La malattia come istinto di vita: il percorso verso la morte in Arthur Schnitzler

Silvia Girotto

 

Nel 1898 viene pubblicato sulla rivista internazionale “Cosmopolis” Paracelsus, atto unico in versi di Arthur Schnitzler (1862-1931). Da quest’opera rimane particolarmente colpito lo psicanalista Sigmund Freud al vederne la messa in scena l’anno seguente: egli rimane stupito dal fatto che l’autore, un letterato, possa comprendere gli argomenti trattati nell’opera, in particolare la rappresentazione di una scienza nuova, in cui oltre al corpo viene osservata soprattutto l’anima. È reciproca la stima che Freud prova per Schnitzler e infatti negli anni seguenti ciascuno dei due presenta con fierezza i propri riferimenti al lavoro dell’altro ed essi si suggeriscono letture a vicenda. La corrispondenza epistolare fra Freud e Schnitzler è di notevole interesse e relativa a diversi argomenti, quali i sogni, la medicina e le conseguenze dell’inconscio sulla vita sociale. I temi affrontati anche nelle rispettive opere sono simili, difatti anche Schnitzler si interessa allo studio dell’ipnosi e della psicanalisi. Egli è di formazione dottore, laureato in Medicina presso l’Università di Vienna.

L’opera letteraria di Schnitzler prende forma a partire dal 1880 con testi in poesia e dieci anni più tardi è parte del gruppo della Jung Wien con gli amici Hermann Bahr e Hugo von Hoffmansthal. La sua educazione e i suoi interessi per l’animo umano lo spingono a tenere fino a poco prima della morte un diario in cui conserverà non solo ricordi della sua vita reale, ma anche sogni. Particolarmente interessanti sono le annotazioni di carattere sessuale, fonte di ispirazione per alcune sue opere, pervase spesso da descrizioni erotiche quasi ossessive – si veda ad esempio lo scandalo portato dalla novella Reigen (“Girotondo”, 1900) – e strettamente collegate al declino e alla morte: Eros e Thanatos appaiono quindi come temi ricorrenti e sempre legati tra loro.

Il concetto di morte in Schnitzler è spesso presente come tensione erotica giunta al suo apice dopo un percorso di eccitazione crescente. Esemplificativo ne è il racconto Frau Beate und ihr Sohn (“Beate e suo figlio”, 1913, edito Adelphi in Italia), narrazione dell’ossessione di una madre per il figlio e del suo desiderio di proteggerlo dalle altre donne, una preoccupazione seguita da un declino della stessa Beate e dalla sua caduta in una spirale erotica. Erotismo e morte trovano il loro spazio anche in Fräulein Else (“La signorina Else”, 1924) e in Casanovas Heimfahrt (“Il ritorno di Casanova”, 1918), opere espressamente ispirate a casi clinici studiati dal collega Freud. Numerose altre prove di questa concezione della morte come termine di una pulsione irrefrenabile sono riscontrabili in tutta la produzione di Schnitzler, in particolare l’idea della morte come conclusione di un disagio psichico. Nonostante la forte presenza di questo topos nella totalità della sua opera, due testi considerati emblematici del tema della malattia psichica che porta al declino sono Sterben (“Morire”, 1892) e Flucht in die Finsternis (“Fuga nelle tenebre”, 1917).

Else interpretata da Elisabeth Bergner nel primo film ispirato al romanzo “Fräulein Else” nel 1929, regia di Paul Czinner.

