Tutti siamo diretti verso il cimitero di Orlandovci. Uno sguardo su “Circo Bulgaria” di Dejan Enev

Debora Mazzuca

 

Circo Bulgaria è una raccolta di racconti edita da Bottega Errante nel 2023 dello scrittore bulgaro Dejan Enev e tradotta in italiano da Giorgia Spadoni.

Link al libro: https://www.bottegaerranteedizioni.it/product/circo-bulgaria/


I racconti, in tutto sessantadue, trasportano il lettore in uno spazio dove il reale e l’irreale si fondono, si concedono l’uno all’altro, in un vortice. Quando si inizia a leggere i primi racconti, è già chiaro il forte spirito ironico dello scrittore bulgaro che colpisce con una prosa breve, spesso i racconti occupano solo una pagina.

Lo spaccato presentato in Circo Bulgaria ha tutto il sapore di uno spettacolo circense, ne ha lo spirito e l’attrattiva. E allo stesso tempo ciò che colpisce il lettore, in pieno viso, è la consapevolezza che leggendo questo libro non si può ridere se non di un riso amaro.  Più si affonda nelle pagine e più i personaggi di questo circo ballano intorno al lettore una danza macabra, mentre la penna affonda nello spirito umano, nell’essenza della morte e della vita stessa che spesso nei personaggi e nella trama di questo libro si incontrano.

È un mondo urbano e rurale quello di Enev, un microcosmo paradossale e pieno di contraddizioni, di colpi di scena, di distorsioni della realtà. Si incontrano pastori, cacciatori, prostitute, ballerine, animali dello zoo e perfino becchini, in un caleidoscopio nel cui riverbero Enev restituisce le sue creazioni. C’è tutto: c’è l’uomo, c’è l’animale. Ci sono cose apparentemente immobili e immutabili, come le marionette con le quali parla in francese – esclusivamente – Zornica Popova, la protagonista del racconto Marionetta. Le due bambole, Tiberij e Belinda, con i loro fili e croci di legno donano conforto alla loro “marionettista” e le provocano una serie innegabile di emozioni, dalla gioia alla rabbia, quando si azzuffano come due bambini.

Interessante è il racconto del bambino Niki-Nikola, protagonista omonimo al titolo. La cornice che viene regalata da Enev è quella di Sofia, una descrizione fulminea del degrado e dell’incertezza alla quale il lettore accede seguendo una troupe televisiva all’interno del quartiere di Mladost. È qui che si presenta al lettore un bambino che dice di saper volare, di aver imparato a farlo senza mai lasciare la sua stanza. Lo afferma con convinzione anche sua madre, in un’atmosfera di tensione crescente che raggiunge un tragico epilogo.

 Il nostro servizio andò in onda la sera stessa sul primo canale e raccolse un successo incredibile. Il titolo rimase lo stesso: Icaro. Il volo di un bambino. Il finale era particolarmente impressionante. Includeva una conversazione di due minuti con la madre. «Non potevo proibirgli di farlo. Quanti anni abbiamo passato io e Niki-Nikola in questo stanzino! È stato orribile. E giù non c’era niente di buono ad attenderci, solo quelle zolle di terra. Sapeste con quanta gioia abbiamo raccolto le piume. Sbagliate se state ancora pensando che Niki-Nikola sia morto. Il mio bambino adesso è lontano, molto lontano. È volato in un paese dove la gente non conosce la paura».

Ciò è il segno che ogni personaggio di questo circo ci intrattiene anche e soprattutto in maniera conturbante, perché dietro alle illusioni degli eroi mitici e alle marionette francesi si nasconde la verità.

La carovana del circo è sempre in viaggio e si ferma spesso presso gli ospedali psichiatrici, dove non c’è delirio ma racconti di vita e morte, come La madre che, tra le mura della psichiatria, racconta in prima persona gli ultimi minuti di vita di suo marito prima che questo si suicidasse la stessa notte in cui partorì due gemelli.

