“Le orme”, un racconto di Karel Čapek

Traduzione di Bianca Dal Bo

Šlépěje (“Le orme”) è un racconto di Karel Čapek pubblicato all’interno della raccolta Povídky z jedné kapsy (“Racconti da una tasca”), composta da 24 racconti di carattere poliziesco e pubblicata per la prima volta nel 1929 dalla casa editrice Aventinum. I racconti uscirono in traduzione italiana nel 1989 presso la casa editrice Aktis, a cura di Nilo Pucci.

Il testo, come segnalato anche da una nota dell’autore stesso, si riallaccia al precedente racconto L’orma. Come nel primo racconto, infatti, anche in questo si ritrova una struttura molto simile. Due uomini, in questo caso il signor Rybka e l’ispettore Bartošek, si interrogano su come delle orme solitarie nella neve siano potute finire nel bel mezzo della via, senza che vi siano altre tracce intorno. Come ne L’orma, nonostante i continui tentativi di riflessione, non si riesce a trovare una qualche soluzione al mistero.

Edizione ceca di riferimento: Karel Čapek, Povídky z jedné a z druhé kapsy, Praha, Československý spisovatel, 1993.

Edizione di Československý spisovatel del 1993

Le orme [1]

Quella notte il signor Rybka stava rientrando a casa particolarmente di buon umore, prima di tutto perché aveva vinto la sua partita a scacchi (un bello scaccomatto col cavallo, si beava compiaciuto lungo il cammino), e poi perché era caduta della fresca neve che gli scricchiolava teneramente sotto i piedi in quel piacevole e immacolato silenzio. Dio mio, che bellezza, pensava il signor Rybka; la città sotto la neve si trasforma all’improvviso in una città piccola, una cittadina all’antica … si potrebbe quasi credere nei ponocní[2] e nelle diligenze; è curioso che la neve possa creare un’atmosfera tanto arcaica e rurale.

Scric, scroc; il signor Rybka cercava di percorrere i tratti con la neve ancora intatta solo per la gioia di sentire quel morbido scricchiolio sotto le scarpe; e siccome abitava in una silenziosa via residenziale, a mano a mano che avanzava verso casa le orme diminuivano. Vediamo un po’, qui davanti ai cancelli scomparivano le impronte di un paio di scarpe da uomo e di un paio di scarpette da donna; saranno marito e moglie … chissà se sono giovani, si interrogò con tenerezza il signor Rybka, quasi li volesse benedire. Ed ecco che un gattino aveva attraversato la strada e impresso sulla neve le sue orme, simili a fiorellini; buonanotte, micio, ti si geleranno le zampette. E ora si vede ormai solo una riga di orme, maschili e profonde, una dritta e precisa catena di passi, stampati da un passante solitario. Chi mai dei vicini sarà passato per di là? si chiese il signor Rybka con fare amichevole; per di qua passano così poche persone, non c’è nemmeno un solo solco nella neve, siamo davvero ai margini della vita; quando arriverò a casa, la stradina stringerà a sé il suo bianco piumone su fino al naso e sognerà di essere solo un giocattolo per bambini. Peccato che al mattino verrà a calpestare tutto la vecchietta dei giornali; lascerà sicuramente le sue impronte a destra e a manca, saltellando come una lepre …

Il signor Rybka tutto d’un tratto si immobilizzò: nel preciso momento in cui stava per attraversare la candida stradina per avvicinarsi al suo cancello, vide che c’erano altre orme, già ben impresse prima del suo arrivo, che si allontanavano dal marciapiede e attraversavano la via, puntando alla porta di casa sua. Chi può mai essere venuto a trovarmi? si disse perplesso, tentando di seguire con gli occhi quelle impronte ben distinte. Ce n’erano cinque; e proprio in mezzo alla strada finivano di colpo con la netta impronta del piede sinistro; e subito dopo più nulla, solo neve, intatta, così com’era caduta.

