Szántó T. Gábor o la centralità dell’individuo nella storia. Una finestra attraverso tre poesie ebraiche

Traduzione di Richárd Janczer

Szántó T. Gábor (Budapest, 1966) è una delle voci di spicco della cultura ebraica contemporanea in Ungheria, sia in qualità di direttore della rivista “Szombat” (Sabato), da lui fondata nel 1989 e al giorno d’oggi il più importante organo di stampa della comunità ebraica ungherese, sia per la sua produzione letteraria.

Il suo primo libro edito, la raccolta di racconti A tizedik ember (“Il decimo uomo”) risale al 1995, a cui seguiranno altri romanzi come Édeshármas (“Ménage à trois”, 2012) e Kafka macskái (“I gatti di Kafka”, 2014). Nel 2017 vede la luce 1945 és más történetek (“1945 e altre storie”), prima opera dell’autore edita in Italia (l’uscita è prevista per febbraio 2021 per i tipi di Edizioni Anfora). In quello stesso anno, il regista Török Ferenc ha diretto il film 1945, riadattamento del primo racconto della raccolta e alla cui sceneggiatura ha collaborato Szántó stesso. Il suo ultimo romanzo, Európa szimfónia (“Sinfonia Europa”, 2019), affronta invece temi e scenari nuovi ed è ambientato tra Kolozsvár (Cluj-Napoca in Transilvania) e Berlino, durante la guerra fredda. Oltre alla prosa e alla pubblicistica, Szántó ha composto anche una raccolta poetica, A szabadulás íze (“Il sapore della liberazione”, 2010).

L’opera di Szántó conferisce un ruolo centrale all’ebraismo come orizzonte e radice culturale, una parte preponderante degli intrecci sviluppati e delle tematiche trattate si richiama infatti esplicitamente a questo retroterra. L’autore è ben conscio di trovarsi in un crocevia di epoche diverse: è al contempo erede di una tradizione e una comunità sopravvissuta all’Olocausto e portavoce di un rinnovamento, di un’eterodossia inevitabile in un mondo globalizzato e liquido come quello odierno. L’operazione storica che compie non si limita a una reiterazione della letteratura memoriale, già elaborata da penne prestigiose come Kertész o Levi in quanto frutto di esperienze quasi sempre vissute direttamente; Szántó rievoca la storia recente nelle sue sfumature per difenderla non solo da un’ideologizzazione che tende a falsificarla ma anche dal negazionismo, oggi in aumento proprio a causa della distanza temporale. Il passato per l’autore non appartiene dunque a una singola comunità ma è la risultante di un’interazione tra quelle, non è mai la Storia dal punto di vista di un narratore onnisciente ma mosaico di esperienze storiche di singoli. Nonostante le tematiche delicate e spinose, l’essere umano rimane sempre centrale all’interno di un contesto storico o politico, né la sua prosa né la sua poesia si prestano mai ad argomentazioni ideologiche.

I tre componimenti qui presentati, attraverso rappresentazioni dell’ebreo contemporaneo, forniscono un prezioso sguardo sulla poetica dell’autore: A szabadulás íze e Nyár mostrano l’impatto a lungo termine dell’Olocausto sia nei sopravvissuti sia in coloro che sono nati dopo, e sono dunque costretti a convivere indirettamente con la tragedia, A Ben Ezra templomszolgája invece si colloca nell’ambito delle espulsioni e deportazioni ebraiche dall’Egitto, avvenute in seguito al conflitto arabo-israeliano (1948-1949) e la crisi di Suez.

PDF della traduzione scaricabile: Szántó poesie


A szabadulás íze

Ha Amerikában járok, kéri apám évek óta,
hozzak neki húskonzervet, apró kockákra vágott
marhahúst saját levében, vagy talán sós lében.
Nem emlékszik pontosan, de kéri, hogy ezt hozzak,
s ha lehet, nagy tömbökben, fekete Hershey csokoládét.
Jártam párszor ott, s ha tudtam, hoztam, amit kért,
de sosem találtam el, melyik az igazi.

„Nem rossz”, mondja, miután megeszi,
„de nem ilyen volt”, rázza a fejét.
„Azóta se ettem olyan jót”, csettint nyelvével elismerően,
„mióta felszabadítottak bennünket”.

New York utcáit járom, ismerősöket kérdezek,
boltról boltra keresem azt a konzervet és csokoládét,
de mindenki csak a fejét csóválja és széttárja kezét.
Nem tudják, s azt sem, amit én már tudok:
hiába találnám meg azt a konzervet és csokoládét,
a szabadság íze sosem olyan, mint a szabadulásé.

Il sapore della liberazione

Mio padre mi chiede da anni, se capito in America,
di portargli della carne in scatola, tagliata a minuscoli quadratini,
carne di manzo nel proprio sugo, o magari in un liquido salato.
Non ricorda con precisione, ma chiede di portargli questo
e, se possibile, grandi blocchi di cioccolato fondente Hershey.
Ci sono capitato un paio di volte e, quando ho potuto, ho portato quello che mi chiedeva,
ma non ho mai azzeccato quelli veri.

“Non è male”, dice dopo averla mangiata,
“ma non era così”, e scuote la testa.
“Non ne ho più mangiata di così buona da allora”, la loda con uno schiocco di lingua,
“da quando ci hanno liberato”.