Per entrambe queste opere si può identificare come tema principale la paura. In Flucht in die Finsternis questo timore è costante: il dubbio di essere folle attanaglia il protagonista Robert fin dalle prime pagine ed egli manifesta una certa ossessione per il controllo dei possibili sintomi, ossessione dovuta in gran parte alla presenza di medici tra i suoi conoscenti. In particolare, egli teme il fratello, a cui ha consegnato anni addietro una lettera per lui molto pericolosa: in essa Robert affida a Otto il compito di porre fine alla sua vita nel caso in cui lo colpisca una malattia mentale. Il titolo originale del racconto era, non casualmente, Wahn – “pazzia” – e si riferiva quindi alla malattia di Robert, che per buona parte del libro non è definita in modo chiaro. Dagli stessi studiosi questa viene definita una Wahnsinnsnovelle, “novella della pazzia”. In questo caso la pazzia è causata dalla possibilità della morte attraverso la lettera di Otto, che porterebbe la malattia psichica a essere una sentenza. A partire da sintomi in realtà vaghi e confusi iniziano le manifestazioni di questo male, come l’ossessione per la lettera, la costante idea di essere controllato, la paura che gli amici lo ingannino, sogni confusi con ricordi:

La sua incapacità di ricollegare con chiarezza gli avvenimenti lo tormentava sempre più. Si ricordò di certe scenate che risalivano ai primi tempi della sua relazione con Alberta, quando l’ira suscitata dalla gelosia gli aveva quasi offuscato il senno e solo chiamando a raccolta tutte le proprie forze si era trattenuto dal commettere un’azione violenta. […] non esisteva tuttavia alcuna prova che alla fine non avesse attuato per davvero ciò che più di una volta si era proposto e aveva desiderato di fare, e non avesse assassinato l’amante.” (p. 26)

Si giunge a una descrizione della malattia come “paranoia” così come spiegata da Freud nelle sue Psychoanalytische Bemerkungen über einen autobiographisch beschriebenen Fall von Paranoia (Dementia paranoides) (“Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (Dementia paranoides) descritto autobiograficamente”, 1910). Essa è la “difesa da una situazione insopportabile” quale è in questo particolare frangente la paura di essere considerato pazzo dal fratello. Si tratta tuttavia di una casistica non approfondita in modo particolare nemmeno da Freud e l’identificazione stessa della paranoia era in quell’epoca assai difficoltosa. Lo psicanalista fa persino riferimento a casi in cui non era stata riscontrata alcuna manifestazione sensibile della malattia, che ha proseguito nel suo sviluppo fino alle estreme conseguenze prima che qualcuno ne riconoscesse la natura.

Ciò che maggiormente spaventa Robert di questa malattia psichica è l’incertezza, il fatto di non essere nemmeno lui certo della propria condizione. Ciò lo porta a immaginare i peggiori scenari, che si convince di aver dimenticato, come il supposto omicidio della precedente fidanzata Alberta e pensieri violenti verso la moglie defunta, colpevole di non sapere suonare il pianoforte.

Ogni situazione che non si svolge nel modo a lui più propizio diventa per Robert un’occasione per vedere nemici e ciò lo porta a continui stati di inquietudine. Un momento di redenzione sembra rappresentato dalla relazione con Paula Rolf, conosciuta in uno dei numerosi soggiorni consigliati dai medici, ma anche ogni atteggiamento di lei non completamente coerente viene visto da Robert come un tradimento e i suoi sogni rafforzano questa idea. Lui stesso sembra essere consapevole dei risvolti fisici dei sogni, rappresentazioni dell’inconscio e di ciò che la sua mente ha cancellato perché troppo spaventoso. Questo lo porta non solo ad agire influenzato dalle sue illusioni, ma anche a crearsene – consapevolmente – di nuove lui stesso. Cerca quindi di convincere gli amici che sia Otto ad avere problemi mentali e perfino quando il fratello gli consegna la pericolosa lettera Robert non crede alle sue parole e organizza una fuga:

Che significa tutto questo? Perché ha cercato la lettera? Perché me l’ha riportata? Vuole rassicurarmi? Sì. È proprio così. Ritiene di poter agire anche senza la lettera. Questa lettera certamente l’han già vista altre persone. Otto ne ha fatto una copia e l’ha fatta autenticare da un notaio. Non ha più bisogno dell’originale. Ormai pensa che non gli posso più sfuggire. È il momento della mia condanna.” (p. 64)

Ossessionato dall’idea di essere circuito, parte da solo e chiede a Paula di raggiungerlo con il treno successivo. Anche a lei mente, parlando di una vendetta da parte del marito americano di Alberta, che lo starebbe cercando per gelosia. Ricercato dai familiari preoccupati, Robert ha un ultimo colpo di testa, apice del suo delirio, e trova la morte. Torna quindi in questo frangente la fatidica domanda: si tratta di vera follia o dell’estremo risultato della paura della follia?

