“La notte dell’uccisione del maiale” di Szabó Magda o dettagli femministi in dinamiche di potere

Richárd Janczer

1960. È passato il tempo delle purghe e la Repubblica Popolare Ungherese di Kádár sta disperatamente cercando di rimarginare le ferite della rivoluzione del 1956, repressa nel sangue ma che ha reso impossibile il ritorno al ferreo stalinismo di Rákosi. Persino Szabó Magda, la poetessa della rivista “Újhold” (“Novilunio”), la borghese e calvinista laureatasi in Lettere Classiche e Ungherese con una tesi sulla cura della bellezza in epoca romana, è richiamata sulla scena letteraria assieme alla sua cospicua produzione da pubblicare. Come racconta nella prefazione ad Affresco, nel 1958, dopo quasi dieci anni di silenzio forzato, di circolazione manoscritta e bozze custodite maniacalmente per il timore di essere arrestata, riottiene il permesso di pubblicare.

È in questo contesto che esce il romanzo Disznótor (“La notte dell’uccisione del maiale”) e viene messo in scena lo stesso anno il suo adattamento teatrale, Kígyómarás (“Morso di serpente”).

Pubblicare un romanzo corale di soggetti la cui vita appare immutata dal regime è un atto sovversivo, è negazione della sua pretesa totale di ordine. Negando la dialettica storica, Szabó nega la rivoluzione stessa, senza però illudersi che il passato fosse migliore, lo tratteggia infatti tra cacce alle streghe politiche come quella contro Szalay padre, guerre fratricide e miseria. Pur muovendo ferme ed esplicite accuse attraverso la voce della diabolica e aristocratica Paula, l’autrice sospende il giudizio negativo nel raffigurare le nuove generazioni quali la signora Gere, Vilma o Anti, che saluta i lavoratori manuali perché sa di appartenere a loro.

Gli attanti principali sono i Kémery, famiglia nobile decaduta decenni prima della guerra, composta dall’Assassina, zia Klárika, Veronka, Győző e Paula, e i Tóth, umile famiglia di saponieri, i cui componenti sono nonna Róza, zia Ilka, János, Győző e Sára. La loro natura è rimasta intatta, cristallizzata nel tempo: né la guerra né il regime hanno modificato la loro condizione e continuano a vivere ancora sotto le regole sociali del mondo feudale/preindustriale. Il coro di personaggi si divide così nelle due famiglie estese, dalle quali si è staccata la famiglia nucleare di János e Paula. Il tempo d’azione è collocato tra il 15 e il 16 dicembre 1955 ma oscilla continuamente, senza seguire l’ordine cronologico, tra i decenni antecedenti, attraverso i quali si biforca la plurale narrazione dei singoli monologhi, formando più una turnazione di confessioni che un alternarsi di ricordanze proustiane. Secondo Erdődy, sarà proprio a partire da questo romanzo che i monologhi verranno, in maniera sempre più significativa, sostituiti da un intervento diretto dell’autrice eterodiegetica, a scapito della caratterizzazione dei personali e del loro plurilinguismo.

“Nella nostra famiglia non ebbe mai fortuna la leggenda per cui l’uomo è forte e la donna debole. Sin dalla mia nascita attorno a me vedevo che l’uomo è nervoso e fragile, non fa che affannarsi, mettere tutto sottosopra, e se qualcosa non va si spaventa e fugge le responsabilità, è la povera moglie che deve sistemare tutto, sia materialmente sia moralmente.” (p.269)

Per Szabó Magda, La notte dell’uccisione del maiale è primariamente “l’anatomia di un delitto”, di quell’uxoricidio consumato proprio durante i preparativi dell’uccisione del maiale, forse il massimo momento di aggregazione e convivialità in una società contadina. L’uccisione di Paula da parte di János, il culmine delle tensioni tragiche del romanzo, è incarnazione sia della lotta di classe che dei tormentati rapporti uomo-donna.

