dell’uomo come essere dalla natura inevitabilmente caduca, sull’orlo della morte e le cui azioni risultavano necessariamente viziate. Spesso i video del nekrorealizm rappresentavano persone che tentavano il suicidio, l’omicidio o sotto tortura. Il movimento, in generale, voleva essere una critica alla propaganda sovietica che elogiava atteggiamenti di martirio eroico da battaglia eseguito per il bene comune della patria, e una rappresentazione dell’irrazionalità della psiche umana (come avviene, ad esempio, nel corto Verpi Suicida, “I cinghiali del suicidio”, in cui ad azioni crudamente violente si alternando marce di pionieri e parate aeree o, ancora, in Vesna, “La primavera”, il corto più famoso di Evgenij Jufit). Altri lavori di questo regista vengono citati nel film direttamente sotto forma dei sogni di Bananan (raffica di fotogrammi bianchi con pennellate colorate). Inoltre, insieme all’artista Oleg Kotel’nikov, il primo, tra l’altro, a rappresentare la scritta ASSA in un’opera d’arte, il regista Jufit era solito utilizzare la parola Assa anche come slogan personale.

Ad un certo punto iniziò a circolare anche il nome di un certo Gaik Assa, pseudonimo che molti artisti utilizzarono in vece del loro nome ufficiale per firmare le loro tele. Nacque perfino un modo di dire, “fare un’Assa” (ustroit’ assu), ossia creare una situazione che generi un’esplosione d’emozioni, un punk situazionale, senza alcun limite, regola o controllo. Fu proprio questo modo di dire, questo atteggiamento, che di lì a poco fece nascere il vero Garik Assa, che altro non fu che Oleg Kolomijčuk (altrimenti chiamato anche Garik Gorilla), lo stilista per eccellenza degli artisti della Perestrojka, che diede vita allo stile vintage definito mërtvyj razvedčik (agente morto), la cui peculiarità era quella di recuperare oggetti e divise dagli armati dei capi di partito o dalla nomenclatura sovietica per crearne un oggetto di moda.

Proprio in virtù di questa spinta culturale, Assa fu anche il nome della galleria d’arte fondata da Timur Novikov, che divenne un punto di ritrovo della bohemien leningradese, in cui, nello stesso luogo, coesistevano Akvarium, Bravo e il Club degli amici di Majakovskij, una branca del gruppo dei Novye Chudožniki formato da alcuni componenti che si riunivano in maniera disinteressata, orbitanti attorno allo stesso Timur Novikov e a Sergej Kurëchin.

Sergej Kurëchin fu un’altra importante figura che contribuì alla realtà-Assa: musicista polistrumentista e artista eclettico, a lui si deve il merito di aver creato uno dei progetti più originali della Perestrojka: Pop-Mechanika. Pop.Mechanika era, prima di tutto, un happening, un concentrato di energie generate da varie menti e forme artistiche, un’Assa realizzato, grazie al lavoro di un collettivo che, sebbene mutasse costantemente, era sempre orchestrato dallo stesso Sergej, in cui gli artisti si ritrovavano per improvvisare, creare, sperimentare nel modo più radicale possibile. Molti dei musicisti ancora oggi attivi in Russia devono molto al fatto di essersi formati in quella stessa brulicante realtà (tra questi, ad esempio, vi è il sassofonista Sergej Letov, fratello di Egor Letov, cantante dei Graždanskaja Oborona, tutt’ora attivo in Russia come uno dei massimi rappresentanti della scena jazz russa contemporanea).

Per quanto riguarda il Club degli amici di Majakovskij, citare il nome di uno dei poeti russi più famosi era un modo per evitare di avere problemi con i piani più alti, dal momento che la figura di Majakovskij era stata, probabilmente, la più manipolata dalla propaganda sovietica. Lo stesso nome di Majakovskij, non a caso, viene citato nel film in particolare quando Bananan, con un serpente di gomma intorno al collo, stirandolo esclama “Non per il denaro è nato il futurista Vladimir Majakovskij!”. La citazione rimanda a Ne dlja deneg rodivšijsja (“Non per il denaro è nato”), film sovietico muto del 1918 ispirato al romanzo Martin Eden di Jack London, con Vladimir Majakovskij nel ruolo di protagonista. Purtroppo, però, la pellicola andò perduta, probabilmente durante l’assedio di Leningrado.

