Alla luna il ritorno: Mihai Mircea Butcovan tra Italia e Romania

Anna Chiara Canova

Secondo i dati ISTAT del 2019 i romeni rappresentano il 23% degli immigrati stranieri in Italia. Negli anni Novanta, questi rappresentavano invece solo l’1% della popolazione immigrata. Quando si parla di emigrazione solitamente la si intende come dettata da necessità economico­ lavorative, e tale motivazione rappresentò sicuramente per molti l’unico motivo per allontanarsi dalla Romania negli anni Novanta. Questa infatti, dopo un quarantennio di dittatura comunista, si apriva alla fase di “Transizione” che comportò tensioni sociali e un calo netto della qualità della vita; da ciò seguirono flussi migratori che interessarono parte della popolazione. Ma la necessità economica non fu l’unica motivazione e, numerosi giovani, emigrarono in Italia per migliorare la propria formazione; tra questi l’autore di Allunaggio di un immigrato innamorato (2006), Mihai Mircea Butcovan.

Butcovan nasce a Oradea nel 1969, una città della Transilvania a pochi chilometri dall’Ungheria dove trascorre la sua adolescenza. Nel 1991 emigra in Italia; trasferitosi a Milano, oggi lavora come educatore professionale nel recupero dei tossicodipendenti. Nel 2006 pubblica il romanzo Allunaggio di un immigrato innamorato, diario in cui racconta le avventure di Mihai, un giovane immigrato romeno che dalla terra del conte Dracula giunge nella Monza­Brianza della nascente Mediaset: dal comunismo al consumismo. Il protagonista incontra e si innamora di Daisy, una militante leghista; la vicenda amorosa diventa la modalità attraverso la quale l’autore osserva e riflette sulla cultura romena e su quella italiana, mettendone a nudo le incoerenze e dissacrandole con sapiente ironia. Il romanzo si sviluppa su tre piani temporali e due spaziali: i luoghi sono quelli di Bucarest e di Milano, proiettati su tre momenti temporali: la Romania degli anni Novanta di cui parla il narratore coincidente con il protagonista, l’Italia degli anni Novanta in cui si sviluppano  delle vicende e dei rapidi flashback sulla Romania degli anni Settanta/Ottanta, istantanee di quello che fu il comunismo romeno.

Il passato della Romania di Ceaușescu viene ricordato in episodi frammentari, come la ricerca di emittenti radio clandestine che dessero voci diverse rispetto a quelle del regime o tramite la presentazione di alcune conseguenze della politica interna, come il razionamento del cibo. In questo passato una misteriosa figura accompagna il protagonista: quella del maestro Iulian, un prigioniero politico che attraverso le sue parole di rara saggezza sollecita la ricerca del bene anche nell’inferno che fu il periodo comunista.  Nei ricordi del protagonista il maestro lo istruisce  anche su questioni filosofiche, sulle ragioni del vivere e del morire:

Soltanto in certi momenti si prende coscienza di quant’è effimera questa vita. Com’è appesa a un filo di ragnatela. Anzi è un filo di ragnatela. […] E quando scorgi anche quel maligno, quel ragno nero, brutto, molto brutto per noi viene voglia di scappare. […] C’è chi lo affronta e vuole fare piazza pulita. Ci riesce… Ammazza il ragno. Un ragno. […] Ma poi domani ne trova un altro […] e passa tutta la vita spolverando al propria  esistenza. Togliendo ragnatele o ammazzando maligni. […] sei circondato da mille ragni, mille bestie rosse o nere, ma che importa il colore! Mille brutte bestie da uccidere subito.” (p.39)

Il maestro ha insegnato all’allievo Mihai ad amare, a guardare con sospetto ogni ideologia; la rivoluzione è stata fatta, il Muro è ormai caduto e  le nuove generazioni hanno la possibilità di vivere  e costruirsi possibilità altrove, lontani dalle macerie. Ma il ricongiungimento tra Oriente e Occidente non è così immediato; dice il protagonista: “C’era un popolo diviso in due parti. Adesso abbiamo due parti che non riusciamo più a mettere insieme e farne un popolo. Fine.” (p.81) E immediata non sarà neanche la vita dei tanti che vedranno nell’Occidente il luogo nel quale ricominciare, allettati dallo stile di vita così diverso e “libero”.

