La lingua come luogo dell’identità: il rapporto tra Canetti e la lingua tedesca in “La lingua salvata”

Silvia Girotto

Uno scrittore internazionale in senso europeo”. Così viene definito Elias Canetti, classe 1905, dalla critica della fine del XX secolo. Nato in Bulgaria da genitori appartenenti all’antica aristocrazia ebraica, fa esperienza di migrazione fin dall’infanzia, quando dalla piccola Rustschuk segue la famiglia nei suoi spostamenti all’interno dell’Europa. Tra le varie città che lo ospitano spicca Vienna, dalla quale si allontana definitivamente nel 1938 a causa dell’annessione dell’Austria alla Germania nazionalsocialista. Vive in esilio a Parigi e Londra, dove ottiene la cittadinanza, per trasferirsi infine a Zurigo, dove muore nel 1994. Appassionato di letteratura fin da giovanissimo, Canetti pubblica la sua prima opera e suo unico romanzo, Die Blendung (Auto da fé, Adelphi, 2001), nel 1935. Non raggiungerà tuttavia fama, se non nei paesi di lingua tedesca, fino al 1977 con il primo volume della sua autobiografia e il premio Nobel per la letteratura del 1981.

Quella di Canetti non è una produzione continua e nemmeno omogenea. Ciò lo distingue dai vari scrittori della sua epoca assieme ai temi affrontati, identificati dalla critica come tradizionali e fortemente umani. Esemplare in questo senso è la sua autobiografia, pubblicata in tre volumi: Die gerettete Zunge, Die Fackel im Ohr e Das Augenspiel (La lingua salvata, Il frutto del fuoco e Il gioco degli occhi).

Die gerettete Zunge. Geschichte einer Jugend (La lingua salvata. Storia di una giovinezza, Adelphi, 1991), tratta il periodo dall’infanzia dell’autore fino al 1921, quando termina il suo primo soggiorno in Svizzera, ed è espressione di una vita contraddistinta dal continuo spostarsi tra luoghi, lingue e culture. L’autobiografia intera, in particolare questa prima parte, è ritenuta esemplare per la ricchezza di personaggi, i rimandi multiculturali che rendono la vita di Canetti un crocevia di culture e la sua particolare fisionomia. A differenza di altre autobiografie è infatti minima l’influenza del presente nella valutazione del passato narrato. Basandosi su elementi concreti, come effettivamente farebbe un ragazzino di quell’età, La lingua salvata presenta secondo un fluire naturale e infantile, nel senso di spontaneo, lo sviluppo di Canetti e le esperienze che maggiormente lo segneranno.

Canetti nasce in Bulgaria, in una cittadina dove “in un solo giorno si potevano sentire sette o otto lingue” (p. 14): cresce in compagnia di ragazzine di lingua bulgara, che lo intrattengono con favole della loro tradizione, ma in casa parla il giudeo­ spagnolo con influenze turche. La presenza fin dall’infanzia di diverse lingue porta a una grande ricchezza delle possibilità espressive di Canetti, ricchezza che gli permette rimandi provenienti da più culture e più punti di vista. Tuttavia, una sola è la lingua che sceglierà per la sua produzione letteraria: quella tedesca, che riveste nella vita di Canetti un ruolo decisivo per la determinazione della propria identità. Il tedesco viene utilizzato in famiglia solo dai genitori, per i quali rappresenta la lingua dei loro felici anni di studio a Vienna, dove si erano innamorati parlando di arte e teatro. Fin da piccolo Canetti collega quindi quei suoni a lui sconosciuti all’amore e all’allegria cercando invano di riprodurne il ritmo sussurrandoli, quasi fossero formule magiche. Fin da questi primi anni la lingua tedesca assume una profonda carica erotica proprio per la sua incomprensibilità.

Il primo grande viaggio che Canetti affronta è quello per Manchester, dove frequenta la scuola inglese e legge i primi libri. Con la morte del padre la famiglia si trasferisce nuovamente, prima a Vienna e poi a Zurigo. Nella capitale austriaca, dopo anni di attesa, finalmente il giovane Canetti può interagire in quella che fin da bambino considera la lingua dell’amore e della letteratura. Il rapporto con la madre, da sempre altalenante, acquista in questo frangente un’importanza determinante per l’apprendimento del tedesco e la lingua diventa per Canetti campo di battaglia per raggiungere la coscienza di sé. La profonda carica attrattiva che la lingua tedesca presenta fin dal principio si mantiene in tutto il primo volume dell’autobiografia e rappresenta, nel momento in cui Canetti riesce finalmente a dominarla, la liberazione da quella madre che lo aveva sempre escluso dalle sue conversazioni con il padre, dalla conoscenza di quei magici suoni. La carica erotica di questa lingua, desiderata in senso quasi edipico, in quanto imparandola Canetti prenderà il posto del padre in famiglia, la rende parte integrante dell’identità dell’autore. Agisce su ciò che Canetti è in quel momento, sulla sua carriera letteraria, ma anche sul suo passato, arrivando a modificare i suoi ricordi in bulgaro e spagnolo, traducendoli in tedesco.

