A Mosca con Majakovskij: tra luoghi moscoviti ed espressioni letterarie

Martina Mecco

A Mosca con Majakovskij, pubblicato da Giulio Perrone Editore lo scorso dicembre nella collana “Passaggi di dogana”, è un reportage narrativo scritto da Leonardo Fredduzzi, vicedirettore dell’Istituto di Lingua Russa di Roma e già autore de La Venere di Taškent (Voland Edizioni, 2015).

Link al libro: https://www.giulioperroneditore.com/shop/a-mosca-con-majakovski/


Copertina del libro edito Giulio Perrone Editore

Le 128 pagine che lo compongono hanno la particolarità di rivolgersi sia ad un pubblico formato dai cosiddetti “addetti ai lavori”, sia a coloro che, essendo “alle prime armi”, intendono indagare i segreti di Mosca, simbolo dell’anima russa sin da tempi remoti.

Il testo si rivolge ad un “noi”, che nelle parole dell’autore può essere definito con quanto segue:

“Siamo degli “io” che si muovono nella città: nessun percorso educativo ci è stato imposto e nessuna operazione al cervello ci ha privati della fantasia.” (p. 57)

A partire dal primo capitolo, il testo si propone come un vero e proprio viaggio, volto a districarsi in una città rappresentata sottoforma di un labirinto letterario e culturale particolarmente ricco. Dopo aver invocato il domovoj ed essersi seduti per qualche minuto a meditare sulla propria valigia, nel rispetto del rito tradizionale russo legato alle partenze, il lettore è dunque pronto ad assaporare un susseguirsi di luoghi e figure che hanno contribuito a incasellare Mosca tra i simboli più importanti della cultura non solo russa, ma mondiale. A rendere la lettura particolarmente interessante, è il continuo intersecarsi di riferimenti letterari, culturali e “fisici”. Grazie ai precisi riferimenti riportati, i luoghi del reportage narrativo acquistano una fisicità tangibile e il lettore, superando ogni distanza spazio-temporale, si trova catapultato in un ambiente ricolmo di stimoli e fascinazioni. Inoltre, ad arricchire ancora di più il testo, si trovano citazioni dirette e calzanti tratte da poesie e romanzi, alcune di esse particolarmente note al lettore italiano, altre meno conosciute.

Ad accompagnare il lettore, a dettargli la golova (“mente, direzione, guida”) attraverso Mosca, sono tre i personaggi principali scelti da Fredduzzi: Vladimir Majakovskij, Boris Pasternak e Michail Bulgakov. Questa scelta non è sicuramente dettata dal caso, questi corrispondono, infatti, a dei casi letterari piuttosto significativi: la figura mitizzata di Majakovskij, il celebre “caso Pasternak” e le complesse vicissitudini della pubblicazione de Il maestro e Margerita, romanzo che ha consacrato universalmente Bulgakov. Sebbene appartengano allo stesso periodo storico-culturale – gli anni Venti –, e si possano annoverare all’interno di una serie di intellettuali affetti da un percorso simile – dapprima protagonisti della spinta modernista del Secolo d’Argento e poi schiacciati dalla dura censura del realismo socialista –, tra questi tre personaggi intercorre, al tempo stesso, una distanza piuttosto significativa. Basti pensare, ad esempio, alle modalità con cui Pasternak prende le distanze dalla figura e dall’opera di Majakovskij all’interno dei suoi scritti autobiografici – Il salvacondotto (1931) e Autobiografia (1967) –. Nonostante un primo periodo dettato da un influsso innegabile e da una fascinazione travolgente durante gli anni di esordio tra le fila del movimento futurista “Centrifuga”, l’autore del romanzo Doktor Živago si pone infatti agli antipodi rispetto al compagno cubofuturista, sia dal punto di vista ideologico che poetico. Michail Bulgakov rappresenta, a sua volta, un caso a sé stante, sia per quanto riguarda la sua estraneità all’avanguardia, sia per quanto concerne lo stile letterario adottato.

L’aspetto interessante è che la chiave di lettura di questo reportage narrativo si può trovare, o almeno così sembra, proprio all’interno di questa ambigua compresenza. Difatti, se da un primo punto di vista il contesto in cui prende il via la loro formazione è lo stesso – come detto la Mosca degli anni Venti –, ad una lettura attenta il rapporto che, come singoli scrittori, imbastiscono con Mosca è completamente differente. La diversità delle loro rappresentazioni della capitale e il carattere differente delle loro interpretazioni sul piano letterario rivela proprio lo spirito poliedrico ed eccentrico di una città che, citando il testo, […] viene spesso paragonata a una grande matrioška, in cui realtà diverse sono al tempo stesso involucro e contenuto.” (p. 13).

