Una nuova poetica dell’oggetto: Rilke a Parigi

 Traduzione a cura di
Piergiuseppe Calcagni
Martina Mecco
Simone Scarlata

Le poesie contenute in Neue Gedichte vengono redatte fra il 1903 e il luglio del 1907 e in questo periodo Rilke non si trova solo a Parigi, ma trascorre anche lunghi periodi in Italia. Le poesie della seconda sezione Der Neuen Gedichte anderer Teil vengono scritte tra il 31 luglio del 1907 e il 2 agosto 1908, mentre Rilke si trova a Meudon ospite di Rodin. La raccolta viene pubblicata nel 1908 presso la casa editrice Insel con una dedica al suo maestro: “à mon grand ami Auguste Rodin”.

All’interno di questa breve silloge viene proposta una nuova traduzione di sei liriche, che si possono già trovare in traduzione italiana ad opera di Giuliano Baioni. Sono stati scelti tre componimenti da ognuna delle due sezioni, col fine di far risaltare poesie meno conosciute rispetto, ad esempio, ai due sonetti d’apertura o a Der Panther (“La pantera”). Alla fine delle traduzioni è presente anche il breve scritto Il rapporto del sé col mondo in Rilke. Dalla poetica dell’oggetto alla crisi dello sguardo, a cura di Martina Mecco.

PDF Traduzione: Una nuova poetica dell’oggetto_Rilke a Parigi


Mädchen-Klage

Diese Neigung, in den Jahren,
da wir alle Kinder waren,
viel allein zu sein, war mild;
andern ging die Zeit im Streite,
und man hatte seine Seite,
seine Nähe, seine Weite,
einen Weg, ein Tier, ein Bild.

Und ich dachte noch, das Leben
Hörte niemals auf zu geben,
daß man sich in sich besinnt.
Bin ich in mir nicht im Größten?
Will mich Meines nicht mehr trösten
Und verstehen wie als Kind?

Plötzlich bin ich wie verstoßen,
und zu einem Übergroßen
wird mir diese Einsamkeit,
wenn, auf meiner Brüste Hügeln
stehend, mein Gefühl nach Flügeln
oder einem Ende schreit.

Lamento di fanciulla

Dolce era la tendenza
a stare a lungo da soli
negli anni della nostra infanzia;
altri passavano il tempo in litigi
e si aveva la propria ragione,
il proprio vicino e il proprio lontano,
una via, un animale, un’immagine.

E pensavo ancora che la vita
mai smettesse di dare,
che in sé ci si percepisca.
In me non sono forse all’apice?
Ciò che è mio non vuole più consolarmi
e capirmi come da bambina?

D’un tratto mi sento ripudiata
e un peso troppo greve
diviene la mia solitudine,
quando, fermo sui colli
dei miei seni, il mio sentimento
grida per delle ali o una fine.


Der Tod des Dichters

Er lag. Sein aufgestelltes Antlitz war
bleich und verweigernd in den steilen Kissen,
seitdem die Welt und dieses von ihr Wissen,
von seinen Sinnen abgerissen,
zurückfiel an das teilnahmslose Jahr.

Die, so ihn leben sahen, wußten nicht,
wie sehr er eines war mit allem diesen,
denn dieses: diese Tiefen, diese Wiesen
und diese Wasser waren sein Gesicht.

O sein Gesicht war diese ganze Weite,
die jetzt noch zu ihm will und um ihn wirbt;
und seine Maske, die nun bang verstirbt,
ist zart und offen wie die Innenseite
von einer Frucht, die an der Luft verdirbt.

La morte del poeta

Giaceva. Il suo sembiante erto e
pallido si rifiutava di starsene nei cuscini ritti,
da allora il mondo e il suo immaginarlo,
divelto dai suoi significati,
ricadeva all’anno apatico.

Coloro che lo videro vivere non sapevano
quanto fosse tutt’uno con tutto questo
perché questo, queste profondità, questi prati
e queste acque erano il suo viso.