Per Canetti il tedesco è la quarta lingua imparata, ma viene da lui considerata una lingua madre. È la lingua che egli sente propria in senso differente rispetto a ciò che è per lui lo spagnolo: quest’ultima è la lingua degli affetti, della famiglia, mentre il tedesco è la lingua della cultura, dell’istruzione. La lingua tedesca diventa quindi una Muttersprache, una lingua madre, ma in contrapposizione a quello che è il concetto yiddisch di mame­loshn, la lingua inseparabile dalla sfera familiare. Si tratta di un concetto noto alla comunità ebraica, reputato importante per l’identità della comunità stessa. Tuttavia Canetti, parlando spagnolo solo nei primi anni di vita e in seguito con qualche vecchio parente, non riesce a percepirlo come lingua madre e si sente così incompleto. Questa è quindi per lui una lingua inevitabile, che l’autore sente tuttavia di dover rifiutare in favore del tedesco, lingua della sua istruzione e “veramente nata con dolore” (p. 100) a causa dei metodi di insegnamento della madre, che non causano altro che paura nel giovane Canetti. L’istruzione e la letteratura sono il fil rouge che in La lingua salvata lega tra loro gli aneddoti raccontati in ogni fase della giovinezza di Canetti, a partire dalle favole delle balie bulgare, passando per i libri del padre fino ai discorsi sul teatro con la madre. Nelle fasi successive la letteratura rimane un punto fisso in questa vita in continua emigrazione e il tedesco, legato fin dai primi ricordi alla letteratura e alla passione, si associa a questa sensazione di appartenenza. In un discorso all’Accademia Bavarese delle Belle Arti nel 1969 Canetti si definisce onorato di essere stato accolto dalla lingua tedesca, che egli tratta come fosse un luogo. Con la conquista di questa accoglienza l’autore sente di aver conquistato anche se stesso e riconosce nel tedesco l’unica possibilità di espressione, arrivando a definirla “la lingua del mio spirito”.

Questa consapevolezza circa l’importanza della lingua tedesca diverrà particolarmente chiara nel periodo dell’esilio. La guerra e il pericolo nazionalsocialista rappresentano una minaccia alla lingua tedesca e Canetti sente di doverla difendere per non perdere se stesso. Nel momento della fuga, prima a Parigi e successivamente a Londra, Canetti la mantiene viva, decidendo di non utilizzare l’inglese nelle sue opere, nonostante fosse una lingua da lui ben conosciuta e fosse normale per molti rifugiati ebrei rinunciare al tedesco per scrivere nella lingua del paese ospitante. Egli afferma invece di non avere intenzione di permettere a Hitler di togliergli la lingua tedesca, rimane quindi fedele alla sua Muttersprache a dispetto di quanto il nazismo stesse facendo alla cultura tedesca.

La decisione di Canetti di riconoscere la lingua tedesca come fondamento della propria identità spinge Claudio Magris a definirlo uno “spirito sovranazionale” e un rappresentante di quel plurinazionalismo che ancora Vienna in parte possiede quando l’autore si forma culturalmente in questa città. Della stessa Vienna Canetti rappresenta tuttavia anche la crisi di valori e la distruzione delle sicurezze che rendono i suoi cittadini dei naufraghi. Anche Canetti è uno di loro, in costante emigrazione in Europa, eppure sempre nel luogo della sua patria, della sua identità: nella lingua tedesca.

Bibliografia
Elias Canetti, La lingua salvata, Milano, Adelphi, 1991. Elias Canetti, Die gerettete Zunge, Frankfurt am Main, Fischer Taschenbuch Verlag,1981.
Kata Gellen, Ein spanischer Dichter in deutscher Sprache, in Sprache, Erkenntnis und Bedeutung – Deutsch in der jüdischen Wissenskultur, Arndt Engelhardt, Susanne Zepp (editore), Leipziger Universitätsverlag, 2015.
Anne Fuchs, “The Deeper Nature of My German”: Mother Tongue, Subjectivity, and the Voice of the Other in Elias Canetti’s Autobiography, in A companion to the works of Elias Canetti, Dagmar C. G. Lorenz, New York, Camden House, 2004.
Mari Maria Paola, Focus Kompakt Neu, Eine Anthologie der deutschen Literatur, Genova, Cideb Editrice, 2007.

Materiale multimediale
Ricordando Elias Canetti: Estratto dal programma “Tuttilibri”, Rai 1, 1986, con interviste separate alla scrittrice Susan Sontag, al saggista Claudio Magris, al saggista ed editore Roberto Calasso. https://www.youtube.com/watch?v=KXic1VlwWxA&list=PL3ZuDzsmNvHVsn6tcwfJjO%20CMk9AZtk0Z2&index=2&t=0s

Apparato iconografico
Immagine in evidenza: http://blogdetriunfoarciniegas.blogspot.com/2016/08/elias-canetti-un-cronista-insolito-i.html
1.https://www.br.de/fernsehen/ard-alpha/sendungen/klassiker-der-weltliteratur/elias-canetti-die-blendung-roman100.html
2.https://www.fischerverlage.de/autor/elias-canetti-1002442