L’assalto dei sentimenti: Invidia di Jurij Oleša

Martina Greco

Apparsa nel 1927 tra le pagine della rivista “Krasnaja Nov’”, Invidia è l’opera principale dello scrittore Jurij Karlovič Oleša. Sulla vita dell’autore, purtroppo, non restano che poche testimonianze: si sa che scrisse versi satirici per la rivista “Gudok” e che qui conobbe grandi personalità dell’epoca, tra cui Michajl Bulgakov. Si dilettò anche nella scrittura di drammi e racconti per bambini, ottenendo un discreto successo, ma non riuscendo a conservare per sé un posto in quella tribuna dei grandi il cui accesso è determinato non solo dal talento, ma molto spesso anche dai capricci della storia.

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Il capolavoro di Oleša, disponibile dal 2018 in Italia grazie a Carbonio Editore, nella traduzione di Daniela Liberti, si situa fra le crepe di due epoche il cui distacco, in Russia, è avvenuto con una rapidità e una brutalità innaturali: l’Ottocento, mistico e monarchico e il Novecento, pragmatico e rivoluzionario. La trama stessa del romanzo ruota attorno alle ferite aperte e dolorose di un secolo che sta esalando l’ultimo respiro di fronte alla vitalità di un tempo che sta sbocciando: è il tempo dell’uomo nuovo. I personaggi sono perfette incarnazioni dell’una o dell’altra epoca, costruite in maniera speculare (lo specchio, tra l’altro, è un oggetto estremamente ricorrente all’interno della storia). Da un lato, dunque, troviamo i rappresentanti del secolo morente, descritti in tutta la loro decadenza: Ivan Babičev, uomo di mezza età, assiduo frequentatore di osterie, oratore efficace, sognatore istrionico, “re dei triviali cafoni”, e il suo pupillo, Nikolaj Kavalerov, un giovane invecchiato troppo presto, un ubriacone, un reietto, un invidioso. Ma invidioso di chi? Chiaramente di coloro i quali costituiscono la controparte scintillante, rispettabile e socialmente accettata dei due anti-eroi: Andrej Babičev (fratello di Ivan) e imprenditore di successo (i tempi sono quelli della NEP, in cui si era reintrodotta una forma di libero mercato) e Volodja Makarov, il giovane sportivo su cui Andrej proietta le proprie speranze per un futuro migliore, individuando in lui l’uomo nuovo. L’opera si apre dal punto di vista di Kavalerov che, narrando in prima persona, racconta come ha fatto la conoscenza di Andrej Petrovič Babičev. Una sera, dopo essere stato cacciato fuori da una taverna per aver preso parte a una rissa, il giovane giaceva ubriaco con la testa schiacciata contro una grata. In quel momento, l’imprenditore che passava da lì per caso, mosso da compassione, aveva deciso di portarlo con sé e ospitarlo a casa propria. La convivenza tra Kavalerov e Babičev fa in modo che il primo, segnato dai propri insuccessi, sviluppi un odio tossico nei confronti del suo benefattore, così lodato e ammirato da chiunque lo conosca. Nella prima parte del romanzo, dunque, il lettore viene trascinato all’interno della mente delirante del reietto, e costretto a raggiungere con lui picchi lirici di esaltazione, per poi sprofondare improvvisamente nel baratro dell’autocommiserazione più gretta. Kavalerov odia Babičev, ma non riesce a non bramare le sue attenzioni e i suoi consensi, vorrebbe vederlo colare a picco, ma vorrebbe anche che lui lo amasse così come ama il suo Volodja.

Nella seconda parte del romanzo, invece, la narrazione diventa esterna e il focus si sposta su un altro protagonista, non meno complesso e profondo del primo: Ivan Babičev. Oltre al gusto decadente e all’appartenenza ad un mondo in via d’estinzione, Ivan condivide con Kavalerov l’odio nei confronti di Andrej. Questo porterà i due a creare una sorta di sodalizio contro gli altri, quei loro riflessi sani, forti e perfettamente rispondenti alle richieste della nuova società comunista. Sebbene ad un primo sguardo i due invidiosi possano rischiare di apparire viscidi e a tratti anche disgustosi, proseguendo ci si rende conto del fatto che senza di essi il racconto perderebbe lo slancio poetico che lo caratterizza: è proprio nei loro dialoghi e nelle loro riflessioni che si toccano quei picchi lirici che rendono l’opera degna di essere definita un classico della letteratura. Cosa fa di un romanzo un classico? Sicuramente il suo carattere universale, la sua capacità di comunicare con tutti, scavalcando i muri del tempo, dello spazio e delle peculiarità culturali. Grazie ai personaggi di Kavalerov e Ivan, Oleša riesce a inserire riflessioni esistenziali, legate alla natura dell’uomo e alle sue debolezze, nel calderone artistico di un’epoca che rifiuta le sfumature, di un’epoca che richiede ai propri eroi la stessa uniformità, la stessa univocità, la stessa inverosimile e noiosa perfezione che, in Invidia, contraddistingue i personaggi di Andrej Babičev e Volodja Makarov. Lo scontro tra le due coppie di protagonisti si gioca su diversi piani e assume le forme più varie: sul piano ideologico, troviamo da un lato il rifiuto della tecnica che uccide i sentimenti e dall’altro l’esaltazione della macchina come modello di perfezione a cui l’uomo deve aspirare; sul piano linguistico, la descrizione poetica di una realtà il cui confine con l’immaginazione è sempre molto labile si scontra con un linguaggio chiaro e preciso, privo di ambiguità. Così, in un passo carico di tensione lirica, Kavalerov descrive questa contrapposizione:

«Si, Valja era davanti a me (dapprima lo dirò a modo mio), più lieve dell’ombra, tra le ombre più lievi quella della neve che cade avrebbe potuto invidiarla. Si, lo dirò come solo io so fare: non è stato il suo orecchio a percepirmi, ma la sua tempia, quando ha reclinato lievemente il capo… Si, il suo viso ricorda una nocciola, per il colorito che le da l’abbronzatura e per la forma, dagli zigomi altri, tondeggianti, che scendono a incontrarsi verso il mento. […]

Ora lo racconterò alla sua (di Andrej Babičev) maniera. […] Dinanzi a me stava una ragazza di circa sedici anni, quasi una bambina, larga di spalle, con gli occhi grigi, con i capelli corti e scarmigliati.»

L’uomo del sottosuolo dostoevskiano, nei panni di Nikolaj Kavalerov, si trascina così fino alle porte del nuovo secolo, portando con sé quei sentimenti che il nuovo sistema vuole combattere creando in vitro un uomo-macchina, l’uomo nuovo, il Volodja Makarov, eroe di un secolo in cui la complessità non è più contemplata. Non è un caso infatti che in Invidia, le due facce della medaglia non coesistano più all’interno della stessa persona (come succede in Memorie dal sottosuolo), ma si sdoppino canalizzandosi rispettivamente nelle figure di Andrej e Ivan Babičev. La parentela che li unisce non è dunque casuale, ma si svela come un piccolo indizio del nodo imprescindibile che lega ancora il lato notturno e quello diurno dell’essere umano, prima che la nuova ideologia pretenda la morte del primo e l’assoluto trionfo del secondo.

Un classico che si è perso nelle pieghe del tempo, Invidia, oltre a raccontare come l’avvento della rivoluzione sconvolse i cittadini, capovolgendone la scala dei valori e sconquassandone la quotidianità, offre un quadro profondo e universale delle debolezze e dei sentimenti, facendo sempre riflettere su cosa renda gli individui inevitabilmente umani.

 

Apparato iconografico:

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