Oh, il suo viso era tutta questa vastità
che lo cerca ancora e lo corteggia;
e la sua maschera, che ora ansiosa muore
è tenera e aperta come l’interno
di un frutto, che in aria corrode.


Buddha

Als ob er horchte. Stille: eine Ferne …
Wir halten ein und hören sie nicht mehr.
Und er ist Stern. Und andre große Sterne,
die wir nicht sehen, stehen um ihn her.

O er ist Alles. Wirklich, warten wir,
daß er uns sähe? Sollte er bedürfen?
Und wenn wir hier uns vor ihm niederwürfen,
er bliebe tief und träge wie ein Tier.

Denn das, was uns zu seinen Füßen reißt,
das kreist in ihm seit Millionen Jahren.
Er, der vergißt was wir erfahren
und der erfährt was uns verweist.

Buddha

Sta come in ascolto. Quiete: lontananza…
Ci interrompiamo e non l’udiamo più.
Ed egli è stella. Ed altre grandi stelle
che noi non vediamo lo circondano.

Oh, egli è Tutto. Ci aspettiamo veramente
che egli ci veda? Ne avrebbe bisogno?
Se ci prostrassimo innanzi a lui
rimarrebbe assorto a sopportare la sua soma.

Ché quanto ai suoi piedi ci scaglia
in lui da milioni di anni circola.
Egli, che dimentica ciò che viviamo
e vive ciò che ci respinge.


Die Insel der Sirenen

Wenn er denen, die ihm gastlich waren,
spät, nach ihrem Tage noch, da sie
fragten nach den Fahrten und Gefahren,
still berichtete: er wußte nie,

wie sie schrecken und mit welchem jähen
Wort sie wenden, daß sie so wie er
in dem blau gestillten Inselmeer
die Vergoldung jener Inseln sähen,

deren Anblick macht, daß die Gefahr
umschlägt; denn nun ist sie nicht im Tosen
und im Wüten, wo sie immer war.
Lautlos kommt sie über die Matrosen,

welche wissen, daß es dort auf jenen
goldnen Inseln manchmal singt —,
und sich blindlings in die Ruder lehnen,
wie umringt

von der Stille, die die ganze Weite
in sich hat und an die Ohren weht,
so als wäre ihre andre Seite
der Gesang, dem keiner widersteht.

L’isola delle sirene

Quando sul tardi, alla fine del giorno,
coloro che erano suoi ospiti, chiedevano
dei suoi viaggi e dei pericoli,
quieto raccontava: non ha mai saputo

come spaventarli e con quale repentina
parola scuoterli, affinché come lui
nel blu placido dell’arcipelago
vedessero l’oro di quelle isole,

la cui vista fa sì che il pericolo
muti; ché d’improvviso non sia nel boato
e nella furia, ove è sempre stato.
In silenzio assale i marinai,

che sanno, che là su quelle
isole dorate a volte s’erge un canto –,
e, ciechi, gravano sui remi,
come circondati

dal silenzio, che ha in sé tutta
la vastità e alle orecchie spira,
come se fosse l’altra parte
il canto che nessuno sostiene.


Übung am Klavier

Der Sommer summt. Der Nachmittag macht müde;
sie atmete verwirrt ihr frisches Kleid
und legte in die triftige Etüde
die Ungeduld nach einer Wirklichkeit,

die kommen konnte: morgen, heute abend -,
die vielleicht da war, die man nur verbarg;
und vor den Fenstern, hoch und alles habend,
empfand sie plötzlich den verwöhnten Park.

Da brach sie ab; schaute hinaus, verschränkte
die Hände; wünschte sich ein langes Buch
und schob auf einmal den Jasmingeruch
erzürnt zurück. Sie fand, daß er sie kränkte.

Esercizio al pianoforte

L’estate ronza. Stancan le controre;
distratta respirò la fresca veste
e mise nel suo studio con vigore
quell’impazienza per realtà mai viste

ma attese: per domani, anche stasera -,
o forse già comparse, ma celate,
e innanzi alla finestra, a vista intera,
sentì d’un tratto il parco ben curato.