Sto diventando matto, si preoccupò il signor Rybka … magari il passante è tornato sul marciapiede … ma fino a dove riusciva a vedere il marciapiede era liscio e tutto coperto di soffice neve senza neanche un solo passo di uomo. Oh perbacco, si meravigliò il signor Rybka, probabilmente le impronte continueranno dall’altro lato della strada. Fece allora il giro di quella fila incompiuta di passi; ma nell’altro marciapiede non c’era nemmeno un’orma; e così via, l’intera strada continuava a splendere di neve immacolata e morbida, una tale purezza da lasciar senza fiato; nessuno era passato lì da quando la neve era caduta. Che strano, borbottò il signor Rybka, forse quel tizio è tornato indietro fino al marciapiede ricalpestando le sue stesse impronte; ma allora avrà dovuto camminare all’indietro sulle proprie orme fino all’angolo della strada, dato che davanti a me vedo solo una fila di orme dirette in un’unica direzione, e cioè qui … ma perché mai quel tizio avrebbe dovuto fare una cosa simile? pensò stupito il signor Rybka. E poi come accipicchia sarà riuscito a tornare indietro ricalcando alla perfezione ogni singola impronta?

Scuotendo la testa, aprì la porta ed entrò in casa; sebbene fosse consapevole del fatto che non avesse senso, si mise a guardar bene se ci fossero tracce di neve dentro casa; ma in quale strano modo, poi, sarebbero arrivate là! A questo punto me lo sarò solo immaginato, borbottò preoccupato il signor Rybka, e si sporse dalla finestra; sulla via, alla luce del lampione, vide chiaramente cinque impronte nette e profonde, che finivano in mezzo alla strada; e poi più nulla. Dannazione, si disperò il signor Rybka stropicciandosi gli occhi, una volta lessi una storiella del genere che narrava proprio di un’impronta solitaria sulla neve; ma qui ce n’è addirittura una fila intera e, di punto in bianco, il nulla … Chissà dov’è sparito quell’uomo?

Scrollando ancora la testa cominciò a spogliarsi; a un certo punto, però, si arrestò, si precipitò al telefono e chiamò con voce ansiosa il commissariato di polizia: “Pronto, signor commissario Bartošek? Salve, la prego, qui è successa una cosa strana, molto strana… Se potesse mandarmi qualcuno, oppure, ecco, meglio che venga lei in persona … Perfetto, io l’aspetterò all’angolo. Non so dirle di che si tratta … No, non penso ci siano pericoli; si tratta solo di impedire che qualcuno distrugga quelle impronte!  … Il punto è che non so di chi siano! E va bene, la aspetterò.”

Il signor Rybka si rivestì e uscì di nuovo all’aria aperta; con cautela passò accanto alle impronte, facendo anche attenzione a non calpestarle sul marciapiede. Tremante per il freddo e per la rabbia, se ne stette lì all’angolo della strada ad aspettare il commissario Bartošek. Regnava il silenzio e la terra con tutti i suoi abitanti splendeva pacifica nell’universo.

“Qui è tutto così tranquillo”, bofonchiò il commissario Bartošek con un pelo di malinconia. “E a me oggi sono capitati una rissa e un ubriacone. Puah! … Allora, che ha da farmi vedere?”

“Osservi attentamente queste impronte, signor commissario”, disse con voce eccitata il signor Rybka. “A due passi da qui.”

Il signor commissario li illuminò con la sua pila elettrica. “Beh, un bello spilungone, circa un metro e ottanta”, ipotizzò, “a giudicare dalla grandezza delle orme e dalla lunghezza dei passi. Aveva delle buone scarpe, cucite a mano, direi. Di certo non era sbronzo e camminava con passo abbastanza deciso. Io davvero non capisco, cosa ci trovi lei di tanto strano in queste impronte.”

“Questo”, tagliò corto il signor Rybka indicando la catena interrotta di passi al centro della strada.

“Ah”, fece il commissario Bartošek e, senza tante cerimonie, si diresse verso l’ultima orma, si accovacciò e proiettò sul posto la luce della sua pila. “Non ci vedo nulla di strano”, disse soddisfatto, “è tutto normale, un’impronta ben profonda. Il peso del corpo poggiava per lo più sul tallone; se il tizio avesse fatto un altro passo o un altro salto, che so io, il peso sarebbe passato tutto sulla punta del piede, capisce? E si sarebbe dovuto vedere.”

“Allora questo significa …”, rifletté nervoso il signor Rybka.

“Beh”, disse con voce calma il commissario, “questo sta a significare che più avanti di così non è andato.”

“E quindi dov’è sparito?”, sbottò ansiosamente il signor Rybka.

Il commissario alzò le spalle. “Eh, questo non lo so. Sospetta per caso di qualcuno?”

“Se sospetto?”, ribatté sorpreso il signor Rybka. “Io vorrei semplicemente capire che fine ha fatto. Guardi, qui ha fatto un ultimo passo e, santa pace, dov’è andato dopo? Io non noto nessun’altra impronta!”