Paula è una donna indipendente, è lei a gestire la propria sessualità, a scegliere per sé, a manovrare il proprio destino, ma nemmeno lei è libera di vivere da madre emancipata, porta in grembo Andrea e sposerà con l’inganno János Tóth. Il suo amato Gábriel Szalay, perseguitato durante gli anni della reggenza Horthy tra le due guerre per via del padre, medico anch’egli ma era ritenuto troppo “rosso” per la sua politica fin troppo umanitaria, è costretto per ragioni di lavoro a sposare Gitta, figlia del suo capo. È lui stesso a ritrarla con disgusto: “Era più grande di lui di tre anni, i suoi fianchi erano l’arida e orribile continuazione deforme di un busto smilzo. Il suo seno era stato creato per la sterilità, un bacino inadatto al concepimento.” (p.139)

Szabó raffigura qui tra le righe sia le ingiustizie interpersonali che quelle sociali che le producono. Le vittime collaterali, János e Gitta, vengono incastrate in un matrimonio senza amore, il primo è convinto inoltre di crescere sua figlia mentre la seconda viene usata come merce di scambio e condannata a una vita di assoluta amarezza. D’altro canto, Paula non può conferire dignità alla maternità senza un coniuge e Szalay non può far carriera senza sposare Gitta, entrambi sono sì carnefici ma al contempo anche vittime sociali.

Durante il matrimonio, Paula rende sistematicamente inabitabile la casa per János, relega in soffitta le sue cose, vende i suoi mobili, annienta il suo desiderio coniugale sia per amore di Szalay sia per odio di classe. Démeny Péter la definisce una moderna Antigone sopra la quale non ci sono più dei e che per questo si rende dea, giudicando dall’alto i vivi e morti e non provando dolore nemmeno quando viene uccisa. Szabó, memore della lezione sofoclea, indaga la genealogia del delitto senza dare l’assoluzione. L’atto di János/Edipo, incapace di vedere la verità rivelata da due donne, Iboly “fuoco vivo” e zia Klárika, è sì l’uccisione del tiranno aristocratico da parte del proletario soggiogato fino allo stremo ma anche la caduta della maschera che rivela dietro di sé “un uomo debole”, che ha rinnegato la famiglia, l’etica professionale e i rapporti sociali per un matrimonio di facciata. La vera debolezza di János sta però nella sua incapacità di individuarsi, di raggiungere un’affrancata maturità senza la violenza e Paula, pur non essendo “povera moglie”, rimane vittima del sistema deificante dell’uomo, di un attaccamento unilaterale capace di legittimare il desiderio sessuale fino all’istante prima di farsi carnefice.

L’atteggiamento femminista di Szabó, che si va qui delineando, è stato abilmente tratteggiato in un articolo dello scrittore Darvasi László apparso su “Élet és irodalom” (“Vita e letteratura”) nel 2007, in occasione del suo novantesimo compleanno e a un mese dalla morte:

“Szabó Magda si è sempre trattenuta dal definirsi scrittrice, e dall’appuntare l’essere donna, come una bandierina qualunque, sopra le trincee dei campi di battaglia letterari. In ogni caso, la prosa ungherese del XX secolo deve esserle grata per innumerevoli indimenticabili figure femminili, tra le pagine dei suoi romanzi donne forti, coraggiose, passionali e intelligenti gridano, sibilano, querelano, ridono e sistemano la vita rovinata, sprecata per mano degli uomini -quella che mi è più cara è la Blanka di “Via Katalin”-, e da lei veniamo a sapere anche con che razza di spietatezza può comportarsi una donna nei confronti di una donna.”