In un passaggio del libro, il protagonista spiega agli amici le motivazione della sua migrazione a ritmi rap:

Ma io per le bevande / sono qui nello stivale / perché è bello incontrare / variegata culturale / Ceres, Strong e Du Demon / Moretti e Bitter Ale / brianzolo o terrone / non importa: italiano / Sara, birra e tettone / Bruno Vespa e Albano.” (p.79)

Possiamo notare come il protagonista, in modo autoironico e diretto, si mostra come stereotipo dell’immigrato, attribuendosi i pregiudizi rivolti ai romeni immigrati: alcool, donne e oscena volgarità. La questione dei pregiudizi è indubbiamente uno degli elementi centrali del libro di Butcovan: nelle prime pagine del romanzo figurano in ordine alfabetico insulti che evidenziano in modo caricaturale la percezione della presenza romena in Italia; tra i vari spiccano: “rubacuori con la chiave inglese, terrone romeno di radici neolatine e vampiro birraiolo.” (p.10). Ne emerge il quadro esagerato secondo cui i romeni sarebbero ladri, scansafatiche e alcolizzati; non sono risparmiate neanche le donne romene, dipinte come di facili costumi. Tutto ciò emerge nell’episodio ambientato nel Consolato Romeno a Milano, probabilmente uno dei più riusciti del libro, dove l’autore mette in scena come caratteri caricaturali tanto i romeni quanto gli italiani, in un gioco dell’assurdo in cui ciascuno si sente superiore non accorgendosi della comune condizione grottesca. Lo sguardo del narratore descrive con un’implacabile ironia (colorita dall’utilizzo del dialetto per alcuni personaggi) situazioni immaginarie ma altamente verosimili nelle quali i presenti in ambasciata,  siano romeni o siano italiani, mostrano con comicità le loro incoerenze. Sul palco del consolato c’è gente di ogni condizione sociale: “il muratore della bassa accompagnato dalla solita tettona romena” (p.70), il bergamasco che dalla Padania va nel paese di Dracula in gita con gli amici lanciandosi in festeggiamenti da “vippe” per incontrare ragazze romene che alla parola  “italiano” diventano le migliori compagne, il console che disprezza chiunque sia vestito male o parli male italiano ma blandisce gli italiani a prescindere dal vestiario e dalle proprietà di linguaggio.

Così, il protagonista del romanzo si destreggia tra i pregiudizi sulla Romania e le contraddizioni dell’Italia; unico possibile punto di contatto sembra quello della valorizzazione della cultura:

Ai compleanni regalo i libri di Eliade, Cioran, Istrati, Tzara […] E qualcuno dice sorpreso: “Pensavo che il primo fosse inglese e gli altri francesi”. Ha importanza? […] Ho venduto al Passalibro i volumi a cui ero più affezionato, per finanziare questo foglio ciclostilato. Un centinaio di copie che stampo a mie spese e che vorrei contribuissero a un dialogo più proficuo tra, almeno due, nazioni.” (pp. 89-­90)

Tale dialogo viene portato avanti dall’Osservatore Romeno, come si definisce l’autore stesso. Butcovan come il protagonista sceglie non solo di osservare la realtà che lo circonda ma anche di parteciparvi per far arricchire le due culture con reciproco scambio. Fin dal titolo si intuisce quanto l’arrivo nel Nord Italia debba essere stato straniante: viene infatti definito allunaggio, mostrando così l’alterità siderale dei nuovi luoghi. Ma la Luna non è solo spaventosa: si tratta di un suolo incerto ma affascinante dove il protagonista muove passi ardui ma ricchi di risvolti positivi. La luna è richiamata anche dal nome del bar dove il protagonista incontra Daisy, il Moon, ed è un elemento caro alla poetica dell’autore, ricorrente in moltissimi altri luoghi del testo. Mihai Mircea Butcovan ci accompagna nella scoperta del nuovo pianeta in cui incontra molti alieni, rossi e verdi, descrivendoli senza costruire slogan o allinearsi alla retorica dell’immigrato integrato;  con la mescolanza di giochi di parole, stralci  poetici e dei più vari registri linguistici porta anche noi lettori a sentirci alienati e incuriositi dal nostro pianeta proprio come l’immigrato allunato.

Quale è dunque il pianeta alieno e quale quello terrestre?

 

Bibliografia
Gianluca Bocchinfuso, Mihai Mircea Butcovan. Un osservatore romeno e le sue tante Italie, in Il Segnale, percorsi di ricerca letteraria, anno XXXI n. 91, 2012, pp. 14­-20.
Mihai Mircea Butcovan, Allunaggio di un immigrato innamorato, Nardo, Controluce, 2015

Apparato iconografico
Immagine in evidenza: https://www.outis.it/4474-2/ 
1. https://conaltrimezzi.wordpress.com/2011/02/25/intervista-a-mihai-mircea-butcovan/ 
2. https://www.pinterest.it/pin/389350330271271531/ 
3.https://www.repubblica.it/scienze/2018/12/23/news/alba_della_terra_50_anni_fa_la_storica_foto_scattata_dalla_luna-214948129/