Percorro le strade di New York, chiedo ai conoscenti,
cerco di negozio in negozio quella scatoletta e quel cioccolato,
ma ognuno non fa che scrollare la testa e allargare le braccia.
Non lo sanno, e nemmeno quello che ormai so anch’io:
invano troverei quella scatoletta e quel cioccolato,
il sapore della libertà non è mai come quello della liberazione.


Nyár

Nem mennek sehova, nem szórakoznak, nem nyaralnak.
Lenne miből, csak nincs kedvük.
De te utazz, nyaralj, élvezd az életed,
légy a barátaiddal együtt.

Nincs kedved, vagy ha lenne, nyomban bűntudat gyötör,
hisz henyélsz, s hogy is hagyhatnád őket magukra,
kik érted élnek, s nincs más örömük,
mint te és a munka.

Túl sok emlék, melyre senki nem emlékszik.
Saját életedben nincs számodra hely.
Utazz jól. Költs magadra. Élvezd.
1. A munka nemesít 2. Arbeit macht frei.

Estate

Non vanno da nessuna parte, non si divertono, non conoscono vacanza.
Se lo potrebbero permettere, è solo che non ne hanno voglia.
Ma tu viaggia, vai in vacanza, goditi la tua vita,
stai insieme ai tuoi amici.

Non ne hai voglia, o se ne avessi ti divorerebbe all’istante il senso di colpa,
poiché giaci nell’ozio, e come potresti abbandonarli a loro stessi,
coloro che vivono per te e non hanno altra gioia
che te e il lavoro.

Troppi ricordi che nessuno ricorda.
Nella tua stessa vita non c’è posto per te.
Viaggia bene. Spendi per te. Goditela.
1. Il lavoro nobilita 2. Arbeit macht frei.


A Ben Ezra templomszolgája

Bőröndjeink ma is a sarokban.
Szomszédjaink költöztek házunkba,
kinek, ha kertünkben dolgoztak,
mindig adtunk baksist.
A képeslapárus mesél rólunk, mondják,
nem maradt, ki cáfolná történeteit.

Szerényen éltünk. Úgy volt,
hogy fiunk egyetemre mehet.
Azon az éjszakán azonban,
amikor jöttek és verték a kaput,
sokkot kapott, s amint megérkeztünk,
magába fordult, csak a könyveknek élt,
mint aki keres valamit: okot vagy magyarázatot.
Nem lett belőle orvos. Csak olvas és ír.
Azt mondták, várjunk, de évek teltek el.
Megöregszik, anélkül, hogy felnőne.
Nem szégyelljük, csak fáj.
Megkapaszkodtunk, van pénzünk, lakásunk,
néha kirándulunk a tengerpartra vagy Tibériásba,
de kert nem kell, se bougainvillea, se lótusz, se más.

Megbecsült ember lettem, templomszolga megint,
jó dolgunk van, tisztelnek, sok a barátom,
de álmaimban ma is Kairóban járok,
s ha feleségem sírva fel nem ráz,
a kopt negyed utcáit járom,
és nem találom sehol a sikátort,
mely a Ben Ezra-zsinagógához vezet.

Lo shamash della sinagoga Ben Ezra

Le nostre valigie sono ancora oggi nell’angolo.
I vicini hanno traslocato in casa nostra,
coloro ai quali, quando lavoravano nel nostro giardino,
davamo sempre la mancia.
Il venditore di cartoline, dicono, racconta di noi,
non è rimasto chi possa smentirne le storie.

Vivevamo una vita modesta. In questo modo
nostro figlio poteva andare all’università.
Quella notte invece,
quando arrivarono e martellarono di colpi il cancello,
rimase sotto choc e, non appena arrivammo,
si rivoltò su se stesso, visse soltanto per i libri
come chi è alla ricerca di qualcosa: una causa o una spiegazione.
Non è diventato medico. Solamente legge e scrive.
Ci dissero di aspettare ma sono trascorsi anni.
Invecchia senza maturare.
Non proviamo nessuna vergogna, solamente dolore.
Abbiamo attecchito, abbiamo soldi, un appartamento,
a volte facciamo qualche gita sulla spiaggia o a Tiberiade,
ma non servono giardino, né bougainvillea né loto né altro.

Sono diventato un uomo stimato, di nuovo shamash,
stiamo bene, ci rispettano, ho molti amici,
ma nei miei sogni ancora oggi vago tra le vie del Cairo,
e se mia moglie in lacrime non mi sveglia di soprassalto
percorro le vie del quartiere copto,
e non trovo da nessuna parte la calle
che conduce alla sinagoga Ben Ezra.


La traduzione e pubblicazione dei testi è stata autorizzata dall’autore.

Bibliografia
Szántó T. Gábor, A szabadulás íze, Cluj-Napoca, Koinónia, 2010.
“Élet és irodalom”, LVII, 7, 15 febbraio 2013.

Apparato iconografico
Immagine in evidenza: Fotografia fornita dall’autore.
1. https://litera.hu/files/passage/Sz%C3%A1nt%C3%B3%20T.%20G%C3%A1bor%20A%20szabadul%C3%A1s%20%C3%ADze%20c%C3%ADmlap.jpg