Nel romanzo sono presenti tre “matriarcati a maggiorasco”, sistemi come quello Tóth, Kémery e di Paula fondati sulla discendenza del primogenito maschio ma allo stesso tempo sull’eclissi della paternità: Tóth è caduto in guerra, Kémery è stato detronizzato per infedeltà e per aver scialacquato la loro fortuna al gioco d’azzardo. Esercizi di potere assoluto che non tollerano rifiuti, che condannano alla damnatio memoriae i predecessori e i ribelli come l’adorato Kálman, padre di Paula, che verrà considerato morto per aver sposato la popolana Dorottya, ma soprattutto relegano le figure femminili a quelle che Töttössy definisce “forme d’esistenza periferiche, secondarie, nascoste”, come le quattro “zitelle” del romanzo: zia Klárika, zia Ilka, Sára e Andrea.

Zia Ilka è la “valvola di sicurezza”, esprime vocalmente ciò che Róza Tóth reprime nel silenzio, è la saggezza profetica della famiglia intera e al contempo perdente nella lotta al potere con la matriarca. Le altre tre zitelle invece vivono una condizione di eterna infanzia. Zia Klárika è presentata come anziana amareggiata e asociale ma trattata con pietas nella sua permanente condizione di figlia abbandonata a sé stessa, “così orfana, infelice, indifesa in tutto quello schifo, quell’infamia, quell’umiliazione, quella paura…” (p.51). La figlia rimane fedele alla tiranna a vita, perpetuando il suo razzismo di classe e agendo come braccio del potere ma essendone la prima vittima:

“La mamma l’aveva sempre guardata come si guardava un mimo, un buffone, la guardava incredula, come una che non credeva che quell’essere fosse stata lei a portarlo alla luce; poi scrollava la testa e diceva: «Dio mio, quanto sei brutta, Klári!»” (p.52)

Zia Klárika non rielaborerà mai il trauma, anche negli ultimi anni di vita adorerà la defunta madre e cercherà la venerazione che la matrona aveva invece rivolto al figlio. Sarà invece Sándor, compiaciuto delle figlie sposate perché secondo lui solo le donne maritate sono donne, a narrare le vicende della “povera” sorella Sára:

“[…] il signor maestro Osváth aveva raccomandato anche lui per farlo studiare, ma la mamma aveva detto che non avevano la possibilità, e che ce n’era a sufficienza solo per uno, anche quello a fatica. Sára era più intelligente di entrambi, poi aveva avuto anche quella disgrazia con il braccio; avrebbero dovuto scolarizzare lei prima di tutto, per farle imparare qualcosa con cui si sarebbe mantenuta anche senza il braccio, non era adatta al lavoro manuale, la sfortunata. Ma János era il più grande, cioè gli spettava tutto, mentre lui divenne garzone, Sára invece fu relegata in cucina, a cucinare e a pulire.” (p.133-134)

Secondo la legge del “maggiorasco”, l’unica “stanza tutta per sé” che i Tóth riusciranno a garantire andrà all’ingrato János, Sára non potrà sposarsi per mancanza di dote. Sarà però la nipote Andrea a muovere la denuncia contro la condizione subalterna delle sorelle rispetto ai loro fratelli. Denuncia mossa però con superba ironia contro l’ignaro fratellino Anti, traumatizzato e ridotto a uno stato di mutismo dai suoi tentativi civilizzatori, coadiuvati dalla madre.

Andrea risulta però inattendibile, data la sua complicità con il potere e il suo farsi portavoce di una cieca misandria, sorretta solo dai manipolatori timori instillati in lei dal disgusto materno per il matrimonio e non da reali esperienze. È l’unica a scegliere volontariamente la condizione di zitella: a 25 anni non vuole istruirsi, lavorare (nonna Kémery riteneva disonorevole che una “femmina Kémery” avesse un impiego) o amare altri che il padrino Szalay (ignara del fatto che sia il suo padre biologico) e sua madre Paula, verso cui nutre una sconfinata venerazione.

