Né angeli né prostitute: “La sconosciuta della Senna” di Ödön von Horváth

Silvia Girotto

 

Dall’immagine della cosiddetta “sconosciuta della Senna”, una giovane donna morta suicida ritrovata nel fiume parigino a fine Ottocento, venne creata dapprima la maschera mortuaria di una ragazza che presenta anche nella morte un misterioso sorriso, mentre successivamente si sviluppò il fascino per questa storia anche dal punto di vista letterario, una storia a cui anche Ödön von Horváth offrì un omaggio. Il suo libro Die Unbekannte aus der Seine (“La sconosciuta della Senna”, 1933) presenta infatti la storia di questa giovane, un racconto che fin dalle prime pagine insinua l’idea della morte nel pubblico, rendendola sempre presente in una pièce caratterizzata dal continuo alternarsi di botta e risposta a profondi e riflessivi silenzi. Horváth non fu l’unica personalità a trattare il tema e, come le altre che se ne occupano, anche lui si attenne alla versione popolare che voleva la ragazza annegata nella Senna e non, come sembra in realtà essere successo, morta per tubercolosi.

Nato nel 1901 e vissuto in numerose località che gli permettono di osservare i cambiamenti in Europa con uno sguardo attento, Horváth è un autore di lingua tedesca ma di cittadinanza austriaca che scrive testi teatrali e quattro romanzi durante la prima metà del Novecento. I viaggi che intraprende durante la sua giovinezza sono dovuti in gran parte al lavoro del padre, diplomato austro-ungherese che si sposta assieme alla famiglia a Belgrado, Budapest, Monaco e Bratislava e successivamente Vienna, dove il giovane von Horváth intraprende gli studi universitari. Qui inizia anche la sua attività di scrittore: risaltano tra le sue opere in particolare Geschichten aus dem Wiener Wald (“Storie dal bosco viennese”, 1931), pièce grazie alla quale riceve il Premio Kleist nel 1931, e Jugend ohne Gott (“Gioventù senza Dio”, 1937, edito in Italia sempre da Castelvecchi). Egli assiste agli orrori della sua epoca ed è costretto nel 1933 all’esilio, che lo porterà infine a Parigi, dove morirà a soli 36 anni. Proprio nell’anno di inizio del suo esilio propone al pubblico La sconosciuta della Senna, pubblicato in Italia nel 2021 da Castelvecchi Editore in un libro a cura di Nino Muzzi, che nella ricca introduzione presenta nelle loro principali peculiarità opera e autore.

Link al libro: http://www.castelvecchieditore.com/prodotto/la-sconosciuta-della-senna/

Nonostante il titolo lo insinui, non vi è alcuna certezza del fatto che la storia si svolga a Parigi. Al fiume che attraversa la città non viene attribuito alcun nome, anzi, per la descrizione dei luoghi e il caratteristico atteggiamento dei cittadini al pubblico questa città altro non può sembrare che Vienna. Le storie di vicini e conoscenti che si osservano l’un l’altro e sono a conoscenza degli scabrosi segreti che li riguardano ricorda la critica alla borghesia di scrittori austriaci del calibro di Schnitzler, ma riferendosi qui a strati sociali meno abbienti, mostrando quindi in una certa misura come le miserie della vita e dell’amore e i sotterfugi riguardino l’essere umano in quanto tale e non dipendano dalla classe di provenienza. Si ritrovano quindi personaggi come la fioraia Irene, l’orologiaio, l’ingegnere e sua moglie, lo studente amante della moglie dell’ingegnere e altri lavoratori. Particolarmente rilevante e nuovo è il fatto che Horváth presenti, al contrario di certi autori a lui contemporanei, personaggi femminili complessi e particolarmente sfaccettati, anche più di quelli maschili. Si trovano infatti Irene, la giovane fioraia che solo ad un primo sguardo appare semplice e scontata, rivelandosi poi pronta, ragionevole, sveglia, decisa e non disposta a lasciare che siano gli altri a influenzarla. Ella cerca anzi di prendere le redini della propria vita e anche in un testo teatrale relativamente breve è possibile notare questa differenza rispetto a una visione più stereotipata tipica dell’epoca. Anche la stessa sconosciuta è solo apparentemente una figura angelica e ingenua, se la si osserva con attenzione si può notare invece un tratto certamente più legato a un’immagine canonicamente identificata come femminile – la volontà di aiutare anche sacrificandosi – ma presentato in una maniera molto più realistica. Al contrario, sono le figure maschili ad essere caratterizzate da comportamenti eccedenti e immotivati, addirittura esageratamente sentimentali:

