“L’assedio”, un racconto di German Sadulaev

Giulia Sorrentino

 

German Sadulaev (1973, –), nato in Cecenia ma residente a San Pietroburgo, debutta nel 2006 con due libri: Ja čečenec! (“Io sono ceceno!”) raccolta di racconti ispirati alle sue vicende autobiografiche e alla guerra in Cecenia e Radio Fuck, romanzo sulle avventure di un perdigiorno a San Pietroburgo. La sua produzione letteraria oscilla tra il lirismo nostalgico e il manifesto sociale. Nella vita si dedica anche alla politica (si è candidato alla Duma con il Partito comunista della Federazione russa, KPRF).

Il breve racconto Blokada (“L’assedio”) è tratto dalla raccolta del 2009 Bič božij. Partizanskie rasskazy (“Flagello di Dio. Racconti partigiani”, 2010), il cui tema principale è quello della guerra, che imperversava nel passato e imperversa ancora nel presente e nel futuro, e quello della resistenza che l’umanità può opporvi.

Blokada narra una storia in apparenza banale e quotidiana, cioè il tragitto di una persona dalla sua abitazione ai negozi vicini per procurarsi beni di prima necessità. Ma l’identità della protagonista e le coordinate spaziotemporali della vicenda almeno inizialmente non risultano chiare,infatti il narratore mischia e sovrappone la percezione della realtà del personaggio principale con la realtà oggettiva. Così il lettore segue a tratti il tragitto di una bambina nella Leningrado assediata durante la Seconda guerra mondiale, a tratti quello di una vecchia pensionata nell’odierna San Pietroburgo. E ciò è possibile perché la realtà che circonda l’anziana risulta talmente ostile da farle rivivere il suo passato di bambina nella città sotto assedio. L’anziana donna si sente indifesa e in pericolo come allora e percepisce il capitalismo e la globalizzazione come una minaccia analoga all’invasione tedesca. Dal racconto di Sadulaev emergono la solitudine e l’alienazione dell’individuo preso nella morsa degli eventi storici e due tra i più grandi traumi della storia recente russa: l’assedio di Leningrado e il passaggio dal socialismo reale al capitalismo. Soprattutto quest’ultimo cambiamento epocale sembra travolgere la protagonista e portarla alla follia e alla morte, nell’indifferenza generale.

La traduzione e la pubblicazione sono state autorizzate dall’autore. 

 


L’assedio

Il rumore dei bombardieri pesanti ormai non cessava né di giorno né di notte. Di tanto in tanto si sentivano lo stridere e lo sferragliare del ferro, poi grida, imprecazioni e l’ululato delle sirene dei vigili del fuoco e della polizia: voleva dire che il nemico era stato abbattuto!

Una bambina piccola stava seduta fino a sera accanto a una finestra appannata: era stata sigillata a croce con della carta gialla per oscurarla, anche se la luce non si accendeva comunque, neanche alla sera. La lampadina nella stanza si era fulminata da tempo. Così non toccava neanche pagare l’elettricità.

Dopo averle raccolte nel palmo grinzoso la bambina portò alla bocca sdentata delle briciole di pane nero e le masticò a lungo con le gengive, bagnandole con la poca saliva densa che aveva. All’imbrunire, contati per l’ennesima volta i soldi – delle banconote accartocciate e una manciata di monete di ferro – ripose il portamonete nella borsa consumata, si infilò il cappotto della fabbrica “Bol’ševička” con la fodera lacera, il cappello di lana, si mise ai piedi gli stivali di gomma e uscì nel corridoio.

Dietro la porta a fianco la televisione cantava e ballava, mentre moglie e marito si prendevano a male parole. Un altro inquilino era appena entrato nella kommunal’ka e, passando dalla cucina, aveva sfiorato maldestramente la bambina con la spalla. Quella era indietreggiata verso il muro e le era parso di sentir borbottare: “Ma quand’è che crepi, vecchia strega?”

Girata di lato, rasentando la parete, la bambina si diresse verso l’uscita e armeggiò a lungo con le serrature della porta. Infine, una volta sul pianerottolo, chiamò la gabbia cigolante dell’ascensore, e scese al piano terra.

La porta d’ingresso si affacciava direttamente sulla strada, dove scorreva un flusso continuo di veicoli. Auto per trasporto passeggeri, lunghi camion, autocarri sferraglianti, rulli compressori e bulldozer.