Le uniche due figure femminili a ribellarsi saranno Veronka Kémery e la domestica Jolán. La notte dell’uccisione del maiale, inteso dall’autrice come “requiem per la fanciullezza assassinata” di sua madre (p.273) e Veronka funge da ritratto di quest’ultima. La ragazza è morta quindicenne, denutrita dall’Assassina e da Paula, e sarà la presenza fantasmatica (prototipo della Henriett di Via Katalin) di molti dei monologhi. Rimarrà l’eterna bambina, androgina nel carattere giocoso e nel corpo, che non si svilupperà mai come quello di Paula, precocemente maturo e pressoché immune al tempo.

Jolán invece, alla morte dell’Assassina, otterrà qualche anno di amore emancipato, prima che la guerra glielo strappi, e l’amore filiale di Győző Kémery, assieme al quale riuscirà a inserirsi nel nuovo sistema politico.

L’affermazione di Darvasi trova dunque fondamento: nella prosa di Szabó Magda il femminismo è nei dettagli. L’autrice di Debrecen ha saputo celare sotto la maschera di un romanzo politico-sociale l’accorata denuncia della condizione femminile, una relegazione a periferia dall’alba dei tempi, una soggiogazione perpetrata sia dagli uomini che dalle donne stesse, all’ombra di ogni bandiera politica, di qualunque colore essa sia.

 

Bibliografia:

László Darvasi, Nagy és elbűvölő poéta in “Élet és irodalom”, anno LI, n°40 (5 ottobre 2007).

(https://www.es.hu/cikk/2007-10-05/darvasi-laszlo/nagy-es-elbuvolo-poeta.html) (La traduzione è realizzata per l’occasione da me, R.J.) (ultima consultazione: 20/03/2021)

Péter Demény, Istenek nélküli Antigonék in “Élet és irodalom”, anno LII, n°5 (1 febbraio 2008).

(https://www.es.hu/cikk/2008-01-31/demeny-peter/istenek-nelkuli-antigonek.html) (ultima consultazione: 20/03/2021)

Edit Erdődy, Realista hagyomány és belső monológ Szabó Magda műveiben in Salve scriptor! Tanulmányok, esszék Szabó Magdáról, Griffes Grafikai Stúdió, 2002.

(https://konyvtar.dia.hu/xhtml/_szakirodalom/szabo_m_erdody_realista_hagyomany_es_belso_monolog_szabo_magda_muveiben.xhtml) (ultima consultazione: 20/03/2021)

Loránt Kabdebó, Szabó Magda, az író és irodalomtörténész in “Irodalomtörténet”, n°3 (1997).

(https://reader.dia.hu/document/Szabo_Magda-Szakirodalom-15550) (ultima consultazione: 20/03/2021)

Réka Kosztrabszky, Az új, vérbeli női epikus születése – Szabó Magda első regényeinek recepciója, in “Tiszatáj”, anno LXXI, 10 (ottobre 2017), pp.83-94.

(https://www.academia.edu/36113186/Az_%C3%BAj_v%C3%A9rbeli_n%C5%91i_epikus_sz%C3%BClet%C3%A9se_Szab%C3%B3_Magda_els%C5%91_reg%C3%A9nyeinek_recepci%C3%B3ja) (ultima consultazione: 20/03/2021)

Magda Szabó, Affresco, traduzione di Vera Gheno e Claudia Tatasciore, Milano, Anfora, 2017.

Magda Szabó, Egy modell alakváltozásai in Szabó Magda, Kívül a körön, Budapest, Szépirodalmi könyvkiadó, 1980.

(https://reader.dia.hu/document/Szabo_Magda-Kivul_a_koron-864) (ultima consultazione: 20/03/2021)

Magda Szabó, La notte dell’uccisione del maiale, traduzione di Francesca Ciccariello, Milano, Anfora, 2018.

Beatrice Töttössy, La letteratura in Ungheria dal 1945 al 2002 in Storia della letteratura ungherese, II, Torino, Lindau, 2008.

Apparato iconografico:

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