Monumento alla memoria di Arthur Schnitzler, Vienna, 18. distretto, Türkenschanzpark.

La paura del declino collega Flucht in die Finsternis a Sterben, ma in questo secondo testo, considerato un romanzo breve, il declino è principalmente fisico e solo in un secondo momento se ne vedono i risvolti psichici. La paura della morte, nascosta nella prima parte della storia del giovane Felix, diventa sempre più presente: Felix e Marie sono una giovane coppia che un giorno riceve la notizia di una tubercolosi ai polmoni di cui soffre il giovane e che non gli lascerà più di un anno di vita. La malattia non viene mai affrontata nei dettagli, ma solo nominata di sfuggita e questa mancanza di chiarezza verso il lettore contribuisce a sottolineare l’incertezza, come già visto in Flucht in die Finsternis. Gli indizi della malattia sono sempre presenti, ma il non sapere esattamente quando finirà l’agonia della coppia fa impazzire Felix al punto da chiedere a Marie di morire con lui. Altra caratteristica che lo pone in relazione con Flucht in die Finsternis è la costante presenza di medici all’interno della storia e vicini ai protagonisti. In Sterben si trova infatti Albert, amico e medico che inizialmente non vuole fornire a Felix una diagnosi così tragica, come fa invece un secondo esperto. La presenza di questa figura, collegata ovviamente anche alla stessa professione dell’autore, potrebbe essere considerata una critica alla vecchia idea di medicina, in contrasto anche con quella che affascina Freud – come ricordato all’inizio di questo articolo. Si nota infatti una costante diffidenza da parte dei protagonisti verso queste figure mediche, che sono spesso non solo figure professionali ma anche amici e parenti, persone care al malato e il cui occhio critico potrebbe quindi essere influenzato dalla vicinanza alla vittima. Prova, secondo Felix, ne è il fatto che Albert non abbia voluto dirgli la verità e la stessa sfiducia è mostrata da Robert, a cui il suo medico e amico dottor Bernard consiglia di fare lunghe vacanze, ma senza che vi sia effettivamente un miglioramento.

Inizialmente Felix prende la notizia della malattia con tranquillità, felice di avere una risposta, anche se si tratta di una sentenza. Convince Marie a passare assieme l’anno rimanente godendosi la vita, ma il continuo approfittare delle bellezze della natura agisce in modo tanto profondo che egli sente di essere di nuovo vivo:

Non aveva superato il piacere della vita, ma vinto il timore della morte, tanto che la credeva non veritiera, impossibile da concretizzarsi. Era convinto di essere uno tra quei fortunati che giungono a completa guarigione. Gli parve che qualcosa di dormiente in un angolo recondito del suo animo si ridestasse.” (p. 22)

La malattia è purtroppo reale e il piano di Felix di godersi gli ultimi istanti fallisce, perché si fa sempre più visibile l’ansia della fine. Egli vorrebbe portare con sé Marie e la malattia inizia così ad avere influenze sulla sua psiche: spaventato dall’idea dell’abbandono, egli vede attorno a sé solo persone che lo vogliono ingannare e abbandonare. Non appena il suo stato fisico peggiora i dubbi lo attanagliano e ha pensieri omicidi verso la devota Marie, la quale lo aiuta come può, spesso a svantaggio della propria salute. Diventa quindi anche questo un caso di paranoia, una malattia che avvolge l’intera esistenza del protagonista. È proprio questa centralità della malattia che caratterizza la particolarità del tema così come viene affrontato da Schnitzler: nelle grandi opere che parlano di morte e malattia, queste altro non sono che ostacoli, pericoli posti sul percorso dei personaggi, improvvisi cambiamenti. Nelle sue opere, invece, questi sono temi presenti fin dalla prima pagina e destinati ad essere il fulcro della storia, anziché un intralcio.