Manifesto del film del 1918 Ne dlja deneg rodivšijsja all’opera di Nikandr Turkin

Ancora, nel film tanti sono gli oggetti che ne arricchiscono la scenografia come, ad esempio, the communication tube (kommunicacionnaja truba “il tubo di comunicazione”) o Železnyj zanaves (“La cortina di ferro”, oggi esposta alla galleria Tretjakovskaja), entrambe opere d’arte del concettualista Michajl Rošal’-Fedorov, artista appartenente al gruppo Gnezdo (Il nido), attivo tra il 1975 e il 1979. Il nome di questo collettivo, formato da tre giovani artisti (oltre a Michajl ne facevano parte anche Gennadij Donskoj e Viktor Sjkersis) deriva da una performance realizzata durante una mostra presso lo spazio VDNCH dal nome Tiše! Idët eksperiment! (Silenzio! C’è un esperimento!) in cui i tre artisti si fecero trovare dagli spettatori seduti su un nido gigante fatto di rametti e piume.

Il collettivo Gnezdo durante la loro prima performance, Mosca, 1975

In tutto questo vortice di suggestioni artistiche, alla fine del film compare anche Viktor Coj, leader dei Kino ed emblema della musica sovietica per eccellenza, fatto alimentato anche e soprattutto dalla tragica morte che lo vide coinvolto in un dubbio incidente stradale nel 1990, all’età di soli 28 anni. La scena finale del film è probabilmente quella più famosa, nonostante occupi una piccola parte e, ad un’analisi più generale, c’entri davvero poco con tutto il resto. Lo stesso Coj in un’intervista ha dichiarato Non considero ‘Peremen’ (la canzone eseguita, n.d.r.) una canzone di protesta. E, sinceramente, non capisco fino in fondo che c’entri con questo film. Ma è una cosa che spetta al regista scegliere”. La giornalista a questo punto però osserva: “è assolutamente chiaro perché la canzone sia stata messa alla fine: costringe lo spettatore a rimanere fino all’ultimo. Il nome di Viktor Coj compare nei titoli al quarto posto e, ovviamente, lo spettatore non fa altro che aspettare la sua comparsa.

La scena del concerto di Coj che si vede nel film è assolutamente reale: per realizzarla sono state invitate diverse “comparse” per partecipare al concerto, tenutosi al Parco Gor’kij a Mosca. La situazione, però, sfuggì di mano e all’evento si presentarono in migliaia, numero testimoniato nel film da tutte le fiaccole che luccicano nel buio dello schermo.

Se in Assa la musica, e l’arte in generale, hanno un ruolo così importante, non è tanto perché il regista Solov’ev amasse la musica rock, ma perché avvertiva che quello che stava accadendo allora rappresentava già il futuro, che quella sarebbe stata la lingua che la maggior parte degli spettatori avrebbe capito e parlato ed è proprio questo che rende Assa iconico, nel momento in cui viene inteso non tanto come un film quanto all’interno del suo fenomeno in toto. Questo fa sì che gli stessi difetti a livello tecnico, alla fine, diventino anche i suoi pregi, rendendolo un film spontaneo, sincero. Molti, infatti, nel vedere Assa la prima volta, ignari di questo sottotesto culturale, potrebbero accusarlo di essere in parte incomprensibile, privo di nessi logici.

