In principio di nuovo il verbo: “Punto di fuga” di Michail Šiškin

Eleonora Smania

 

Pis’movnik (“Punto di fuga”, 2010) è un romanzo epistolare di Michail Pavlovič Šiškin, pubblicato in italiano da 21lettere editore lo scorso marzo e inserito nella cinquina delle opere candidate al Premio Strega Europeo 2022.

Link al libro: https://www.21lettere.it/product-page/punto-di-fuga


Nato a Mosca nel 1961, Michail Pavlovič Šiškin viene annoverato tra gli autori contemporanei più importanti della letteratura russa. Vincitore di ben tre prestigiosi premi letterari – Russian Booker Prize, Russian National Bestseller, Big Book Prize –, da anni si dedica incessantemente alla promozione della cultura e letteratura russa e scrive articoli su “The New York Times”, “The Wall Street Journal”, “The Guardian”, “Le Monde”, “The Indipendent” e altri importanti quotidiani. Dichiarato oppositore del governo di Putin, nel 2013 ha rifiutato di rappresentare la Russia al Book Expo negli Stati Uniti. In Italia sono stati pubblicati i suoi romanzi più celebri, come Vzyatie Izmaila (“La presa di Izmail”, romanzo con il quale ha vinto il Russian Book Prize nel 1999), edito da Voland nel 2007; nel 2005 pubblica il capolavoro Venerin Volos (“Capelvenere”, premiato con il National Bestseller Prize nel 2005)  edito in italiano da Voland nel 2006 e infine Pis’movnik, romanzo che gli aggiudica il Big Book Prize nel 2010.

Pis’movnik è un romanzo che narra la storia d’amore tra Volodja e Saša, due giovani russi separati dalla guerra. Volodja, aspirante scrittore, s’arruola nella guerra dei Boxer, mentre Saša attende il suo ritorno, cercando di far fronte alle aspettative e difficoltà di una donna nella provincia russa. I due innamorati danno quindi inizio a uno scambio di lettere, dove narrano la loro vita e sofferenze. Le immagini di vita quotidiana vissute tra la noia e l’insofferenza  da Saša s’alternano alle scene brutali della guerra in Cina vividamente descritte da Volodja, dando vita a una struttura narrativa basata sulla contrapposizione di scenari estremamente opposti, uniti unicamente dall’amore e il tenero affetto che i due giovani si dichiarano costantemente nelle loro lettere. Leggendo il romanzo, si può notare come le lettere spedite da entrambe le parti molto spesso non ricevono mai risposta, sottintendendo che gran parte delle lettere non sia mai giunta a destinazione.

Ciò che colpisce del romanzo non è solo la forte critica verso la società russa moderna e la chiara condanna della guerra, ma anche (e soprattutto) la presenza di personaggi vivi, mossi da emozioni, riflessioni e memorie autentiche. Tale autenticità risalta in maniera prorompente nelle lettere, mezzo con il quale Volodja e Saša esprimono i loro desideri e le loro manie, riflettono sulla vita e la morte e riportano a galla ricordi legati al loro passato.  Di forte impatto sono i passaggi in cui Saša parla del rapporto complicato con la madre, dalla quale non riesce a ricevere l’affetto desiderato e con la quale sviluppa un forte senso di competizione.

“Ripeteva sempre una cosa che aveva letto non so dove, che la vita non è un romanzo, non è rose e fiori, non si può fare solo quel che si vuole, e non siamo venuti al mondo per spassarcela. Non le piaceva quando uscivo, non le piacevano le mie amiche e odiava Janka. Pensava che avesse una cattiva influenza su di me. Papà mi difendeva sempre “Ma ha bisogno delle sue amiche!” Tutto finiva tra le lacrime della mamma “Sei sempre dalla sua parte!” E sentiva che c’era più tra me e papà che tra loro due. Credo che entrambe avvertissimo che per papà ero più importante io di lei. Un giorno ho capito cosa non mi piaceva di lei. Era una donna per cui tutto nella vita doveva andare come diceva lei, in nessun altro modo. Sapeva sempre cosa voleva e come ottenerlo. Che si trattasse di mobili o di persone.” (p. 66)

