“Il viaggio più lungo”. Per una decostruzione del russocentrismo nella Storia

Anna Mangiullo

Nel 1992 il premio Nobel per la letteratura Josif Brodskij espresse le sue considerazioni in merito all’indipendenza che l’Ucraina aveva ottenuto l’anno precedente, e lo fece con una poesia dal titolo Na nezavisimost’ Ukrainy (“Per l’indipendenza dell’Ucraina”). In questa poesia, Brodskij nomina gli ucraini chochly, termine usato dai russi per indicarli in modo dispregiativo (l’etimologia del nome, infatti, rimanda al tipico taglio cosacco), manda loro urbanamente a quel paese e definisce quelle di Taras (Ševčenko, il poeta nazionale ucraino) come brechnja, sciocchezze.

Di questa poesia resta un’unica testimonianza visiva, in cui il poeta, prima della lettura, pronuncia “nečto riskovannoe, no tem ne menee ja ėto pročtu” (qualcosa di rischioso, tuttavia io la leggo).

I versi sono tornati in auge già dopo gli eventi di Majdan nel 2015, con un riferimento all’occupazione della Crimea. Secondo l’interpretazione russa, la poesia esprimerebbe solamente un sentimento comune condiviso al tempo da parte di quei russi che assistevano al cambiamento (o meglio disgregamento) dello spazio geopolitico del proprio Paese.

Il caso di Brodskij, infatti, non è isolato: un altro premio Nobel, Aleksandr Solženicyn, si esprimerà in toni simili in merito alla questione Ucraina, e anche la rock-star della letteratura russa, Eduard Limonov, condividerà quest’avversione nei confronti di un’Ucraina indipendente (di questi due ultimi casi ne parla magistralmente la professoressa Oxana Pachlovska).

Queste testimonianze da parte di figure illustri della scena letteraria russa, tanto acclamate in Italia, riemergono come un fulmine a ciel sereno, lasciando il lettore forse un po’ interdetto. In realtà, esse non sono altro che una prova di come la visione occidentale della Russia sia stata per tanto tempo edulcorata da una narrazione etnocentrica che, da buon retaggio imperialista, tendeva a inglobare a sé tutte quelle culture considerate come minori (non si sa bene rispetto a chi o che cosa), disincentivandone così l’interesse.

In questo contesto, la voce di Oksana Zabužko si colloca come un nuovo punto di vista all’interno di una narrazione unidirezionale e condotta per lo più a scapito del mondo culturale ucraino.

Oksana Zabužko è una delle autrici ucraine più tradotte, nota già al pubblico italiano per il libro Sesso ucraino. Istruzioni per l’uso (Controluce, 2014), per alcuni racconti presenti in Negli occhi di lei. Antologia di scrittrici ucraine contemporanee (Besa Muci, 2021) e adesso anche per Il viaggio più lungo (Najdovša podorož, 2022), edito per Einaudi e tradotto in italiano da Alessandro Achilli. Scritto in Polonia poco dopo lo scoppio della guerra, in questo saggio la scrittrice racconta la contemporaneità in maniera retrospettiva, attraversando la storia del Paese tramite salti temporali, in cui fatti storici si intersecano a ricordi e pensieri personali.

Link al libro: https://www.einaudi.it/catalogo-libri/problemi-contemporanei/il-viaggio-piu-lungo-oksana-zabuzko-9788806257279/

Il viaggio più lungo, Oksana Zabuzko. Giulio Einaudi editore - Stile libero Extra


In particolare, il libro è diviso in due momenti: la prima parte si focalizza sugli ultimi trent’anni; la seconda si espande a un excursus più generale sugli ultimi trecento anni.

La storia recente viene analizzata da Zabužko secondo i principi teorici della “diversione ideologica”, dottrina adottata dalla politica sovietica ed espressa apertamente nelle tv americane da Jurij Bezmenov, ex membro del KGB e dissidente sui generis, che nel 1970 scelse di schierarsi dalla parte occidentale, emigrando negli Stati Uniti. Bezmenov spiega come sia possibile conquistare un Paese senza un’invasione armata, seguendo semplicemente quattro tappe: la prima riguarda la 1) demoralizzazione (indottrinamento mediatico), al quale seguirà una fase di 2) destabilizzazione, che intacca direttamente le fondamenta dello Stato, per provocare una 3) crisi, in cui la destabilizzazione si tramuta in vero e proprio caos, con l’obiettivo di giungere alla 4) normalizzazione, ossia la totale perdita di sovranità. Ed è così che gli eventi di Majdan assumono agli occhi della scrittrice un nuovo significato: “Quando nella primavera del 2014 ho trovato una sua [di Bezmenov, N.d.R] intervista su YouTube rilasciata per caso nell’orwelliano 1984 eravamo in piena fase numero tre (la «crisi ucraina!»)” (p. 36). Sì, perché per i media occidentali, fino allo scorso febbraio, si trattava ancora di una “crisi russo-ucraina”, mentre solo da un anno si è iniziato a chiamare le cose col proprio nome e indicarla come una vera e propria guerra. Definizione che, per Zabužko, era già ovvia dal fatidico Majdan: Quando il I° dicembre del 2013 ho scritto a questo proposito un post su Facebook […] il mio «it’s a war» non fu compreso né dal pubblico ucraino né da quello occidentale” (p. 41), la nostra guerra con la Russia non è iniziata nel 2014. Nel 2014 Putin ha cercato di portarla a termine.” (p. 57).