Lì si fermò; fuori il guardo, incrociò
le mani, vaga d’un libro. L’olezzo
del gelsomino a un tratto ricacciò.
Scoprì che la riempiva di ribrezzo.


Die Liebende

Das ist mein Fenster. Eben
bin ich so sanft erwacht.
Ich dachte, ich würde schweben.
Bis wohin reicht mein Leben,
und wo beginnt die Nacht?

Ich könnte meinen, alles
wäre noch Ich ringsum;
durchsichtig wie eines Kristalles
Tiefe, verdunkelt, stumm.

Ich könnte auch noch die Sterne
fassen in mir; so groß
scheint mir mein Herz; so gerne
ließ es ihn wieder los,

Den ich vielleicht zu lieben,
vielleicht zu halten begann.
Fremd, wie niebeschrieben
sieht mich mein Schicksal an.

Was bin ich unter diese
Unendlichkeit gelegt,
duftend wie eine Wiese,
hin und her bewegt,

rufend zugleich und bange,
daß einer den Ruf vernimmt,
und zum Untergange
in einem Andern bestimmt.

L’innamorata

Questa è la mia finestra. Poco fa
mi è stato dolce il risveglio.
Pensavo che mi sarei librata.
Fin dove arriva la mia vita,
e dove inizia la notte?

Potrei dire che intorno
tutto sia ancora Io;
trasparente come di un cristallo
il fondo, oscurato, muto.

Potrei anche raccogliere in me
le stelle; tanto grande
mi sembra il mio cuore;
e con piacere libererebbe

chi forse iniziai ad amare,
forse a trattenere.
Estraneo, come un eterno taciuto
mi guarda il mio destino.

Cosa sono io, posta
in questa infinità,
profumata come un prato,
qua e là spinta,

gridando mentre temo
che qualcuno colga il grido,
e destinata a tramontare
in un Altro.


Rilke e Rodin

 

Il rapporto del sé con il mondo in Rilke. Dalla poetica dell’oggetto alla crisi dello sguardo

A cura di Martina Mecco

Rilke giunge ufficialmente a Parigi il 28 agosto del 1902, città in cui approfondisce i contatti con Rodin, che iniziano a svilupparsi già precedentemente tramite un continuo scambio epistolare. In particolare, in alcune lettere scritte da Rilke allo scultore emerge la grande eccitazione del poeta al pensiero di giungere a Parigi e di entrare in contatto con la sua scultura, che diverrà indiscutibilmente importante non solo per la realizzazione del saggio Rodin, ma anche per la produzione poetica di quegli anni. Parigi rappresenta un momento molto proficuo dal punto di vista della produzione di Rilke, infatti sono questi gli anni della stesura, oltre a quella della monografia su Auguste Rodin, dei due volumi di poesie Neue Gedichte e Der Neuen Gedichte anderer Teil e del testo in prosa Die Aufzeichnungen des Malte Laurids Brigge (“I quaderni di Malte Laurids Brigge”).  Queste opere rappresentano in modo molto chiaro quelli che sono i cambiamenti dell’estetica rilkiana, sviluppo che terminerà in una crisi, comunemente definita in termini di Krisis des Schauens (crisi dello sguardo), rappresentata proprio dal Malte Brigge. Nella capitale francese Rilke conquista una precisa chiarezza riguardo il legame che la sua vita quotidiana deve avere con l’attività artistica, ed è proprio in questo contesto che il poeta sviluppa una poetica completamente nuova, basata su di un nuovo rapporto fra il lyrisches Ich (io lirico) e il Gegenüber. Il tempo passato a Parigi è caratterizzato da un continuo rapportarsi con l’arte figurativa, egli infatti, quando non è impegnato ad osservare Rodin nell’atelier di Meudon, si ritrova ad ammirare le sale del Louvre e le numerose mostre che vengono allestite nelle gallerie parigine. Oltre a Rodin, ad avere un grande influsso sulla poesia rilkiana sono le opere di pittori come Cézanne o Van Gogh, fino ad arrivare alle stampe giapponesi di Hokusai. Dal punto di vista letterario, invece, Rilke legge avidamente Proust e i poeti francesi, nello specifico Paul Valéry.