Nonostante quelli sopracitati siano tre grandi nomi della letteratura russa del primo Novecento, i riferimenti scelti dall’autore all’interno del testo sono particolarmente raffinati e calzanti, offrendo un panorama molto più vasto di quello limitato a queste tre figure, citando anche altri autori che ruotavano intorno a questi tre poli. La Mosca interbellica è un palcoscenico di rotture e innovazioni, in cui si cerca di fare a pezzi la tradizione e gettare le vecchie cariatidi dal treno della modernità per costruire una nuova dimensione dell’Arte, caratterizzata da libere associazioni e sotto l’influsso di un concetto di modernità che si va via via costruendo.

“L’immagine di una Mosca ipermoderna, i cui cieli sono già solcati da macchine volanti, somiglia decisamente alla Metropolis di Fritz Lang.” (p.11)

Il momento storico in cui si inserisce il viaggio moscovita è quello sconvolto da eventi quali il primo conflitto mondiale, l’Ottobre e le nuove scoperte scientifiche. Sono infatti gli anni dell’invenzione ceca dei Robot e dei primi romanzi distopici – ad esempio My (“Noi”, 1924) di Evgenij Zamjatin –, un momento in cui si ha l’impressione che tutto possa accadere. In questo clima culturale, dove i concetti portanti sono senza dubbio quelli di “rinnovamento” ed “elettricità”, si fa largo, ad ampie falcate, la figura di Majakovskij, che nella sua singolare autobiografia Ja sam (“Io stesso”, 1922-1928) si definisce in modo secco all’inizio: Ja – poet (“io sono un poeta”). Majakovskij è infatti uno dei più importanti poeti dell’avanguardia, considerato un simbolo del Futurismo non solo in Russia, ma anche all’estero. I versi di Majakovskij si nutrono della sperimentazione linguistica del Futurismo – dettata dalle precedenti scoperte simboliste – e degli ideali della Rivoluzione.  La seconda guida moscovita, Bulgakov, è autore della diavolata moscovita, una storia “proibita” (p. 101), Il Maestro e Margerita si inscrive infatti nella costruzione del concetto del “mito di Mosca”. Uno dei punti di forza della prosa di Bulgakov risiede nella capacità di far combaciare realtà che non solo hanno dimora in cronotopi differenti, ma anche in dimensioni in cui il concetto di realtà stesso viene messo in crisi. La fantasia, se così si vuol definire, di Bulgakov si snoda nella realtà moscovita ed è anche in questo aspetto che risiede la fortuna del romanzo. Difatti, la popolarità dell’opera è così ampia anche oggi, tanto che a Mosca vengono organizzati dei veri e propri tour turistici che hanno come tappe i luoghi in cui è ambientata la vicenda. L’ultimo autore che accompagna il lettore alla scoperta della città è Boris Pasternak. Scrittore nato a Mosca, i cui ricordi infantili sono profondamente segnati dalle sue prime esperienze nella città e da sensazioni che rimangono impresse a livello sensoriale. Durante la sua giovinezza, egli vive appieno il clima frenetico della capitale, tra la musica dei grandi teatri e i primi debutti in ambito letterario. All’interno del Doktor Živago uno dei temi esplicitati è quello del ritorno, che arreca con sé anche il passaggio a una nuova fase della vita, una trasfigurazione vera e propria.

A Mosca con Majakovskij è quindi un reportage narrativo che offre la possibilità di scoprire la capitale russa, spostandosi continuamente sia in senso spaziale che temporale, perendosi e ritrovandosi di continuo. Ad essere svelato è anche, però, ciò che si nasconde sotto la superficie, nel vero senso della parola. Difatti, il percorso proposto al lettore si snoda lungo sentieri diversi: dopo aver camminato per le vie di Mosca si passa al sottosuolo, in una discesa verso i tunnel metropolitani, definiti da Aksënov in termini di “nostro salotto buono” (p.41). Successivamente, si staccano i piedi da terra per godere di una vista aerea della città, dove essa viene colta nella sua folgorante totalità. E ciò che si coglie grazie al volo su Mosca sembra essere la prova che per conoscerla davvero, bisogna conoscerne tutte le sfumature.

 


Breve intervista a Leonardo Fredduzzi

Leggendo il testo sono sorte alcune domande la cui risposta pareva poter essere non solo interessante, ma anche un aspetto arricchente di questa recensione. Abbiamo contattato l’autore, che si è reso disponibile a rispondere a queste questioni . Si riporta di seguito questo scambio “epistolare” avvenuto tramite mail.

La prima domanda riguarda la scelta di prendere come cronotopo di riferimento la Mosca degli anni Venti. Quali sono i motivi che l’hanno spinta a prendere in esame questo periodo e i suoi protagonisti?

Credo che nella Mosca degli anni ’20 si sia verificata una tale deflagrazione di fenomeni sociali e artistici da rendere irripetibile quella stagione. La società era stata demolita fin nelle sue fondamenta, Mosca era chiamata a svolgere di nuovo il ruolo di capitale in una Russia molto diversa, l’arte nelle sue diverse manifestazioni stava riflettendo sul suo ruolo si apriva ad una ricchezza espressiva mai vista prima. Per certi versi era una scelta obbligata.