Per preparare questa crisi, le tappe precedenti sono da ritrovare negli anni Novanta (la fase della “demoralizzazione”, p. 69), per giungere a quella della “destabilizzazione” (p.80), compresa tra il 2008 (anno, tra l’altro, dell’invasione russa della Georgia) e il 2013.

Nella seconda parte, Zabužko pone l’attenzione sulle dinamiche di potere adottate dalla Russia negli ultimi secoli, partendo orientativamente dal 1794, anno dell’annessione de facto dell’Etmanato da parte di Caterina II (si badi bene a non definirla “Grande”). Da quel momento in poi, l’Ucraina sarà costretta a lottare per la propria esistenza in uno stato di costante resistenza” (p.109), che riguarderà ogni aspetto della quotidianità, a partire dalla questione linguistica, una delle armi tramite cui l’Impero Russo ha cercato di soffocare la fioritura culturale ucraina, causando l’attuale situazione di bilinguismo del Paese. Una situazione che, alcuni intellettuali ucraini, vedono come paradossale: il problema è che sono proprio gli ucrainofoni ad essere bilingui, e quasi tutti conoscono il russo, mentre tra i russofoni la conoscenza e il rispetto per la lingua e la cultura ucraina non sono così frequenti. Quindi, il bilinguismo rischia di trasformarsi in un monolinguismo – quello russo”, spiega l’intellettuale Ivan Dzjuba in uno dei suoi saggi, La russificazione in Ucraina (Aracne, 2021, p. 94).

A differenza di quanto la propaganda russa abbia cercato di far credere, anche l’Ucraina possiede una propria storia. La differenza è che quella Russa ha cercato di ridare un’immagine alterata e fittizia della propria storia, seguendo l’esempio delle facciate alla Potemkin (riferimento alle facciate decorative costruite dall’omonimo generale per accontentate la sua amante, nonché imperatrice, Caterina II). Dal 24 febbraio del 2022 quella facciata costantemente rifatta e ritoccata per tre secoli è caduta. Era soltanto un bluff. La Russia è finita.” (p. 112)

Il viaggio più lungo smaschera questo bluff e offre la possibilità di guardare alla Russia con più disincanto, decostruendo quelle certezze su cui ci siamo appoggiati finora. Come giustamente ha notato la prof.ssa Brogi in un articolo pubblicato su Polonistica Sapienza,se è «grande»  [la cultura russa, N.d.R.] che bisogno c’è di dirlo a ogni passo? La cultura francese, tedesca, italiana, inglese… non hanno bisogno di mettere un aggettivo davanti: sono grandi, e lo sappiamo tutti. Perché dobbiamo continuare a prendere sul serio l’evidente complesso d’inferiorità della «cultura russa»? La grandezza morale e intellettuale si impone da sola, non c’è bisogno di retorica aggettivale per parlarne.”

Negli ultimi trent’anni all’Occidente è stata offerta per ben tre volte la possibilità di scoprire l’Ucraina: nel 2004 con la Rivoluzione Arancione, nel 2014 con Euromajdan e nel 2022, dopo il 24 febbraio, quando l’Ucraina, per la terza volta nel corso di questo secolo, ha mandato a monte i piani del Cremlino di schiavizzarla ancora” (p. 94). Forse questa volta il lettore europeo, consapevole di assistere a un turning point senza precedenti, sfrutterà meglio quest’opportunità di conoscere un Paese troppo a lungo ingiustamente sottovalutato. Il saggio di Zabužko, in questo senso, si colloca come un ottimo punto di partenza per un viaggio, in realtà, molto più lungo.

Bibliografia e Sitografia:

Giovanna Brogi-Berkoff, Una riflessione natalizia su Čajkovskij… e non solo, su “Polonistica Sapienza”, disponibile al link: https://polonisticasapienza.wordpress.com/2022/12/23/una-riflessione-natalizia-su-cajkovskij-e-non-solo/

Ivan Dzjuba, La russificazione in Ucraina, Roma, Aracne, 2021.

Apparato iconografico:

Immagine di copertina: https://gwaramedia.com/en/oksana-zabuzhko-awarded-stanislaw-vincenz-prize-in-poland/