“Questo lo vedo anch’io”, commentò secco il commissario. “Ma a lei, scusi, perché le interessa sapere dov’è andato? È per caso qualcuno che sta a casa sua? È sparito qualcuno? Allora, santo cielo, cosa le cambia sapere che fine ha fatto?”

“E no, questa cosa va chiarita”, farfugliò il signor Rybka. “Non pensa che, magari, possa essere tornato indietro sulle proprie orme?”

“Assurdo”, borbottò il commissario. “Quando uno torna indietro, fa passetti piccoli e tiene le gambe un po’ più divaricate di così per aver maggior equilibrio; inoltre non solleva i piedi, e pertanto dovrebbe imprimere coi calcagni interi solchi nella neve. Su questi solchi ci hanno camminato solo una volta, signore. Non nota la precisione con cui sono stati fatti?”

“E se non fosse veramente tornato indietro?”, insistette il signor Rybka, ostinato, “dove s’è perso?”

“Questo è affar suo”, brontolò il signor commissario. “Ascolti, se non ha fatto nulla di male, allora noi non abbiamo alcun diritto di immischiarci nei suoi affari. Solo se ricevessimo una denuncia da parte di qualcuno, allora senz’altro inizieremmo con le indagini preliminari…”

“Ma com’è mai possibile che un uomo scompaia così in mezzo alla strada?”, si disperò il signor Rybka, tremando tutto.

“Dovete aver pazienza, signore mio”, consigliò pacifico il commissario. “Se qualcuno è scomparso davvero, ce lo denuncerà tra un paio di giorni la famiglia o qualcun altro; ed ecco che dopo inizieremo le ricerche. Ma se nessuno ne denuncia la scomparsa, allora non possiamo farci nulla. Non si può proprio.”

Nel signor Rybka cominciò a salire una cupa irritazione. “Mi scusi”, commentò a denti stretti, “ma a mio parere la polizia avrebbe il compito di interessarsi almeno un po’ al fatto che un pacifico passante si sia improvvisamente volatilizzato in mezzo alla strada!”

“Ma si calmi, non gli sarà successo nulla”, lo consolò il signor Bartošek. “Ma non si rende conto che non c’è traccia di una possibile colluttazione… Se qualcuno lo avesse aggredito o rapito, allora ci dovrebbe essere un campo minato di impronte… Mi spiace tanto, signore, ma non trovo nessun motivo per intervenire.”

“Ma, signor commissario”, lo pregò il signor Rybka con le mani congiunte, “allora almeno mi spieghi è… è un tale mistero…”

“Lo può ben dire”, acconsentì il signor Bartošek con aria pensosa. “Non ha idea, signore, di quanti misteri ci siano al mondo. Ogni casa, ogni famiglia è un mistero. Giusto mentre venivo da lei, per esempio, ho sentito una giovane voce femminile singhiozzare lì, proprio in quella villetta. Signore, i misteri, ecco, non ci riguardano. Noi veniamo pagati per mantenere l’ordine. O forse pensa che ci mettiamo a indagare sui delinquenti per pura curiosità? Signore, noi li cerchiamo per sbatterli in cella. L’ordine è tutto.”

“Ma lo dice anche lei”, sbottò il signor Rybka. “Allora riconosce anche lei che non è, diciamo, del tutto ordinario che uno così in mezzo alla strada… ipotizziamo, si sia sollevato su dritto in aria, no?”

“Dipende da come si interpretano le cose”, ribatté il commissario. “Secondo una disposizione di polizia se uno corre il rischio di cadere da una buona altezza, allora dev’essere assolutamente legato. In tal caso, innanzitutto, si beccherebbe un’ammenda e, poi, pure una bella multa… Se quest’uomo si fosse sollevato di sua spontanea volontà in aria, allora senz’altro un agente di polizia avrebbe dovuto ammonirlo invitandolo cortesemente ad allacciarsi alla vita una fascia di sicurezza; certo, in questo caso, non c’era nessun poliziotto”, disse con tono di scuse. “Se ci fosse stato avrebbe lasciato un sacco di impronte. Del resto, può darsi che il tizio si sia allontanato in altri modi, no?”

“Ma quali?”, aggiunse impaziente il signor Rybka.

