La lingua inclusiva dei vampiri ugrofinnici

Marianna Kovács

Qualche anno fa (2002) la giovane scrittrice ungherese Noémi Szécsi propose l’opera Finnugor vámpír, letteralmente La vampira ugrofinnica, tradotta in italiano con il titolo La vampira snob. La critica magiara definì il romanzo da subito come “sangue fresco nella letteratura contemporanea ungherese”.

La protagonista, Jerne Voltampere, si guadagna da vivere correggendo scritti presso una piccola casa editrice e sogna di pubblicare il suo libro di fiabe. Vive ai margini della realtà e della società assieme ad una ricchissima nonna pluricentenaria che, non da ultimo, è una vampira ugrofinnica. La nonna cresce da sola la nipote che si dimostra scarsamente incline a continuare la tradizione familiare di succhiare il sangue agli altri esseri, umani e non. Con spiazzante indifferenza, Jerne rifiuta le avances sia dell’amico di infanzia Somi sia del collega Jermák, il quale si rivelerà essere suo padre e sarà l’assassino che la trasformerà in vampira. Nella sua nuova vita, dopo essere rinata come vampira, Jerne tenta di conquistare O., insegnante di ungherese e poetessa tormentata. Con zio Oszkár invece si addentra in disilluse riflessioni sulla società odierna. Quando durante un viaggio a Tallinn Oszkár uccide inconsapevolmente la nonna, Jerne si trova finalmente libera di essere felice e di dare sfogo alle sue ambizioni letterarie e vampiresche.

Edizione ungherese del libro

Il vampirismo, gli elementi della parodia e il linguaggio sarcastico, ironico e ambiguo presenti nel libro non costituiscono un obiettivo, ma sono piuttosto uno strumento di rappresentazione. Fin dal titolo il libro dichiara l’intenzione di sfruttare la caratteristica peculiare delle lingue ugrofinniche che non esplicitano grammaticalmente il genere. Quindi solo una vampira ugrofinnica può giocare con i sessi e sviscerarne significati non proprio convenzionali.

La scrittrice ha utilizzato molto bene tale proprietà della lingua. Già nel nome della protagonista è insita l’impossibilità di determinarne il sesso in quanto Jerne è un nome di fantasia e privo di connotazioni di genere. Tutto il romanzo riceve una luce diversa se consideriamo Jerne una femmina o un maschio. A questo proposito non si può non pensare al romanzo Orlando di Virginia Woolf. Orlando vive la sua vita prima come maschio e successivamente come femmina. Ma, mentre la figura di Orlando ed il suo mutamento sono espliciti, non possiamo dire altrettanto di Jerne. In un passaggio la nonna fa un sottile riferimento a quest’ambiguità:

“«[…] quando hai voglia di qualcosa di sostanzioso, ordina un fattorino della pizza!»

In effetti, me lo aveva già detto un migliaio di volte, e sperava incessantemente che un giorno avrei rinunciato alle mie cene frugali e preferito uno di quei giovani ambosessi madidi di sudore che consegnano le pizze a domicilio.” (p.35)

Paradossalmente proprio l’assenza di distinzione tra generi, peculiare e precipua del testo, rende difficile una traduzione efficace che restituisca riferimenti così sottili.

La determinazione del sesso di Jerne resta irrisolta per tutta la storia. Nella prima parte Jerne ha tratti più femminili, nella seconda ha invece tratti maschili, ma il romanzo evita deliberatamente di stabilirlo. Quindi in ogni rapporto interpersonale è percepibile una certa ambiguità, a volte parodistica e ironica.

Nel libro le relazioni omosessuali sono talmente naturali che anche il padre di Jerne, Jermák passeggia con un ragazzo di 18 anni. “«Mentre ero in giro per la città ho incontrato tuo padre. Era a passeggio con un bel ragazzo di diciotto anni.»” (p.189) – dice la nonna.

Ciò che stupisce Jerne non è il fatto che il padre passeggi con un diciottenne maschio, ma che la nonna sappia che il ragazzo abbia tale età.

