La nostalgia di casa in Milan Kundera

Linda Caregnato

La fama del libro L’insostenibile leggerezza dell’essere (1984) di Milan Kundera è indubitabile. Pochi non lo avranno letto, molti lo avranno amato. Molto meno conosciuto è un altro libro dell’autore, Il valzer degli addii (1973), che nelle previsioni di Kundera doveva essere il suo ultimo romanzo. Le storie dei due libri sono molto diverse tra di loro eppure c’è un tema comune che alleggia in riferimento a due dei personaggi chiave.

Ne L’Insostenibile leggerezza dell’essere si parla molto di Tomáš, di Tereza e della loro storia d’amore travagliata. Parallelamente si svolgono anche le vicende di Sabina, una donna ceca in fuga dalla sua patria che ha una storia d’amore tormentata con Franz, sebbene questa inquietudine sembri nascerle da dentro. La donna infatti ha un conto in sospeso con la sua patria natale, tant’è che quando si trasferisce in un nuovo paese, lo fa allontanandosi sempre di più da quella terra che sembra richiamarla, mentre lei si ostina a ignorarla.

Ne Il valzer degli addii uno dei protagonisti è Jakub, un uomo giovane che ha preso la decisione di emigrare e che, prima di partire, vuole andare a Karlovy Vary a trovare la sua protetta, Olga, e un amico medico di vecchia data. Jakub è continuamente tormentato dal suo passato e vuole fuggire dalla sua patria, una terra che sembra non rispecchiarlo e non amarlo.

Sabina e Jakub quindi vogliono entrambi scappare (e scappano) dalla Cecoslovacchia, lasciando in quella terra tutti gli effetti che il comunismo ha portato con sé. Nonostante l’intenzione sia la stessa, la modalità in cui viene vissuta l’emigrazione è diversa. Sabina infatti, è convinta della sua scelta: scappa prima in Francia e poi in America, dove si sposta continuamente. Il fatto che si allontani sempre di più dal suo Paese sembra essere la prova della consapevolezza acquisita di non voler tornare indietro. Il fatto però che lei guardi continuamente indietro (sia geograficamente che storicamente) verso il luogo delle sue origini, fa capire che lei col suo passato non ha mai chiuso. Sabina si sposta di continuo per il mondo perché non trova davvero un equilibrio, probabilmente perché dentro il suo “io” più intimo sa che la sua unica e vera patria è proprio quella  che ha abbandonato anni prima. Fugge dall’unico posto che sì l’ha fatta soffrire, ma che è anche l’unico dove può davvero trovare la serenità, una serenità che però non troverà più, in quanto la sua è stata una scelta decisiva.

La figura di Jakub invece, attraversa diverse fasi. All’inizio è convinto della sua scelta, tant’è che vive i suoi ultimi giorni in Cecoslovacchia sapendo che non vi farà più ritorno. Questa consapevolezza porta con sé un senso di libertà nel dire e nel fare ciò che vuole durante gli ultimi giorni che passa a Karlovy Vary. Sa che la sua vita all’estero sarà migliore, ma al contempo detiene un rapporto morboso con una pillola omicida che si porta dietro da diversi anni. Questa piccola medicina che gli avrebbe permesso di morire nel caso in cui le cose fossero peggiorate, e che ora invece guarda chiedendosi se davvero aveva  sempre avuto quella via di fuga risolutiva. Se ne sbarazza e, convinto della sua scelta, lascia il  Paese. A un passo dal confine però assiste ad una scena chiave: un bambino con degli occhiali spessi osserva, con ammirazione, un altro bambino  che sta giocando all’aperto. Jakub si rende conto che il bambino sarà sempre chiuso dentro la prigione dei suoi occhiali, ma che, nonostante  questo, continuerà a vivere in Cecoslovacchia lottando per la sua libertà. Lui invece all’estero condurrà una vita di certo migliore perché la situazione è più semplice, ma sarà davvero la scelta giusta? Jakub si rende conto che lui dovrebbe rimanere e lottare per la libertà del suo Paese. Ciononostante, sale in macchina e, superato il confine, si rende conto di aver appena lasciato per sempre la sua unica vera patria.

