Il’f e Petrov alla ricerca della “vera” America

Stefania Feletto

 

Abstract

Ilf and Petrov searching for the “real” America

Over the years, Russian and Soviet writers have created a literary thread on the American theme. America’s image as an enemy of the Soviet Union is shaped over time. Ilf and Petrov remodel it when they publish “One-Storied America” in 1936. The two writers recount their coast-to-coast journey from New York to San Diego in a Ford. Their gaze does not linger only on the most surprising or disappointing aspects of cities, on the technical achievements achieved, or on the social contrasts of this country. They investigate what the “real” America is and who the common man is, the one who lives “in the one-story house”. Through the prism of communist ideology, Ilf and Petrov offer an interesting look for today’s reader into the United States and the Soviet Union in the mid-1930s.

 

Ormai novant’anni fa, due scrittori e giornalisti satirici sovietici compiono un viaggio negli Stati Uniti alla ricerca della “vera” America. Partiti dall’Europa e approdati a New York, Il’f e Petrov percorrono diecimila miglia, attraversano 25 stati e alcune centinaia di città fino ad arrivare a San Diego, da dove ritornano verso la ‘Grande Mela’. Il loro resoconto, che guarda all’America attraverso il prisma dell’ideologia comunista, rivela molto al lettore d’oggi sia sugli Stati Uniti che sull’Unione Sovietica della metà degli anni Trenta.

Prima di Il’f e Petrov (Il’ja Il’f, 1897-1937; Evgenij Petrov, 1903-1942), nel periodo prerivoluzionario e rivoluzionario, gli intellettuali russi e sovietici hanno creato e modellato, attraverso la letteratura, l’immagine degli Stati Uniti. Maksim Gorkij, che nel 1906 si reca in America per diffondere le idee marxiste e cercare finanziamenti per il movimento, è uno dei primi illustri scrittori russi a raccontare la propria permanenza a New York, soprannominata “la città del Diavolo Giallo”. La repulsione nei confronti del popolo americano, ad accezione degli indiani e dei neri, non è celata. L’unica cosa che lo affascina sono le insegne luminose che costellano la città. Gorkij identifica nell’America un nemico e questa percezione viene ripresa e plasmata dagli scrittori che gli fanno seguito. Sergej Esenin, che visita New York nel 1922, trova come Gorkij che sia una città schiava del denaro e disinteressata all’arte. Nonostante ciò, è rapito dai grattacieli, dalle luci di Broadway, che sono un elemento nuovo per un russo “abituato alla vita al chiaro di luna e al lume di candela davanti alle icone”. Vladimir Majakovskij e Boris Pil’njak si fanno entrambi portavoce della propaganda sovietica criticando il sistema capitalistico ma si lasciano andare ad un atteggiamento di maggiore apertura nei confronti della diversa mentalità e dello stile di vita con cui si confrontano. A proseguire e riplasmare questo filone sul tema americano ci sono Il’f e Petrov, che a cavallo del 1935 e 1936 viaggiano attraverso gli Stati Uniti, in un road trip raccontato in Odnoetažnaja Amerika (letteralmente “L’America a un piano”, ma reso in traduzione italiana con “Il paese di Dio”, 1936).

Nel 1933 il presidente americano Roosevelt riconosce l’Unione Sovietica e promuove l’istituzione di rapporti diplomatici, inaugurando un periodo di ottimismo e di impegno comune per stabilire legami culturali ed economici tra i due paesi. In questo lasso di tempo, che si rivela sfortunatamente breve, lo stato americano invia in Unione Sovietica figure specializzate affinché collaborino all’industrializzazione del paese. Partono anche i sovietici, allo scopo di studiare l’organizzazione e la tecnica americane, e tra questi ci sono Il’f e Petrov in qualità di corrispondenti della “Pravda”. I due scrittori e giornalisti, nati entrambi a Odessa e trasferitisi a Mosca dopo il 1917, formano dal 1928 un tandem di grande successo e collaborano soprattutto a giornali umoristici. Sono gli autori di Dvenadcat’ stul’ev (“Le dodici sedie”, 1928) e Zolotoj telenok (“Il vitello d’oro”, 1931), romanzi satirici accolti dal pubblico con entusiasmo e resi ancor più famosi delle trasposizioni cinematografiche successive. Il motivo per cui il Partito Comunista decida di inviare due scrittori notoriamente ironici e caustici a fare un resoconto sugli Stati Uniti non è chiaro. Forse si sperava che, oltre ad un’analisi attenta del paese, Il’f e Petrov l’avrebbero farcita di una satira feroce e distruttiva che avrebbe messo ancora una volta in cattiva luce il popolo americano.