Secondo lei ci sono stati ancora autori che si sono erti a “simbolo” della vita culturale moscovita (e non solo) al pari di Majakovskij? A me viene in mente l’esempio di un poeta come Evgenij Evtušenko, che non a caso nella sua autobiografica si delinea inizialmente come “erede” di Majakovskij stesso. Inoltre, secondo lei un fenomeno del genere è ancora possibile oggi?

Credo che Majakovskij sia unico nel suo genere perché fu amato e odiato (in un arco di tempo tutto sommato breve) e poi canonizzato. Altri artisti, tra cui sicuramente Evgenij Evtušenko, hanno caratterizzato un periodo della vita culturale moscovita incarnando il bisogno di un cambiamento anche attraverso atti di dissidenza civile. Penso al famoso direttore del Teatro Taganka di Mosca, Jurij Ljubimov che metteva in scena spettacoli di teatro sperimentale i cui contenuti erano in dialettica con la società. A lui si deve la prima rappresentazione del romanzo di Bulgakov “Il Maestro e Margherita” che fu poi vietata dalle autorità. Gli attori scesero in strada manifestando con cartelli che recitavano: “I manoscritti non bruciano”.

La terza domanda riguarda, invece, il legame che oggigiorno la città di Mosca intrattiene con la letteratura. Come si è evoluta nella contemporaneità, secondo lei, la rappresentazione di Mosca sul piano letterario?

Evgenij Evtušenko diceva: “un poeta in Russia è più che un poeta”. Attualmente il legame tra società e letteratura non è più così forte. La mia impressione è che questo legame si sia via via allentato e che da questo punto di vista c’è un processo di occidentalizzazione molto forte. Mosca è percepita ora come il cuore pulsante dell’economia russa, una città famelica che di fatto produce e consuma gran parte delle risorse della Russia. Mi sembra che si sia trasformata in una perfetta ambientazione per una qualche distopia.

Lei a un certo punto del reportage narrativo dice giustamente “L’arte, la letteratura non saranno più le stesse, dopo la comparsa dei futuristi.” (p. 60) e dopo parla di una messa in discussione dell’equilibrio sociale. Secondo lei, si può davvero parlare di uno sradicamento radicale o piuttosto di una tensione tra tradizione e innovazione dove l’ago della bilancia è più spostato sul secondo dei due poli?

È molto difficile trovare un’espressione in grado di racchiudere le esperienze delle avanguardie. Si tratta di uno spettro, una gamma di posizioni, espressioni artistiche e concezioni estetiche che camminano insieme. Ci sono grandi differenze tra Pasternak e Chlebnikov, ad esempio. In tutti c’è una profonda conoscenza dell’arte, della letteratura, della tradizione. Anche in Majakovskij naturalmente. Il grado di sperimentazione artistica è direttamente proporzionale alla distanza interiore che ciascun artista sente col passato recente. In Pasternak il rapporto col passato ancora stretto e si registra un cambio di sensibilità. In Majakovskij questa distanza è siderale e viene maggiormente dilatata dalla sua ossessione per il futuro. Ovviamente sono considerazioni del tutto personali.

L’ultima domanda, è personale, decida lei se rispondere. Come descriverebbe il suo rapporto con Mosca e da cosa è nata la necessità di scrivere un reportage narrativo come “A Mosca con Majakovskij”?

C’è stata una forte componente di casualità. Avevo pubblicato da poco il mio primo reportage narrativo e nella finale di un premio letterario ho conosciuto Giulio Perrone, il mio editore. Mi ha parlato di Passaggi di Dogana, una collana che dà la possibilità ai lettori di viaggiare nei luoghi e nelle letterature. Si è parlato di Russia e mi è stata data la possibilità di fare una proposta. A quel punto non ho avuto dubbi: Mosca e Majakovskij. Ci sono alcune scelte che chi ama la Russia è chiamato a fare: Mosca o San Pietroburgo? Il mio istinto mi ha portato ad amare Mosca per la sua frenetica voglia di vivere.

 


Apparato iconografico:

Immagine in evidenza e immagine 1: https://www.giulioperroneditore.com/wp-content/uploads/2020/11/a-mosca-con-majakovskij-fredduzzi.jpg
Collage:
1. https://cs.wikipedia.org/wiki/Vladimir_Vladimirovi%C4%8D_Majakovskij#/media/Soubor:Majakovszkij.jpg

2. https://cs.wikipedia.org/wiki/Michail_Bulgakov#/media/Soubor:Bu%C5%82hakow.jpg

3. https://en.wikipedia.org/wiki/Boris_Pasternak#/media/File:Boris_Pasternak_1928cr.jpg