Piergiuseppe Calcagni
Noi e la morte di Stella (“Wir töten Stella”, 1958) è un racconto della scrittrice austriaca Marlen Haushofer, pubblicato per la seconda volta in Italia da L’orma editore nel 2024 con la traduzione di Eusebio Trabucchi. Nel 1993 E/O Edizioni aveva già pubblicato l’opera, con il titolo Abbiamo ucciso Stella e altri racconti, più altre tre della stessa autrice: Die Wand (“La parete, 1995), Himmel, der nirgendwo endet (“Un cielo senza fine”, 1991) e Die Mansarde (“La mansarda”, 1994). Haushofer iniziò la sua carriera da scrittrice nel 1946 scrivendo racconti per alcune riviste letterarie austriache e nel 1952 ottenne il successo grazie alla novella Das fünfte Jahr (“Il quinto anno”) e poi ancora nel 1963 con Die Wand (“La parete”), la sua opera più conosciuta, da cui nel 2012 fu tratto il film omonimo di Julian Pölsler, che nel 2016 girò un film anche su Wir töten Stella. Haushofer morì nel 1970 a causa di un cancro alle ossa e le sue opere furono dimenticate sia dal pubblico che dalla critica fino agli anni Ottanta, quando i movimenti femministi ed esperti di letteratura femminile le riconobbero un ruolo di primo piano nel descrivere il ruolo della donna all’interno di una società maschilista. Nel 2023 la Claassen Verlag di Berlino ha pubblicato un cofanetto composto di sei volumi che raccolgono tutti i suoi romanzi e i suoi racconti.
Link al libro: https://www.lormaeditore.it/libro/9791254760888
Noi e la morte di stella può essere sì definito un diario, ma sarebbe più giusto dire che si tratta di “racconto di una colpa”, come si trova scritto sulla copertina de L’orma. Infatti, Anna, protagonista e narratrice, scrive per due giorni le pagine in cui prova a mettere in fila gli eventi che intercorrono fra l’arrivo di Stella e la sua morte, avvenuta per colpa di quello che si pensa sia un incidente. Tuttavia, secondo Anna, Stella è scesa di proposito dal marciapiede mentre passava il camion che l’ha investita. È interessante notare come la protagonista spieghi sin dalle prime pagine che il suo obiettivo non è una confessione oppure un modo per denunciare Richard, suo marito, che lei ritiene essere il vero responsabile della morte di Stella; tutto ciò che Anna desidera è sbarazzarsi del senso di colpa e tornare alla normalità, alla vita apparentemente serena che svolgeva prima dell’arrivo di Stella:
“Devo scrivere di lei prima di iniziare a dimenticarla. Perché dovrò dimenticarla se voglio riprendere la tranquilla esistenza di prima. Perché è questo che davvero desidero: riuscire a vivere in pace senza paure e senza ricordi.” (p. 10)
Man mano che si va avanti con lettura, però, ci si rende conto che l’espressione “tranquilla esistenza di prima” non è coerente con la vita di Anna, una moglie in grado di sentire un profumo diverso dal suo addosso al marito per capire se ha avuto un rapporto con un’altra donna; una madre che quasi non riesce a sopportare sua figlia Annette perché la vede come “la riproduzione in miniatura” del padre; una casalinga che trascura, forse per pigrizia, il suo giardino. Nonostante la sua condizione sia la stessa di una donna vittima sia della monotonia medio-borghese che dei dettami di una società maschilista, Anna riesce a stabilire un equilibrio, anche se molto precario, dentro casa e dentro se stessa, poiché i ruoli che spettano a marito e moglie sono già ben definiti e regolati, con il marito che non rispetta le leggi da egli stesso dettate e la moglie che non può far altro che osservare con pazienza il tempo che passa:
“Nessuno sorveglia la morale più severamente di chi infrange la legge in segreto, perché ha ben chiaro che, se ognuno avesse la possibilità di vivere come lui, il genere umano andrebbe in rovina. […] Quando ero ancora molto giovane una volta gli chiesi: «Perché mi ami?». La sua risposta fu pronta, senza esitazioni: «Perché mi appartieni».” (p. 49)
Wolfgang, il figlio di Anna, sembra essere l’unica persona di cui ella apprezza la compagnia.