Nell’autunno del 1935 Il’f e Petrov raggiungono la costa atlantica a bordo di un piroscafo e dopo cinque giorni di transito nel “deserto dell’oceano”, scorgono i grattacieli di New York. Trascorrono un mese in questa città e soltanto dopo aver fatto la conoscenza dei coniugi Adams partono con loro nel viaggio che li porta, nei 60 giorni successivi, ad attraversare da est a ovest – andata e ritorno – gli Stati Uniti a bordo di una Ford grigio topo.

Mappa del percorso compiuto da Il’f, Petrov e i coniugi Adams, foto di Il’f

Durante la permanenza a New York hanno sensazioni fortemente contrastanti. Le prime ore nella città restano impresse come un avvenimento unico: sono colpiti dalla frenesia, dalla quantità di auto e dall’immensità allarmante degli edifici. Basti pensare che a Mosca il famoso Dom na naberežnoj (“Casa sul lungofiume”), alto 50 metri, era stato completato nel 1931 e rimase l’edificio residenziale più alto di Mosca fino al 1952. Le Stalinskie Vysotki (“grattacieli di Stalin”), chiamate anche le Sette Sorelle, vennero costruite soltanto tra il 1947 e il 1957.

Come gli scrittori russi che li avevano preceduti, anche Il’f e Petrov sono sbalorditi di fronte a Broadway, illuminata da miliardi di lampadine elettriche e dimostrazione di come gli americani siano riusciti ad ammaestrare anche l’elettricità. Se ancora oggi di fronte a questo spettacolo l’uomo contemporaneo rimane impressionato, non risulta difficile immaginare la reazione di Il’f e Petrov.

Esterno del ristorante Chin’s a New York, foto di Il’f

Nonostante la bellezza accecante della città, sono spaventati dalle disparità economica dilagante e dalle sue conseguenze. Quanto osservano i due scrittori sono anche le conseguenze della Grande Depressione del 1929, seppure non la nomino mai esplicitamente. Il divario tra ricchi e poveri è avvilente.

New York è una città che fa paura. Milioni di persone qui lottano coraggiosamente per la vita. In questa città c’è troppo denaro. Troppo per alcuni e niente per gli altri. Ed è questo che getta una tragica luce su tutto quello che accade a New York. (p. 79)

Oltre ai contrasti interni a New York, vengono individuate enormi contraddizioni anche tra la grande metropoli e le altre città che visitano. Attraversare Chicago, Oklahoma, El Paso, e anche Las Vegas, Los Angeles, New Orleans alla lunga li annoia perché sono l’una la copia dell’altra. Nonostante cambino le persone che le abitano, le loro abitudini, il clima, il paesaggio, in tutte si trovano gli stessi menù standard nelle farmacie, anch’esse tutte identiche fra loro, e i medesimi arredamenti nelle camere in cui alloggiano. Quando al centro di queste città non sono poste torri per l’estrazione di petrolio, sono le torri reticolari per il trasporto dell’energia a caratterizzare il panorama. Una delle poche città che li colpisce è San Francisco, la città più bella d’America” – “con larghi viali, come Leningrado, scrivono. Hanno la fortuna di osservare la costruzione del Golden Gate Bridge e ammirano il coraggio degli operai che lavorano sospesi.