Il commissario Bartošek scosse la testa “Difficile a dirsi. Bah, si potrebbe pensare a una qualche ascensione, oppure alla scala di Giacobbe”, disse non troppo convinto. “L’ascensione, magari, si potrebbe considerare un sequestro, se ci fosse di mezzo un atto di violenza, ma credo che questa di solito avvenga con il consenso dello stretto interessato. Certo, è possibile che il tizio sappia volare. Lei non ha mai avuto l’impressione di volare? Basta che uno si metta a molleggiare un pochetto sulle gambe e il gioco è fatto, già si libra in volo… Alcuni volano proprio come una mongolfiera, ma io, nei miei sogni, quando mi metto a volare, devo per forza, di tanto in tanto, rimbalzare con un piede a terra per prendere di nuovo lo slancio; la colpa dev’essere proprio dei miei abiti pesanti e della sciabola. Magari quel tizio si è addormentato e in sogno ha cominciato a volare. Ma questo non è vietato, signore. Ovviamente, in una via trafficata un agente lo avrebbe dovuto ammonire. Oppure, aspetti, può darsi che sia stato un caso di levitazione, gli spiritisti credono nella levitazione, ma neppure lo spiritismo è vietato. Una volta, un certo signor Baudyš mi disse di aver visto un medium sospeso nel cielo. Chissà se c’è da crederci.”

“Ma signore”, disse il signor Rybka con tono di rimprovero, “non crederà mica a queste baggianate! Si tratterebbe di violazione delle leggi della natura…”

Il signor Bartošek si strinse nelle spalle con malinconia. “Signore, io so che la gente tende a infrangere qualsiasi genere di legge o di prescrizione; se fosse un poliziotto anche lei, allora ne vedrebbe delle belle a riguardo…” Il commissario fece un cenno con la mano. “Io non mi stupirei più di tanto, se riuscissero a trasgredire anche le leggi della natura. C’è certa gentaglia in giro, signore! Allora la saluto, buonanotte; questo freddo penetra nelle ossa.”

“Ha piacere di fermarsi da me per una tazza di tè o un bicchierino di slivovice[3]?”, propose il signor Rybka.

“E perché no?”, bofonchiò malinconico il commissario. “Sa, con questa uniforme uno non può più nemmeno metter piede in osteria. È per questo che i poliziotti bevono poco.”

“Un mistero bello e buono”, soggiunse, lasciandosi cadere sulla poltrona e guardando con aria assorta la neve che gli si scioglieva sulla punta di uno stivale. “Novantanove persone su cento sarebbero passate accanto a quelle impronte senza accorgersi di nulla. E lei a sua volta non si accorge di altre novantanove cose su cento, altrettanto dannatamente misteriose. Non sappiamo proprio un fico secco di come gira il mondo. Poche sono le cose che non sono misteriose. L’ordine non è misterioso. Neanche la giustizia è misteriosa. Nemmeno la polizia è misteriosa. Ma ogni uomo che si vede camminare per strada è un mistero, perché non possiamo saperne nulla, signore. Appena ruba qualcosa, allora smette di essere misterioso, perché lo sbattiamo dietro le sbarre, voglio dire, lo rinchiudiamo in una cella, ed è fatta; almeno sappiamo cosa fa e possiamo tenerlo d’occhio ogni volta che ci pare attraverso lo spioncino di una porta, capisce? La prego, pensi ai giornalisti che scrivono, per esempio, ‘Misterioso rinvenimento di un cadavere! ’ E mi dica lei cosa può esserci di misterioso in un cadavere? Quando ci arriva in commissariato, ci limitiamo a misurarlo, fotografarlo e sventrarlo; conosciamo ogni suo minimo segno, sappiamo qual è stato il suo ultimo pasto, il motivo per cui è morto e ogni genere di cose che lo riguardano; salvo questo, sappiamo che qualcuno lo ha ucciso, per esempio, per i soldi. È tutto così chiaro ed evidente… Avrebbe la cortesia di versarmi una tazza di tè bello scuro, signore. Ogni crimine è limpido, signore; in essi almeno si vedono i moventi e tutto ciò che li riguarda. Misterioso è invece quel che pensa la sua gatta, cosa sogna la sua cameriera o perché sua moglie resta davanti alla finestra con aria tanto assorta. Caro signore, tutto è misterioso tranne i casi penali; un caso poliziesco, è proprio uno di quei pezzetti di realtà ben definiti, un settore su cui siamo riusciti a far luce. Guardi, se mi mettessi a dare un’occhiata intorno, allora verrei a sapere parecchie cose su di lei; ma io me ne resto a osservare la punta dei miei stivali, perché non sono affari miei; voglio dire, contro di lei non abbiamo ricevuto nessuna denuncia”, disse gustandosi un sorso di tè caldo.