Quando Stella si trasferisce da Anna e Richard viene da subito percepita dalla protagonista non solo come un corpo estraneo, ma anche come un peso del quale liberarsi, come una iattura, una “dea della sciagura” che minaccia di rompere l’equilibrio della casa. I timori si rivelano fondati quando Stella inizia a uscire con Richard prendendo il posto di Anna che lo accompagnava sempre ai ricevimenti. Anche in questo caso Anna si comporta come se non fosse successo niente, ma una sera Stella torna a casa bagnata e tremolante e Anna nota che “le mancavano due bottoni della camicetta e che aveva delle strane macchie sul collo” (p. 55). La narratrice non spiega esplicitamente la causa di questo episodio, poiché sa già di chi è la colpa e non ritiene sia necessario dare ulteriori spiegazioni al lettore. Richard prova a risolvere la situazione, ma ben presto si stanca e decide anch’egli di pensare che la condizione di Stella non sia più un suo problema e che i suoi affari siano di certo più importanti. L’odio della protagonista nei confronti di Stella non esce mai allo scoperto, ma resta chiuso all’interno delle pagine.
L’aspetto sconvolgente del racconto resta la mancanza di solidarietà di Anna nei confronti di Stella, vittime entrambe dell’oppressione dello stesso uomo. Probabilmente il vero motivo che spinge Anna a scrivere il suo racconto è un vano tentativo di sfogare la sua ignavia e la sua ipocrisia, poiché non ha fatto nulla per impedire che Stella restasse a contatto con Richard, ma è la stessa narratrice che scioglie questo dubbio:
“Lo so, non è che andrà meglio solo perché confesso la mia colpa. Non mi sentirò nemmeno sollevata. Non ho mai compreso il sollievo della confessione. Magari per altre persone è così, e spero lo sia realmente, ma le potenze a cui sono soggette non dimenticano, non perdonano: ripudiano irrevocabilmente la figlia disobbediente.” (p. 41)
Ad Anna non interessa il benessere reale di Stella, bensì solo il suo finto benessere e ritornare in quello stato in cui la sua vita, mai condotta al di fuori della mura di casa, si riduce a sopportare in silenzio i soprusi del marito e a mantenere salda la relazione con Wolfgang, investendo tutte le sue energie da madre nell’unico membro della famiglia in grado di capire la sua situazione. L’altra figlia Annette viene considerata da Anna troppo vicina al padre e spesso svela la sua inquietudine quando nota le somiglianze fra lei e Richard e una malcelata delusione nel vedere che Annette ha un rapporto migliore col padre. La protagonista sembra essere la più grande vittima del maschilismo di Richard: ella non subisce violenze fisiche di alcun tipo, ma la sua individualità è annientata, ormai ha interiorizzato le leggi imposte dal marito e non si permette mai di trasgredirle.
Anna non nasconde parole di odio nei confronti dei membri della famiglia, escluso Wolfgang, riuscendo in qualche modo ad argomentare il suo astio. Per quanto riguarda Stella, l’inimicizia nei suoi confronti è quasi inspiegabile ed è compito del lettore trovarne una ragione. La povera ragazza è sempre vittima della penna di Anna, che non spreca mai un’occasione per descriverla in negativo: oltre ai già citati “dea della sciagura” si aggiunge “cretinetta” (p.13), inoltre viene criticata dalla protagonista anche per il fisico: “Era bella ma del tutto priva di fascino ed eleganza. Era un po’ troppo in salute e formosa per i moderni canoni di bellezza” (p.19). Anna non vede in lei neanche tanta intelligenza: “Era pessima a far di conto ed era decisamente la più lenta della classe in stenografia” (p.30).
Ad ogni modo, una volta che si arriva alla fine del racconto non resta che ammirare la bravura dell’autrice nell’aver delineato in meno di cento pagine la caratterizzazione psicologica di tutti i personaggi, comprese Stella e sua madre Luise. Non potendo fidarsi dell’irrazionalità di Anna mentre parla di Stella, Haushofer si affida a una metafora presente più volte all’interno del racconto, ma viene posta in evidenza soprattutto all’inizio e alla fine di questo, e che ben rappresenta il rapporto fra le tre donne: quando inizia a scrivere, Anna viene tormentata dal pigolio di un uccellino che, posatosi sul tiglio davanti alla finestra della narratrice, tenta di richiamare disperatamente la madre affinché lo aiuti. L’uccellino fa addirittura innervosire Anna, che chiude la finestra per restare indifferente al richiamo del povero animale. Alla fine del racconto, quando sono già stati narrati gli eventi immediatamente precedenti alla morte di Stella, l’uccellino non si sente più, probabilmente perché la madre non è arrivata, ed è già morto fra i cespugli. Questa storia nella storia rappresenta al tempo stesso il rapporto fra Stella e la sua irresponsabile madre e l’indifferenza di Anna nei confronti di un essere vivente innocente che soffre e vuole solo essere salvato.
Apparato iconografico:
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