La poetica che caratterizza le raccolte Neue Gedichte e Der Neuen Gedichte anderer Teil è profondamente differente da quella che anima le raccolte poetiche precedenti. Rilke entra infatti in una nuova fase della sua produzione. La poesia parigina di Rilke abbandona lo stampo impressionista, il perfezionismo lessicale e le strutture musicali delle raccolte precedenti, che sono infatti particolarmente ricche di assonanze, enjambements, allitterazioni e schemi rimici fissati. Un altro aspetto che in Neue Gedichte smette di avere un ruolo di primaria importanza è il sentimento religioso, protagonista del ciclo di liriche Stundenbuch (“Il libro delle ore”), che ritornerà successivamente nelle tarde Duiniser Elegien (“Le elegie Duinesi”). Il poeta smette di essere il protagonista del componimento poetico per cedere posto a tutto ciò che precedentemente era rilegato sullo sfondo. Ogni cosa conquista la sua autonomia, ricavandosi uno spazio in cui potersi manifestare appieno. Questo vera e propria conquista dello spazio da parte dell’oggetto gli permette di non essere più solo un semplice mezzo, tramite il quale si attua l’azione di terzi, ma di potersi presentare nella sua forma pura. Ogni sentimento o reazione dell’io lirico di fronte ad esso viene meno, in quanto il mondo della percezione del soggetto non può in alcun modo coincidere con quello delle cose pure. L’atto estetico del poeta viene posto al servizio della verità, della pura realtà, sino a creare un universo plastico che perde definitivamente la fluidità musicale delle raccolte precedenti, in particolare di Buch der Bilder (“Il libro delle immagini”). Il linguaggio non è più impreziosito né da termini ricercati né da alcun perfezionismo, ciò che importa non è il bello estetico della lirica in senso stilistico, ma in quanto purezza della forma. Questa poetica prende il nome di Dinggedicht – letteralmente “poetica dell’oggetto”.

Il nucleo centrale della raccolta è dunque il concetto di Ding, che non è identificabile unicamente con degli oggetti nel senso fisico della parola, ma anche con concetti astratti o fenomeni. I temi che vengono toccati all’interno del testo sono numerosissimi, oltre infatti a rappresentazioni poetiche di oggetti in quanto tali, ve ne sono anche di animali, di concetti temporali o esistenziali, di luoghi, di protagonisti della mitologia greca, di motivi e personaggi biblici, di personaggi generici e, addirittura, della figura di Buddha. Particolarmente interessante è anche la presenza di numerose liriche dedicate al tema della morte. Dal punto di vista strutturale le due raccolte sono costruite in una prospettiva simmetrica e le poesie seguono un ordine di successione affatto casuale. Tra le due sezioni è presente una corrispondenza, in quanto sono spesso presenti in entrambe rappresentazioni di medesimi oggetti, sebbene declinate in maniera differente.