Frequentemente, nel tragitto tra una città e l’altra, i viaggiatori incontrano cartelloni pubblicitari insistenti sui quali viene pubblicizzata l’imperdibile prossima attrazione, le migliori gomme da masticare, la più dissetante delle bevande. Se volete che si creda alle vostre parole, ripetetelo il più spesso possibile: Il’f e Petrov lamentano la quantità e l’ostinazione con cui vengono proposti questi slogan, ai quali, a detta loro, l’americano si affida ciecamente e senza i quali non saprebbe scegliere da solo perché al posto suo si sostituiscono le grandi compagnie commerciali. Viene spontaneo pensare ai manifesti di propaganda che in Unione Sovietica assolvono lo stesso compito nella comunicazione politica: un messaggio che, ripetuto allo sfinimento, entra nella coscienza del cittadino, il quale lo assimila senza più porsi il dubbio della sua validità. Entrambi i paesi si rifanno ad una retorica che fa leva sulle emozioni dei cittadini, con la differenza che in Unione Sovietica lo scopo è l’assoggettamento politico, mentre in America è la conquista di un altro cliente. 

Pubblicità del Parco Nazionale delle Carlsbad Caverns, foto di Il’f

A scandire questo lungo viaggio sono soprattutto le conversazioni con le persone che incontrano. Sebbene parlino con figure importanti, tra cui Ernest Hemingway, Henry Ford e il presidente Franklin Roosevelt, le conversazioni più interessanti sono quelle che intrattengono con cittadini comuni nelle stazioni di servizio, nei camp dove riposano, con gli autostoppisti che incontrano per strada. La domanda che si pongono i due scrittori fin dall’inizio è che cosa sia e dove si trovi la “vera” America. Non vogliono fermarsi ad osservare l’americano ricco, che vive nei grattaceli o nelle villette a schiera, ma il loro obiettivo è conoscere il cittadino della classe media, colui che vive nella casa “a un piano”. Sebbene l’impressione generale che ricavano sia che l’americano medio non è politicamente consapevole, e risulta limitato, prevenuto, privo di gusto, spesso disinteressato verso tutto ciò che non lo riguarda direttamente e poco curioso, gli aspetti positivi bilanciano queste constatazioni. Li stupisce l’incredibile ospitalità americana, la loro capacità di mantenere sempre la parola data, la tecnologia, la segnaletica, le strade e il service offerto ai clienti, elemento che nel corso del viaggio diventa indispensabile e inavvertibile. L’America è un paese che dispone di tutte le risorse immaginabili, e gli uomini che la abitano sanno essere “magnifici lavoratori, capaci, precisi, attivi, onesti, laboriosi”.

Ciò che emerge, come nella tradizione letteraria russa e sovietica precedente, è che il male che affligge questa società è il sistema economico capitalista, al quale tutte le criticità vengono ricondotte. La democrazia americana illude e promette il diritto alla libertà e all’aspirazione alla felicità, senza offrire la possibilità concreta di esercitarlo da parte di tutti. Inevitabilmente, per identificare quale sia il male, stabiliscono un confronto con la loro cultura di provenienza in cui rintracciano per contrasto il bene, il modello esemplare. Va da sé che si tratti dell’idea comunista. Negli ultimi capitoli di Odnoetažnaja Amerika, i due scrittori si lasciano andare ad una visione piuttosto romantica e propagandistica sul futuro del loro paese, nella quale probabilmente si rispecchia la fiducia ancora viva negli anni Trenta del cittadino sovietico.

L’America non conosce il suo domani. Noi sappiamo e possiamo dire con esatta sicurezza che cosa sarà di noi tra cinquant’anni. (p. 390)

Nel mitizzare la terra natale, distinguendola da questo paese esotico, ricorrono ancora una volta alla coppia di categorie, ampiamente presente nella letteratura russa, di svoj e čužoj – “noi” e “l’altro”, istituendo una superiorità della cultura d’origine nei confronti di quella d’arrivo.