“«Come fai a sapere che ne aveva diciotto? Aveva la data di produzione stampata in fronte?» – replicai in un tono un po’ sferzante. […]

«Perché non dovrei saperlo? Magari ero io a reggere la candela quando è venuto al mondo.»” (p.189)

Merita menzione anche la scena in cui la nonna dà a Jerne un anello appartenuto al nonno:

“Mi gettò in grembo l’anello. Quando lo presi in mano restai sbalordita dal suo peso. Lessi l’incisione: ’Anima muliebris in corpore virili inclusa’. Lo provai al dito, ma, per quanto mi piacesse l’idea di avere un anello di famiglia, lo rigettai in mano alla nonna. «Tienitelo tu! Io non porto anelli, e non faccio eccezioni neppure per questa mostruosità fuori moda.» «Va bene. Al massimo lo faccio fondere.»” rispose la nonna. (p.87)

Forse può sfuggire quell’incisione che significa “anima femminile rinchiusa in un corpo maschile”. Né Jerne né la nonna vi prestano particolare attenzione. Prendono l’anello per ciò che è: oro. Il lettore certamente non penserà all’autore di tale frase, Karl Heinrich Ulrichs (1825-1895), poeta e scrittore tedesco dell’Ottocento, nonché pioniere del movimento di liberazione omosessuale.

La vampira ugrofinnica può avere vari piani di lettura. La parodizzazione postmoderna delle storie sui fantasmi e sui vampiri è solo una delle possibilità. Tale filo narrativo accompagna tutto il romanzo, fino alla fine. Parallelamente a questo filone ci racconta la cultura e la storia ungherese. Jerne narra come la nonna si diverta a guardare i film sui vampiri:

“Si fa un sacco di risate, si diverte un mondo, vorrebbe che sedessi accanto a lei a commentare le scene, così potrebbe spiegarmi perché Béla Lugosi è più bravo di Boris Karloff, ma io in genere non ne ho nessuna voglia.” (p.87)

Béla Lugosi (1882-1956) fu il primo attore ungherese emigrato e diventato famoso a Hollywood recitando la parte di Dracula nell’omonima opera di Bram Stoker. È interessante anche il piano di lettura storico nel testo. Esemplare è questo dialogo fra nonna e nipote:

«Sono stata io, nonna. Scusami. Ho rotto il tuo bicchiere irredentista.»

«Quello con la Grande Ungheria?»

«Sì. Scusami.»

«Non importa. Mi aveva stufato ormai quella scritta”, e nella stanza tornarono a risuonare i grevi e vertiginosi passaggi del pianoforte.»” (p.113)

Qui il riferimento è alle perdite territoriali dell’Ungheria conseguenti alla sconfitta nella Prima Guerra Mondiale. Ancora oggi, dopo cent’anni, se ne parla e lo si vive come un lutto nazionale. Il messaggio è quello di superare il trauma storico e di smettere di continuare a sognare la Grande Ungheria restando ancorati al passato senza possibilità di progresso. Il testo offre una ricchissima intertestualità che divaga in un campo molto ampio della cultura ungherese.

Tuttavia, il libro può essere letto anche come una critica alla società, un’interrogazione sugli incerti confini dei ruoli dei sessi propria del ventunesimo secolo. La trama invita il lettore a riflettere sui pregiudizi relativi alle caratteristiche tipicamente femminili o tipicamente maschili, anche nel modo di scrivere. Noémi Szécsi, attraverso la particolarità della lingua, spinge a guardare l’individuo per quello che è. Suggerisce di dare ad ogni essere umano il valore che merita indipendentemente dal genere e orientamento sessuale, dall’inclinazione o meno a succhiare sangue. Invita ad essere autentici, a non volere ad ogni costo corrispondere alle aspettative di una società sempre più esigente che non ci fornisce però basi solide e coerenti.

“Nei romanzi si dice tutto ciò che vale la pena di sapere sulle donne. Sulla base della lettura di un gran numero di opere di prosa posso affermare con piena convinzione che nelle donne è il corpo ciò di cui vale la pena di occuparsi più da vicino, il resto è roba da collezionisti. Spirito maschile e corpo femminile, ecco di che cosa parla la storia del mondo. Posso riassumere schematicamente le varietà principali: le bionde sono miti, buone e gentili; le brune e quelle con i capelli neri sono sanguigne, indocili e raramente covano buone intenzioni. Secondo un’altra versione, quelle dai capelli corvini sono misteriose, le rosse hanno un temperamento vivace, le brune sono intelligenti, le bionde no, e in più sono fredde. Anche questo l’ho letto nei libri, ma ci credo, perché testimonia una profonda conoscenza della natura umana.” (pp.185-186)

Non si può riassumere meglio di così la quintessenza dei pregiudizi. Non si è forse indotti a credere a tutto ciò che raccontano i media, o peggio, a tutto ciò che la società cerca di imporre come verità assoluta? Come può essere giudicata una persona in base al colore dei capelli o della pelle, all’identità sessuale o alla religione? Jerne dimostra che nemmeno i vampiri sono sempre pericolosi nonostante non godano di una reputazione impeccabile tra i comuni mortali. Perfino loro possono non avere ancora trovato la propria strada nella giungla del mondo contemporaneo.