Quasi su tutti i mezzi c’era scritto qualcosa in tedesco.

All’inizio pensò fossero trofei di guerra. Ma le persone a bordo non assomigliavano a dei soldati russi. Avevano tutti un aspetto feroce e spaventoso. E la bambina chinò la testa: voleva dire che i nazisti, nonostante tutto, erano riusciti a sfondare le difese.

Si incamminò per la strada scrutando le insegne e meravigliandosi per l’ennesima volta: come avevano fatto presto gli occupanti a cambiare tutti i nomi! Proprio qui, fino a ieri c’era la “Panetteria”, invece adesso un “Coffee shop” e da dietro la vetrina a specchio proveniva della musica straniera. Invece là, dove fino a poco tempo prima pendeva una lamiera di ferro con incisa l’accogliente scritta “Latteria”, risplendeva in blu elettrico la traslitterazione in russo di una terribile parola sconosciuta: “Supermarket”. La bambina proseguì oltre, fino all’angolo della strada, dove c’era una farmacia. La farmacia era ancora al suo posto. L’ingresso era sovrastato dalla scritta di grandi dimensioni “Drug Store”, seguita sotto da “Farmacia” in caratteri più piccoli, per la popolazione della città sotto assedio. E dall’orario di apertura.

Dietro il bancone c’era una ragazza, dall’aspetto sembrava russa. “Oh, quanti dei nostri hanno accettato di collaborare con gli occupanti!” pensò la bambina. D’altra parte, come biasimarli? Tutti vogliono vivere.

Si avvicinò al bancone e, dopo aver tirato fuori dalla tasca del cappotto una ricetta tutta accartocciata e spiegazzata, la porse alla commessa:

“Guarda qui cara, il dottore per il cuore mi ha prescritto…”

“Quante volte glielo devo dire, signora, noi non passiamo farmaci gratuiti! Siamo un’impresa commerciale. Deve andare alla farmacia statale, che è a quattro isolati da qui. Ma anche là le medicine gratis non si trovano quasi mai. La città non sta stanziando fondi.”

La bambina capì solo che di medicine non gliene avrebbero date. Sospirò e sgambettò verso l’uscita. Chiaro, non ci si metteranno certo i crucchi a curarci! Hanno già i loro di soldati da rattoppare e rammendare, perché l’Armata Rossa sta combattendo senza sosta e infliggendo molti danni al nemico. Non importa, ci penseranno i nostri a rimetterci in sesto quando arriveranno. Basta solo aver pazienza, resistere fino alla fine.

La testa le girava dalla fame, la vista le si offuscava e provava un dolore sordo allo stomaco. E allora? Tutti se la passano male in un periodo del genere. Era già da una settimana che non andava all’alimentari, avrebbe potuto procurarsi da mangiare, dovevano portare la razione prevista dalle tessere.

Dentro al negozio lo sfarzo colpiva subito gli occhi e le narici. Formaggi, insaccati, e tutti questi pacchetti, ancora pacchetti. Bottiglioni multicolori. Gli occupanti e i loro complici facevano grandi acquisti allegramente. Trasportavano carrelli carichi come montagne. La bambina, dopo aver messo in un cestino mezza pagnotta e del latte, si avvicinò alla cassa. Frugò nella borsa alla ricerca del portamonete, lo aprì e rovesciò i soldi in una ciotola di ferro.

Dietro la cassa si trovava una donnetta in carne, curata. Eh, come si è ingrassata per bene con il razionamento alimentare!

“Signora, cosa mi ci mette un’altra volta? Quelli sono soldi vecchi, che non valgono più! Ma si può sapere dove li prende? Ma non gliela danno la pensione?”

La pensione…certo che me la danno, arriva il postino, ogni mese. E subito dopo passa il vicino: “Vecchia, sborsa i soldi per la vodka, per i soldati al fronte!”

Se mi rincresce? No, tutto per il fronte, tutto per la vittoria. Io in qualche modo me la caverò. La cosa più importante è che i nostri in trincea si scaldino, mantengano lo spirito combattivo.

La cassiera scrollò la testa sul collo robusto e, raccolti i soldi, li ficcò nella mano della bambina:

“Prenda il suo pane e il suo latte e se ne vada, forza! Ecco, li metta nel sacchetto. Davvero, vada via, non mi blocchi la coda!”