Il lettore rimane colpito e affascinato, avido di nuovi personaggi, curioso di conoscerne gli anfratti più intimi. Non mancano atmosfere oniriche, come in La cavallerizza, dove l’assurdo si mescola con l’erotico nella tavolozza che Enev sa utilizzare magistralmente. Viene concessa la possibilità di seguire fino all’ultimo questo personaggio paradossale – uno scrittore di racconti erotici che si invaghisce di una ballerina di un night-club, lo segue con gli occhi fino ad immedesimarsi e finire nella trappola dell’illusione.

Tra le maglie della rete di questi racconti si scorgono i legami con la biografia dell’autore. Infatti, la maggiore ispirazione per le sue storie proviene da fatti reali, derivati dalla sua esperienza diretta e umana, soprattutto all’interno dell’ospedale di Sofia. Sono topoi che fanno da filo conduttore alle sue storie: la caserma, il sesso, gli ospedali psichiatrici. Nella concezione di Enev quella che sembra un’apparente ripetizione di temi e personaggi porta con sé nuovi elementi, nati tutti da testimonianze dirette e indirette di una vita vissuta a contatto con gli ambienti che vengono riproposti nei suoi testi. Sono proprio questi luoghi che fanno il fulcro e lo scenario di un circo quanto mai bizzarro ma che riflette la vita nella sua essenza, priva di fronzoli.

Spesso si coglie un tipo di realismo colmo di magia, in un paradosso al quale ci si affeziona quasi subito, mentre si immaginano i kozunak, i tipici dolci di Pasqua preparati nelle famiglie bulgare, che riposano nelle loro teglie, a patto di non essere mai disturbati, altrimenti la loro animuccia volerà via” (p. 19), forte segno di appartenenza a una cultura magica e popolare che in questi racconti si mescola bene con temi più impegnati e difficili, come quello della morte. La società magica di cui ci dà scorcio in Il muto è oltremodo importante. In questo racconto ci viene descritto il rito per poter chiedere una grazia: San Giovanni aiuta i muti, ma per far ciò bisogna mettere i vestiti vicino alla reliquia per una notte e poi tenerli addosso tre giorni, in un’ondata di tradizione magica che si conclude con l’immagine delle campane del monastero che  nel crepuscolo viola suonavano a vespro” (p. 222).

Quello dell’autobiografia è un tratto a doppio filo con il tempo, con la memoria: l’importanza di ricordare e il ricordo in questi racconti, usato come fonte di ispirazione e che ricorre nelle parole di molti personaggi.

Non si può non notare, nella traduzione italiana, la delicatezza della traduzione di Giorgia Spadoni. In un’opera che porta con sé riferimenti extra-testuali e difficoltà traduttive oggettive, la traduttrice è riuscita a trasporre e riportare al pubblico italiano anche le più sottili e inevitabili caratteristiche, come il difetto di pronuncia del bambino di Dolce e salato, partendo da quello che è un difetto tipico dei bambini bulgari e dando un aspetto culturalmente più vicino a quello italiano, senza perdere di vista l’importanza del riconoscimento della nazionalità del bambino in questione.

Seguendo il vortice dei racconti di Enev si viene trasportati in una dimensione distorta e reale, magica e psicologica, dove si incontrano e scontano le vicende umane più disparate, in un corteo che, come definisce il protagonista dell’omonimo racconto, Orlando, tutti siamo diretti verso il cimitero di Orlandovci, ma io sono il primo, sto in testa, a suonare i tamburi” (p. 152) . Nell’ammaliante mondo tracciato dalla sua penna, si balla al suono di tamburi e ci si lascia trasportare.

 


Pubblichiamo qui di seguito una breve intervista con l’autore, ringraziando Giorgia Spadoni di aver mediato traducendo tra italiano e bulgaro. Ringraziamo inoltre lautore, Dejan Enev, per aver risposto alle domande.