Le scene storiche che si alternano alle vicende dei due protagonisti occupando anche una buona parte del film, ad esempio, sono state inserite perché il regista voleva dare a Krymov un’aria da intellettuale (nel film lo si vede infatti leggere spesso, recitare versi e fare diversi riferimenti alla letteratura russa). Tuttavia, Solov’ev era intenzionato a cancellarli, temendo appunto che allo spettatore sarebbero stati poco chiari. A dissuaderlo fu poi Boris Grebenščikov, che gli disse “Sergej, neanche immagini quanto alle persone piaccia ciò che non è chiaro”. In realtà, a ben guardare, le scene storiche del film possono adombrare un po’ quello che sarà il finale della storia, dando così degli indizi allo spettatore su ciò che sta per accadere.

Al di là quindi della sua linearità logica, Assa ha segnato un’epoca perché è riuscita anche ad immortale questa stessa in un momento in cui si trovava ormai alla fine. La sensazione che si stesse vivendo qualcosa di unico, qualcosa di cui presto si avrebbe avuto nostalgia permeava l’aria in ogni dove. Questo fece sì che tutto si raccogliesse intorno al centro gravitazionale di Assa, quasi come a esorcizzare il tempo futuro.

Sempre in quegli anni, tra l’altro venne anche creata una specie di manifestazione permanente, ART-PARAD-ASSA, in cui, per la prima volta, giovani artisti emergenti (dai designer ai musicisti e gli artisti) vedevano dar spazio alla propria voce. Quasi ogni sera, in questo evento, veniva proiettato Assa.

Il collettivo Gnezdo durante la loro prima performance, Mosca, 1975

La sensazione che ci stesse facendo qualcosa di importante e di ampio respiro, in cui gli artisti credevano realmente perché era l’unico orizzonte conosciuto, che li circondava e che dava loro la possibilità di esprimersi, conferì ad Assa tutto il valore artistico che, con gli anni, non fece altro che accrescersi. Diede la possibilità di analizzare coscientemente qualcosa che però all’epoca ancora non si era ancora in grado di comprendere fino in fondo.

Nella Russia contemporanea Assa ha subìto un vero e proprio revival culturale: dalle diverse proiezioni organizzate negli ultimi anni a Mosca e San Pietroburgo per omaggiarne i Trent’anni, si è arrivati perfino a creare delle magliette con la scritta iconica del titolo. Assa continua a far parlare di sé, rimanendo uno dei film più famosi anche e soprattutto fra le nuove generazioni.

L’attore Sergej “Afrika” Bugaev con la maglietta “ASSA”, disegnata da Narvskayadostava, brand russo attento alle tematiche di genere

Non tutti però, lo ricordano con piacere: se, da una parte, viene apprezzata questa ricca corrispondenza artistica unita ad una tormentata storia d’amore, dall’altra, però, molti l’associano a un periodo della storia russa non particolarmente felice (questo è dovuto al fatto che, di lì a poco, sarebbero giunti i selvaggi Anni ‘90, anni di caos e anarchia tanto a livello politico quando sul piano sociale). Ma tra i giovani di oggi il film continua ad essere apprezzato, Peremen continua ad essere cantata a squarciagola e il ragazzo Bananan rimane sempre il loro protagonista preferito.

Un film unico in tutto e per tutto, difficilmente paragonabile a qualsiasi altra opera d’arte occidentale poiché profondamente intriso di realia esistenziale sovietico del tempo e che, proprio per questo, lo rende assolutamente imprescindibile se si ha il desiderio di captare e avvicinarsi all’atmosfera della Perestrojka. O, quanto meno, avere l’illusione di poterlo farlo.

 

Bibliografia:

Boris Barabanov, Assa. Kniga Peremen, Sankt-Peterburg, Amfora, 2008.

Sitografia:

Čelovek-Assa. Dal’nyj Vostok https://dv.land/people/chelovek-Assa (ultima consultazione 24/11/2021).

Istorija pesni Raj (Gorod Zolotoj) https://song-story.ru/gorod-zolotoi/ (ultima consultazione 24/11/2021).

Tutte le traduzioni dal russo presenti dell’articolo sono ad opera della scrivente A.M.

Apparato iconografico:

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