In questa costante tendenza delle opere schnitzleriane a “vivere la malattia” la tensione è sempre palpabile, ma è una tensione verso la vita che porta lentamente alla morte: da una parte si trova Robert, che per vivere impazzisce, e dall’altra Felix, che per sconfiggere la paura della morte raggiunge il risultato contrario. Questo Eros per la vita, con riferimento anche all’amore per la rispettiva donna che i protagonisti vorrebbero portare con sé fino alla fine, si trasforma in morte, Thanatos, rivelando come la connessione tra questi due concetti sia infrangibile.

Si riconosce infine un altro aspetto nella descrizione della malattia e della morte, non legato necessariamente alla formazione medica di Schnitzler, dettaglio comunque fondamentale nell’interpretazione dei testi. A partire dal contesto storico in cui si viene a trovare l’autore, la malattia è qui spesso identificata con il percorso di decadenza della società austriaca, che già all’uscita di Sterben era destinata alla rovina. La dinamicità del mondo esterno e l’immobilismo dell’Austria rendevano l’Impero dei primi anni del Novecento un’entità orgogliosa ma già in declino e la vecchiaia della struttura statale, personificata in maniera evidente dall’imperatore, mostrava in maniera chiara il suo destino di morte. Come la lenta malattia di Felix, accettata con orgoglio e volontà di arrivare alla fine in maniera dignitosa in un suicidio di coppia e la tensione alla vita di Robert che porta alla morte, lento e orgoglioso è anche il declino, inevitabile, di questo Impero.

 

Bibliografia:

Arthur Schnitzler, Morire, Lavis (Trento), Edizioni Clandestine, 2019, edizione digitale.

Arthur Schnitzler, Fuga nelle tenebre, Milano, Adelphi, 2014, edizione digitale.

Michaela L. Perlmann, Arthur Schnitzler, Sammlung Metzler, Band 239, Stuttgart, J. B. Metzlersche Verlagsbuchhandlung Stuttgart, 1987.

Nicole Streitler, Die schöne Unbekannte bei Schnitzler, Musil und Horváth, in Vampir und Engel. Zur Genese und Funktion der Fräulein-Figur im Werk Ödön von Horváths, Wien, Praesens Verlag, 2006.

Sigmund Freud, Cesare Luigi Musatti (curatore), Opere 6. 1909-1912. Casi clinici e altri scritti, in Opere di Sigmund Freud, Torino, Editore Boringhieri, 1981.

Materiale multimediale:

Freud e i “suoi” scrittori: Zweig, Schnitzler, Svevo, Kafka. Puntata 3: Arthur Schnitzler, Museo Ebraico Bologna. Progetto in cinque video-appuntamenti, ideato da Il Ruggero e il MEB, a cura e con Emanuela Marcante e Daniele Tonini, con la collaborazione di Caterina Quareni, MEB. In collaborazione con il Goethe-Zentrum di Bologna e nell’ambito del Patto per la Lettura del Comune di Bologna.

Arthur Schnitzler – Ein Portrait, Text und Bühne. Interviste su Schnitzler alla traduttrice Dominique Auclaire, al figlio Heinrich Schnitzler, al regista teatrale Ernst Lothar e all’amico e scrittore Fritz von Unruh.

Apparato iconografico:

Immagine 1: https://fr.wikiquote.org/wiki/Arthur_Schnitzler

Immagine 2: https://parentesistoriche.altervista.org/fraulein-else-schnitzler/

Immagine 3: https://austria-forum.org/af/Bilder_und_Videos/Bilder_Wien/1180_Gedenktafeln/1714