Odnoetažnaja Amerika si rivela complessivamente un ottimo lavoro di reportage, caratterizzato da un tono satirico mordente di due menti critiche sovietiche. In questo modo, il testo rientra ma si distacca dalla tradizionale elaborazione del tema americano nella tradizione letteraria russa. Nonostante l’aspra critica, Il’f e Petrov sono in grado di ammettere l’arretratezza tecnica sovietica e la necessità di imparare dai dirigenti e dagli uomini d’affari americani l’esattezza e l’accuratezza del lavoro. Sebbene non sposino e, anzi, si oppongano al sistema economico adottato dagli Stati Uniti, i due scrittori mettono in luce i molti aspetti positivi del carattere nazionale americano, che dovrebbe essere considerato un modello.

Petrov e la signora Adams, foto di Il’f

I primi capitoli del testo compaiono sulla rivista “Znamja”, mentre il volume completo è pubblicato solo tra il 1936 e il 1937. A precedere l’uscita di Odnoetažnaja Amerika ci sono 166 foto pubblicate nell’aprile 1936, scattate da Il’f con una Leica durante il viaggio. La serie di fotografie sarebbe servita da appunti e avrebbe costituito un importante apparato iconografico per il lettore sovietico. Pubblicate in undici uscite, queste foto compaiono sulla popolare rivista “Ogonëk” sotto il nome di Amerikanskie fotografii (“Fotografie americane”). Così facendo, Il’f rientra anche nel nuovo tipo di produzione culturale del fotogiornalismo, nel quale l’autore di un testo è anche fotografo.

La prima edizione del testo avrebbe dovuto contenere anche le fotografie, ma ciò non accadde. Abbandonati in condizioni di trascuratezza, i negativi delle fotografie sono andati persi. Ciò che rimane delle immagini del viaggio è stato conservato negli archivi letterari russi e ucraini, anch’esse danneggiate per l’incuria e per il pesante ritocco sovietico alla fine degli anni Quaranta. La racconta di buona parte di questo materiale fotografico è oggi consultabile nel libro Ilf and Petrov’s American road trip: the 1935 travelogue of two Soviet writers di Erika Wolf. 

Stazione di servizio, foto di Il’f]
Veduta di New York, foto di Il’f

 

 

Bibliografia:

Erika Wolf, Ilf and Petrov’s American road trip: the 1935 travelogue of two Soviet writers, New York, Cabinet Books & Princeton Architectural Press, 2007.

Gabriella Schiaffino, Maksim Gor’kij e il Nuovo Mondo: una svolta nell’impegno, in “Incontro di Studio” (23-24 nov. 2006), Milano, Istituto lombardo-Accademia di Scienze e lettere, 2012. 

Il’ja Il’f, Evgenij Petrov, Il paese di Dio, Milano, Mondadori, 1961.

Krystyna Pomorska, A Vision of America in Early Soviet Literature, in “The Slavic and East European Journal”, Vol. 11, N. 4, pp. 389-397, Illinois, American Association of Teachers of Slavic and East European Languages, 1967.

Valentina Sushkova, Russian Writers’ Impressions of America in the Mirror of American Literary Criticism, in “The XXV annual International Academic Conference, Language and Culture, pp. 364-367, Amsterdam, Elsevier, 2014.

Sitografia:

Charles A. Moser, Mayakovsky and America, in “The Russian Review”, Vol. 25, N. 3, pp. 242-256, Hoboken, Wiley, Luglio 1966. https://www.jstor.org/stable/126954 (ultima consultazione: 12/01/2023).

Karen L. Ryan, Imagining America: Il’f and Petrov’s “Odnoetazhnaia Amerika” and Ideological Alterity, in “Canadian Slavonic Papers / Revue Canadienne des Slavistes”, Vol. 44, N. 3/4, pp. 263-277, United Kingdom, Taylor & Francis, Ltd., September-December 2002. https://www.jstor.org/stable/40870833 (ultima consultazione: 12/01/2023).

Apparato iconografico:

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