È interessante notare la differenza del modo che questi due personaggi hanno di affrontare l’emigrazione. Sabina ha un rapporto negazionista verso la sua terra, sembra disprezzarla ma, al  tempo stesso, pare quasi ossessionata da essa.  Jakub invece capisce che la sua è la decisione più semplice, ma non è quella più giusta. Nonostante questo non torna indietro e va avanti per la sua strada. Entrambi i personaggi hanno in comune il sentimento di nostalgia e la sensazione di perdita delle radici. Sentono la necessità di tornare in Cecoslovacchia ma non possono e non vogliono farlo.

A partire dal 1968 la Cecoslovacchia è sotto il regime comunista, che pretendeva di controllare tutti gli ambiti della cultura attraverso delle regole ferree. Tuttavia si era formata una comunità di dissidenti, chiamata comunità underground, che scriveva e pubblicava testi non approvati dal regime. Questi testi, chiamati samizdat, potevano essere romanzi come manifesti contro la dittatura e

circolavano tra coloro che facevano parte di questa comunità “non ufficiale”. Kundera non era uno scrittore del regime, era considerato un dissidente perché si era schierato a favore della Primavera di Praga e nel 1970 fu espulso dal partito. Ciononostante aveva deciso di non pubblicare nessun samizdat in quanto riteneva i testi troppo politicamente impegnati. L’autore è poi emigrato in Francia nel 1975, dove ha ottenuto la cattedra di Letteratura Mitteleuropea a Rennes e poi a Parigi. L’ultimo libro scritto in ceco di Kundera è L’immortalità (1990), da lì in poi infatti pubblicherà solo libri scritti in francese, che, nemmeno ad oggi, sono stati mai tradotti nella lingua ceca. Il perché di questo rapporto burrascoso tra l’autore e la sua madre patria è ancora privo di risposte certe. Sembra che l’autore abbia rifiutato  le sue origini slave per abbracciare totalmente la cultura del Paese che lo ha accolto. Sebbene ci siano molti interrogativi sul perché Kundera abbia deciso di emigrare, una delle ipotesi più plausibili è il fatto che l’autore era stato accusato di essere una spia a servizio del regime comunista, e che avrebbe denunciato uno studente che lavorava per i dissidenti. Una delazione a Kundera ci fu anche nel 2008 ma non si è mai saputa la verità, quindi la questione rimane ancora sospesa e forse non si risolverà mai. Ciononostante, recentemente  l’autore ha deciso di donare il suo archivio proprio alla città di Brno, sua città natale, e questo sembra essere il primo passo per una riconciliazione a lieto fine.

È impossibile poter paragonare la migrazione di Kundera a quella dei suoi personaggi, ma in comune hanno il fatto che non sono più tornati indietro. Kundera è stato molto criticato dai suoi connazionali per questa sua azione, vedendola proprio come una fuga dai problemi, mentre altri scrittori cechi come lui sono rimasti e hanno lottato per la libertà del Paese contro il regime comunista.

Il tema della nostalgia legata alla migrazione è veramente molto attuale, sia in Italia che in molte altre parti del mondo. Le persone decidono di emigrare con la speranza di avere una vita migliore da quella che si lasciano alle spalle, sia che scappino da un paese in guerra, sia per vivere in delle condizioni economiche migliori. Nel caso di questi due libri naturalmente si parla di questioni politiche e sociali ed è davvero una domanda difficile quella che ci pone Kundera: è giusto scappare per il nostro bene personale o è giusto rimanere e lottare per un fine più nobile e collettivo?

Bibliografia
Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Milano, Adelphi, 1984.
Milan Kundera, Il valzer degli addii, Milano, Adelphi, 1989.

Apparato iconografico
Immagine in evidenza:
https://www.sovrapposizioni.com/blog/una-chiacchierata-con-milan-kundera
1.https://lapresenzadierato.com/2017/04/13/litinerario-casuale-delle-vite-imprevedibili-milan-kundera-e-i-pentagrammi-incerti-per-una-sinfonia-interrotta-di-michele-rossitti/
2.https://www.ibs.it/valzer­-degli­-addii-­libri­-vintage­-milan­kundera/e/2560846530539