István Csók, Vampiri

Il libro si presenta come una parodia dall’inizio alla fine. Richiama l’attenzione alle contraddizioni quotidiane e ne mette alla berlina i fondamenti. Escono dalle sue pagine affermazioni assurde, frasi sessiste (vedi citazione sopra), a volte razziste, e fanno ridere a crepapelle, ma nello stesso tempo parla proprio della società con una serietà disarmante. L’autrice non risparmia il sottile sarcasmo nemmeno nelle ultime righe del racconto.

“In qualità di curatrice della nostra fondazione seleziono, tra una quantità sterminata di candidati, gli infermi più miserabili, i fanciulli più indifesi, gli studiosi più ferrati nelle varie discipline e gli artisti più inetti, e poi, tenendo assolutamente conto di razza, sesso, religione e orientamento sessuale, li gratifico di ingenti somme di denaro.” (p.300)

Noémi Szécsi ha usato lo strumento e la specificità della lingua, del significante, in maniera magistrale per comunicare un significato importante e ironicamente ci ha messo uno specchio davanti affinché ognuno giudichi da solo quale immagine riflette.

Tuttavia, per quanto riuscita possa essere una traduzione, l’intenzione esplicita dell’autore non riesce a trasparire nella traduzione in altre lingue che distinguono grammaticalmente i generi.

A proposito dell’accoglienza da parte del pubblico straniero, la scrittrice nella rivista “Magyar Narancs” (Arancia Ungherese) ha commentato così:

“All’estero interessava al pubblico in modo particolare il fatto che nel testo ungherese non è univoco il sesso del protagonista. L’orientamento sessuale e la labilità del confine dei sessi riflettono la situazione dell’Europa occidentale maggiormente ora rispetto al momento dell’uscita del romanzo. Naturalmente nelle lingue indoeuropee non è possibile lasciare in sospeso il genere e nelle traduzioni Jerne ha avuto identità femminile.”

È un libro d’attualità, proprio perché il sesso ed il genere di Jerne vengono completamente ignorati nonostante si parli di amori, e anche di rapporti. Jerne potrebbe essere sia bisessuale che transessuale o altro, ma non viene mai etichettata in quanto tale.

A tal proposito risulta interessante il parallelo con l’artista ungherese di origine russa El Kazovszkij, che in un’intervista spiega uno dei motivi per cui ha deciso di restare in Ungheria: in quanto transessuale si sente più libero usando una lingua che non esplicita il genere, l’ungherese gli permette di parlare di sé senza suscitare perplessità come quando è costretto a usare il maschile in altre lingue.

Il sano cinismo con cui la brillante voce di Noémi Szécsi nel libro La vampira snob tratta Jerne e la sarabanda di personaggi, la disincantata leggerezza con cui affronta le questioni di appartenenza alle categorie come nazionalità, genere e disagio giovanile, sfruttando una lingua al passo con i tempi come l’ungherese, nonché il rovesciamento delle situazioni e le digressioni erudite, hanno saputo spiazzare e far riflettere il lettore attento, affinché con il giusto senso critico si guardi intorno e colga tutte le contraddizioni della nostra epoca. Per usare le parole della protagonista:

“Non dubitare della mia credibilità, dato che mentirò dall’inizio alla fine. Si dice che la verità può essere detta solo attraverso menzogne. Ma io sono convinta che la realtà sia priva di qualsiasi interesse. Eppure ciò che mi accingo a narrare è una storia vera.” (p.5)

 

 

Bibliografia:

Katalin Cserjés, Gabriella Uhl, Látáscsapda – Beszélgetések El Kazovszkijjal, Budapest, Magvető, 2012.

Noémi Szécsi, Finnugor vámpír, Budapest, Európa, 2002.

Noémi Szécsi, La vampira snob, Milano, Baldini&Castoldi, 2014.

Sitografia:

https://magyarnarancs.hu/konyv/szecsi-noemi-iro-88515?pageId=148

http://www.forrasfolyoirat.hu/0407/nemeth.html

http://www.hunlit.hu/szecsinoemi

https://epa.oszk.hu/00300/00381/00076/benyo.htm

http://ekultura.hu/2011/12/13/szecsi-noemi-finnugor-vampir

Apparato iconografico

[Foto 1] https://sites.google.com/site/szecsinoemi2009/english

[Foto 2] https://europakiado.hu/konyv/finnugor-vampir-vermese

[Foto 3] https://www.hung-art.hu/frames.html?/magyar/c/csok/muvek/1900-09/vampirok.html