 

Debora Mazzuca: In un racconto fa dire a un personaggio “Le sigarette, dici, Veronika. Ma se sono queste il tuo unico legame con il passato? La gente fuma per stimolare i ricordi”. Questa frase ha ispirato la mia domanda, qual è il suo rapporto con il passato e con i ricordi?

Dejan Enev: Il passato e i ricordi sono una grande fonte di ispirazione, forse l’unica o comunque la principale a cui ogni autore attinge e ritorna costantemente. Il rapporto è continuo e dura tutta la vita, anche se io ormai non riesco a scrivere come quando ero più giovane, quando ho scritto questi racconti. Ora scrivo in modo diverso, con più difficoltà in un certo senso. In generale uno scrittore usa tutto ciò che ha vissuto, e aver lavorato come assistente ospedaliero è stata una grande fonte di ispirazione per me.

 

DM: Quali sono le sue fonti di ispirazione, letterarie e non? Ho letto che ha fatto molti mestieri nella sua vita, questo suo stare “sempre al vento” ha contribuito alla scrittura e al suo stile? E se lo ha fatto, in che modo?

DE: L’ispirazione è una delle cose più inafferrabili e capricciose che esistano. Tra gli scrittori che mi hanno influenzato ci sono sicuramente Isaac Babel’, J.D. Salinger ed Ernest Hemingway. La serie di professioni che ho svolto inoltre, in particolar modo i turni all’ospedale psichiatrico di Sofia, mi hanno permesso di assistere con i miei occhi a episodi che negli anni mi hanno portato a creare dei buoni testi. Alcune di queste scene sono indimenticabili. 

 

DM: Nel libro sembra che ci siano alcuni personaggi e temi ricorrenti, ognuno con le sue caratteristiche e motivi, ma accomunati sempre da qualcosa: solitamente è la condizione psichiatrica, il sesso o l’esercito. Che genere di connessione c’è tra queste realtà ricorrenti nei suoi racconti?

DE: Uno scrittore non deve aver paura di ripetersi, perché ogni ripetizione porta con sé nuovi elementi, anche se il tema è sempre lo stesso. Tutto ciò che ho scritto in questa raccolta viene da quello che ho visto, sentito o mi hanno raccontato e che è accaduto là, in quel posto dove si curano le anime umane – sempre che ci sia possibile sapere cosa sia un’anima e come si curi. Vale lo stesso anche per gli altri temi: la caserma, il sesso… che comunque sono tappe dell’esistenza stessa di una persona e dovrebbero essere sempre la fonte primaria della creazione artistica.

 

DM: Quali sono state le sfide di tradurre una raccolta di racconti cosi poliedrica e complessa, fitta di personaggi? E più nel particolare, mi chiedevo nel racconto “Dolce e salato” come sia riuscita a tradurre e a rendere il difetto di pronuncia del personaggio in maniera convincente nella lingua di arrivo?

Gorgia Spadoni: Le sfide sono state molte e tra le più disparate, dai cosiddetti realia – e cioè quei termini che designano degli elementi propri della cultura di partenza e che non trovano corrispondenti in quella di arrivo – ai rimandi storici e letterari, passando per una fitta rete di riferimenti topografici, proverbi, canzoni, giochi di parole. Il racconto Dolce e salato è forse quello che mi ha fatto rimuginare di più e richiesto maggior tempo per scegliere una strategia traduttiva convincente: nell’originale in realtà il difetto del bimbo non sta nella lettera S, bensì della R, che pronuncia sistematicamente come L. Si tratta di un fenomeno molto comune tra i bambini bulgari, mentre in italiano viene usato molto spesso per schernire il modo di parlare delle persone di origine asiatica, soprattutto cinese. Questo rimando è però praticamente assente in bulgaro. Per evitare fraintendimenti sulla nazionalità del bambino ho quindi deciso di modificare il difetto di pronuncia del piccolo protagonista, “jovanottizzandolo”.

 

Apparato iconografico:

L’immagine di copertina è stata concessa dall’autore tramite la traduttrice Giorgia Spadoni.