E poi, rivolta verso la cassa vicina:

“È una povera crista di queste parti, mezza matta. Viene ogni settimana. Mi fa una pena! Metterò io i soldi in cassa subito dopo la chiusura.”

La bambina prese il sacchetto e uscì dal negozio.

Allora ci sono anche delle persone buone, persino tra quelle che lavorano per i nazisti! Quando i nostri torneranno, verranno assolte! Lei stessa andrà dove si deve a scrivere una dichiarazione su quella donnetta, in modo che non la puniscano per collaborazionismo.

Le era venuto da pensare così, ma subito rimproverò se stessa e si mi mise a sorridere sommessamente: “Ma che stupida che sono, che stupida! Era una dei nostri! Una dello spionaggio che lavora per la nostra salvezza! Non appena riprenderanno il potere i sovietici le daranno una medaglia.”

S’incamminò per la strada, strizzando gli occhi verso il solicello sbiadito con aria furbetta e trasognata.

Ah, che succederà quando la città verrà liberata dall’Armata Rossa?! Ma ci sarà una festa! Perché vinceremo, senza ombra di dubbio! Isseremo di nuovo le bandiere rosse, nei parchi suoneranno le orchestre, e le razioni alimentari aumenteranno e ci saranno i farmaci! Bisogna solo sopravvivere, resistere!

Sul marciapiede le stavano venendo incontro due uomini in uniforme blu con manganelli alla cintura. Polizei!

Spaventata strinse a sé la borsa e il sacchetto con la spesa, si appoggiò contro il muro e s’irrigidì.

Mi sequestreranno il cibo! Fa’ che non scoprano che quella è dei nostri, se lo vengono a sapere, che ha aiutato i suoi, la fucilano di sicuro!

I due polizei la raggiunsero e si fermarono.

“Che razza di barbona! Controlliamo i documenti?”

“Hai voglia di immischiarti con questa feccia? Cosa te ne viene? Andiamo che è meglio…”

Se ne andarono, e la bambina, scostatasi dal muro, fece un paio di passi.

Ma poi delle tenaglie le strinsero il cuore, e la bocca, contorta in uno spasmo, si spalancò, afferrando gli ultimi sorsi di aria gelata. Il corpo scivolò, accasciandosi sul marciapiede.

Che freddo, che freddo, o Signore, quant’è freddo… e quant’è buio.

Intanto le truppe entravano in città da tutti i lati: dal quartiere di Veselyj Poselok, da quello di Rževka, da Porochovye, dalle rive del golfo di Finlandia. I cingoli dei carri armati sovietici stridevano a contatto con l’asfalto e sul blindato stavano seduti degli allegri soldati dell’Armata Rossa, con il vento che gli agitava i riccioli che spuntavano da sotto le bustine e gli elmetti.

 

Bibliografia:

Andrej Astvacaturov, Giulia Marcucci, “Tra tradizione e innovazione. Il racconto russo oggi” in Falce senza martello. Racconti post-sovietici, a cura di G. Marcucci, Bari, Stilo Editrice, 2017.

Еlena Ponomareva, Kniga G. Sadulaeva “Bič božij. Partizanskie rasskazy” kak žanrovo-konceptual’noe edinstvo, in Puškinskie čtenija 2013. Chudožestvennye strategii klassičeskoj i novoj literatury: žanr, avtor, tekst, Materialy XVIII meždunarodnoj naučnoj konferencii, Sankt Peterburg, Leningradskij gosudarstvennyj universitet im. A.S. Puškin, 2013, pp. 59-66.

Еlena Ponomareva, “Epičeskoe izmerenie maloj prosy G. Sadulaeva”, in “Filologia i kul’tura. Philology and culture”, 2015, n.2 (40), pp. 225-230.

German Sadulaev, Ja — čečenec!, Moskva, Ul’tra.Kul’tura, 2006.

German Sadulaev, Radio FUCK, Moskva-Sankt Peterburg, AST, Astrel’-SPB, 2006.

German Sadulaev, Bič božij. Partizanskye rasskazy, Moskva, Ad Marginem, 2010. 

Apparato iconografico:

Immagine 1:  https://peterburg2.ru/events/prezentaciya-knigi-germana-sadulaeva-ivan-auslender-143835.html

Immagine 2: https://admarginem.ru/product/bich-bozhij/