ERNST: Che abisso di menzogne! A questo punto non riconosco più neppure me stesso! Ma l’altro ieri non hai pianto nella notte dicendo perché mai non si possa porre termine con un colpo di pistola silenzioso a una vita sprecata in tal modo –

IRENE: Bugiardo! Bugiardo!

ERNST: Questa è la più violenta commozione della mia vita.

Silenzio.

IRENE: Oltretutto, Ernst, noi non siamo compatibili.

ERNST (Si mette la mano al cuore): Pensa al mio cuore, te ne prego.

IRENE: E tu ci pensi al mio fegato? Ormai tutto è indifferente.

(pp. 65-66)

Tema ricorrente dell’intero testo è, come ben si può comprendere una volta approfondito il titolo, la morte. Già dalla prime pagine si nota il presagio della disperazione, la morte sottintesa in maniera minacciosa da Albert, distrutto per amore di Irene, e successivamente in modo delicato dalla sconosciuta che si offre di tenergli compagnia in modo onesto e puro. L’idea del suicidio avvicina i due, mostrandoli come anime affini fin dal primo istante, anche se il loro idillio sarà ben breve. In generale l’idea della morte è osservata da ogni personaggio in maniera diversa, ma mai troppo profonda o evidente. Il caso estremo è rappresentato da Theodor, un uomo che esprime il suo lutto criticando con una risata allegra le altre persone, affermando come esse non possano essere più tristi di lui, che ha perso un parente. In generale si mostrano una serie di comportamenti bizzarri nei confronti della morte, partendo da questo buonumore di Theodor e passando ai componenti della squadra omicidi, che uscendo dalla casa dove si è consumato il delitto dibattono circa la birra più buona. L’unica a mostrarsi davvero disperata di fronte alla morte è la portinaia, trattata tuttavia con sufficienza dal resto della compagnia, che preferisce occuparsi della vicenda per curiosità, passando subito ad altri temi:

LO STUDENTE rivolto alla moglie dell’ingegnere: Così è la vita. Accanto alla felicità l’infelicità, e anche sotto lo stesso tetto. Mentre io ero beato accanto a te, un uomo si spegne.

LA MOGLIE: Ti prego di non parlare con me. Quella ragazza non ci perde di vista.

LO STUDENTE: Chi? Klara?

LA MOGLIE: Sì. E poi ripartono le lettere anonime.

LO STUDENTE: Oh, come viene tutto sporcato, quello che è più sublime e più puro –

(p. 42)

Evidente è qui la volontà di trattare l’argomento privandolo di tutti gli orpelli superficiali, arrivando a osservare la morte come una compagna sempre presente, nonostante essa non venga nominata. Di fronte alle pene d’amore essa è solo un mezzo per convincere, per portare a compassione, non certo un fine e infatti anche la morte attorno a cui gira gran parte della vicenda non è del tutto premeditata. La stessa sconosciuta non la usa come arma per ottenere quel che vuole e il suo stesso rapporto con la morte non è centro della storia, rendendola ancor più un personaggio sviluppato e realistico, specie se accompagnato dalla decisa e concreta Irene. La sconosciuta del titolo rimane sconosciuta, ma assume i tratti della donna realistica: né angelo né prostituta, bensì donna piena di vita e voglia di aiutare, non ingenua ma nemmeno decisa. Una donna reale che in una riflessione finale offre a questo testo la possibilità di essere tutto sommato una realistica rappresentazione dei rapporti umani nelle loro sfaccettature in un luogo senza nome, come a volerne sottolineare la validità in ogni tempo e in ogni spazio.

Apparato iconografico: 

Immagine copertina: https://m.srf.ch/audio/hoerspiel/der-ewige-spiesser-von-oedoen-von-horvath?id=10264535

Immagine 2: https://it.wikipedia.org/wiki/%C3%96d%C3%B6n_von_Horv%C3%A1th