Nonostante i principi con cui viene descritta la poetica del Dinggedicht siano rigorosi e precisi, nel corso di un’analisi dettagliata si incorre in diversi nodi problematici. In primo luogo, ci si chiede se le liriche rilkiane siano sempre espressione di questa poetica, o se essa si possa realizzare appieno solo nel momento in cui a essere descritti sono dei veri e propri oggetti inanimati. Nel momento in cui il poeta si cimenta in descrizioni di alcuni fenomeni risulta difficile riuscire a comprendere se il suo intento venga effettivamente realizzato. Un secondo problema è il fatto che negli stessi anni viene redatta l’opera in prosa Die Aufzeichnungen des Malte Laurids Brigge, dove si assiste ad una vera e propria crisi di questa poetica. All’interno dell’opera non è più possibile individuare una trama precisa, in quanto l’azione si presenta frammentata in singoli episodi, che risultano essere autonomi e congiunti l’un l’altro al tempo stesso. In questo collage di appunti vige un’atmosfera dai toni cupi, in cui a dominare sono un sentimento di paura e una continua ricerca del sé dal punto di vista esistenziale. Il ritmo altalenante della prosa del romanzo, che si sviluppa attraverso momenti in cui l’elemento narrativo è molto forte e altri in cui invece questo si assopisce, mostra in modo tangibile una presenza di rimandi a Baudelaire. Anche in di questo testo vige un continuo tentativo di trovare un modo per rapportarsi con la realtà e decifrarla attraverso l’atto estetico, che però non giunge agli stessi esiti che si hanno nelle altre due raccolte poetiche. La ricerca dell’io lirico, in questo caso incarnato da Malte Brigge, acquista un’accezione esistenzialista. Gli oggetti che circondano il protagonista non possono più essere colti nella loro interezza, in quanto la realtà diviene irrecuperabile e intraducibile. Non essendo più possibile descrivere, riportare per iscritto il reale, il testo non può che presentarsi sottoforma di appunti e non più di racconto. Questa realtà intraducibile è conseguenza dell’ampio distacco che si viene a creare fra gli oggetti e le parole, in quanto vengono meno i rapporti con lo spazio e col tempo. Alla contemplazione dell’oggetto si sostituisce una serie di ricordi, visioni che si intrecciano e non si possono in alcun modo controllare. La crisi di Malte risulta quindi essere la crisi del Dinggedicht stesso, che non proviene da un confronto con la realtà, ma da uno scontro esistenziale interiore all’io poetico. Il crollo di un mondo definito dai principi di tempo e di spazio e l’impossibilità di un rapporto oggettivo con le pure forme è una conseguenza di questo fenomeno, in quanto l’oggettività è possibile solo in una condizione in cui si ha in primo luogo controllo sul proprio io. Non si tratta quindi di un fallimento della poetica del Dinggedicht, ma piuttosto di un riconoscimento della sua limitatezza, la quale risiede nel fatto che non si può pensare di poter escludere definitivamente l’esistenza del soggetto canalizzandolo nell’atto estetico.

Nonostante si possano identificare parecchi limiti e nodi problematici nella poetica del Dinggedicht, che probabilmente anche lo stesso Rilke ebbe modo di riscontrare, le due raccolte parigine sono una tappa fondamentale che sancisce l’inizio di una produzione più matura dell’autore. Senza dubbio esse rappresentano inoltre un unicum poetico sia nell’opera dell’autore che in generale in quella di lingua tedesca ed ebbero una risonanza fortissima anche sulla produzione letteraria europea.

 

Tutte le informazioni contenute in questa postfazione provengono dalla tesi di laurea  “I sonetti ad Apollo di Rilke come superamento della poetica del Dinggedicht”, scritta e discussa da Martina Mecco presso l’Università degli Studi di Padova, Corso di Laurea Triennale in Lingue, letterature e mediazione culturale, a.a. 2018/2019, relatrice Prof.ssa Elisabetta Mengaldo.

 

 

Bibliografia:

Käte Hamburger, Die phänomenologische Struktur der Dichtung Rilkes, in: Rilke in meiner Sicht, Stuttgart, 1971.

Manfred Engels (Hrsg.), Rilkes Handbuch. Leben-Werk-Wirkung, JB Metzler, Stuttgart-Weimar, 2004.

Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge, a cura di Giorgio Zampa, Adelphi, Milano, 1992.

Rainer Maria Rilke, Poesie II (1908-1926), Edizione con testo a fronte a cura di Giuliano Baioni con commento di Andreina Lavagetto, Einaudi-Gallimard, Torino, 1995.

Rainer Maria Rilke, Auguste Rodin, Der Briefwechsel und andere Dokumente zu Rilkes Begegnung mit Rodin, Insel, Frankfurt am Main und Leipzig, 2001.

Richard Sheppard, From the “Neue Gedichte” to the “Duineser Elegien“: Rilke’s Chandos Chrisis, in: «Modern Language Review» 68/3 (1973), pp. 577-592.

Sergio Corrado, La parola poetica nelle regioni delle cose: percezione e metafora nei Neue Gedichte di Rilke, AION – Sezione Germanica, Studi tedeschi XXIX, 1986.

Apparato iconografico:

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