Altro elemento interessante è il ruolo occupato dalla scrittura nel romanzo, che non si rivela solo un espediente per alleviare il dolore causato dalla separazione forzata e per rifugiarsi in una dimensione più intima e sicura della dura realtà. Infatti, nel corso del romanzo viene sviluppata una lunga e complessa riflessione sulla natura della  parola scritta in quanto vero e proprio principio vitale, che dà origine a ogni forma vivente.

“Apro il giornale di ieri, parlano di noi due.
Scrivono che in principio sarà di nuovo il verbo. Ma a scuola insistono con la solita vecchia solfa: il big bang e la materia che deflagra.” (p.7)

La parola scritta non sempre però reincarna il principio vitale menzionato. Basti pensare a come il genere umano consideri la scrittura, assieme all’arte, come gli unici strumenti in grado di assicurare l’eternità all’essere umano, condannato alla sua condizione di mortalità. La parola può quindi fissare in eterno un oggetto, una persona o un animale in un preciso momento, cristallizzandolo e privandolo di quell’essenza vitale che rendeva unico ed eccezionale quel soggetto.

“Forse i libri non sono sulla morte, ma sull’eternità, un’eternità non vera però, è solo un frammento, un istante, come la mosca nell’ambra. Si è posata un attimo per grattarsi le zampine posteriori, e così è rimasta intrappolata per l’eternità. Certo, catturano tanti meravigliosi istanti, ma non è terribile rimanere così in eterno, come una statuina di porcellana, il pastorello tutto proteso a baciare la pastorella? Che me ne faccio della porcellana? Ho bisogno di tutto ciò che è vivo, qui e ora.” (pp. 16-17)  

L’obiettivo che la scrittura deve perseguire non è quindi catturare l’essenza vitale e fissarla immutata in un momento preciso, ma esprimere la connessione universale che attraversa ogni creatura, anche negli aspetti più terribili e drammatici dell’esistenza umana. La parola ha quindi la capacità di dare una giustificazione e un significato alla realtà circostante, anche nei momenti più tragici dell’esistenza.

“A un certo punto ho sentito la connessione in modo acuto: il vuoto universale congelato, da cui non potevo scappare, può essere riempito solo da quel meraviglioso ronzìo, fruscìo, mormorìo, fragore di parole. Ho scoperto che il momentaneo, il transitorio diventa gioioso e significativo solo quando passa per le parole. Tutto il presente è insignificante e futile se non porta alle parole e se le parole non portano a lui. Solo le parole giustificano in qualche modo l’esistenza delle cose, dando un senso all’attimo, rendono reale l’irrealtà, mi rendono me stesso.” (p. 205)

La struttura del romanzo epistolare si presta perfettamente al tema trattato, perché è il genere letterario che rappresenta al meglio la consapevolezza umana verso l’inevitabilità della morte e non tenta di cristallizzare un momento che non tornerà mai, “Perché anche noi moriremo. E dal punto di vista delle lettere, noi siamo già morti”. (p. 215)

Ecco da cosa scaturisce la bellezza commovente di questo romanzo: è la forte connessione che unisce i due giovani e sfortunati protagonisti uniti dal loro tenero amore, che sfida i confini del tempo e dello spazio.

Pis’movnik rappresenta la sfida dell’autore che tenta di raccontare la vita umana in tutta la sua bellezza e in tutte le sue brutture senza incappare nel facile pietismo, trasmettendo l’essenza vitale in tutta la sua potenza e accompagnando il lettore nel percorso di crescita intrapreso da Volodja e Saša, mentre si pongono domande sul mistero della vita e su come accettare la morte nelle loro vite nel modo meno doloroso possibile.

 

Apparato iconografico:

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