“È un’idea talmente bizzarra”, riprese dopo un paio di secondi il filo del discorso, “pensare che la polizia e soprattutto gli investigatori si interessino di misteri. Noi dei misteri ce ne infischiamo proprio; a noi interessano le cose sconvenienti. Signore, a noi il crimine interessa non perché misterioso, ma perché è proibito. Non inseguiamo un furfante per interesse intellettuale; gli diamo la caccia perché lo arrestino in nome della legge. Ascolti, gli spazzini non se ne stanno lì a correre per la strada con le loro scope per individuare nella polvere delle tracce umane, ma per spazzare e pulir via tutto il sudiciume che la vita lascia che si accumuli. L’ordine non è nemmeno un briciolo misterioso. Fare ordine è un mestiere infame, signore, e chi vuole fare pulizia, si trova a mettere lo zampino in tante di quelle magagne. Mi scusi, ma qualcuno lo deve pur fare”, aggiunse con malinconia, “come qualcuno deve uccidere i vitelli. Ma uccidere vitelli per curiosità è una vera crudeltà; lo si deve fare per mestiere. Quando uno ha il dovere di fare qualcosa, sa almeno che ha il diritto di farla. Guardi, la giustizia dev’essere indiscutibile come una tavola pitagorica. Io non so se lei potrebbe provare la malvagità di ogni furto; ma io le dimostro che ogni furto è proibito, perché in ogni caso, caro mio, io la sbatto in cella. Se si mettesse a seminare perle sulla strada, un poliziotto la rimprovererebbe per inquinamento dell’ambiente. Ma se cominciasse a fare miracoli, allora nessuno avrebbe il diritto di ostacolarla, a meno che non si trattasse di pubblico scandalo o di un assembramento non autorizzato di persone. Ci dev’essere una scorrettezza per rendere lecito il nostro intervento.”

“Ma signore”, obiettò il signor Rybka, sbracciandosi in preda all’agitazione, “ma come può accontentarsi solo di questo? Qui si tratta di… di una faccenda bizzarra… un fatto così misterioso… e lei…”

Il signor Bartošek scrollò le spalle. “E io lo lascio perdere. Senta signore, se vuole posso far sparire quelle impronte, affinché questa notte dorma sonni tranquilli. Altro non posso fare. Non sente nulla? Dei passi? È di certo la nostra pattuglia; ecco, sono già le due e sette minuti. Buonanotte, signore.”

Il signor Rybka accompagnò il commissario fuori di casa; in mezzo alla strada c’era ancora quella interrotta e incomprensibile linea di passi… Dall’altro lato, invece, si stava avvicinando un agente.

“Mimra”, chiamò il commissario, “ci sono novità?”

L’agente Mimra fece un cenno di saluto. “Mah, nulla di nuovo, signor commissario”, riportò. “Lì al numero diciassette un gattino miagolava fuori casa; allora ho suonato ai padroni perché lo facessero entrare al caldo. Al numero nove il cancello era stato lasciato aperto. All’angolo hanno fatto lavori sulla strada ma senza mettere la luce rossa, e da Maršík, il bottegaio, si è allentata da un lato la bacheca degli annunci; appena fa mattina la dovranno togliere, che non cada in testa a qualcuno!”

“C’è altro?”

“Nient’altro, signore”, sottolineò l’agente Mimra. “Ecco, durante la mattinata si dovrà spargere il sale sui marciapiedi, per evitare che qualcuno si spezzi una gamba; sarebbe da suonare un po’ a tutti verso le sei.”

“Molto bene”, disse il commissario Bartošek. “Buonanotte!”

Il signor Rybka si voltò per dare un’ultima occhiata a quelle impronte dirette verso l’ignoto. Ma là, dove prima sprofondava l’ultima orma, si delineavano ora le due meticolose impronte degli scarponi dell’agente Mimra; e da quel punto in poi dei solchi profondi continuavano in una linea ovvia e ordinata.

“Oh, sia ringraziato il cielo”, sospirò sollevato il signor Rybka tornandosene a dormire.

Note:

[1] “Si veda il racconto L’orma nella raccolta I crocefissi lungo le strade.” (Nota dell’Autore)

[2] Un tempo contadini vigilanti della notte, quasi guardie notturne contro incendi e ladri.

[3] Acquavite di prugne, incolore o di colore biondo chiaro, prodotta principalmente nell’Europa centrale e nei Balcani, ma anche nel nord Italia.

Apparato iconografico:

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